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indireinforma

15 Giugno 2005

Un ambiente che diventa apprendimento

Lo spazio scolastico per educare alla socialità, all’ecologia e alla sicurezza: intervista a tecnici e pedagogisti

di Maria Grazia Mura

La nostra riflessione intende mettere a fuoco l’importanza dello spazio scolastico secondo quattro tematiche: il valore pedagogico dell’ambiente come soggetto che partecipa del progetto educativo, capace di promuovere la socialità e stimolare conoscenza e creatività; la vivibilità intesa come ricerca di comfort e benessere; la sicurezza come diritto e cultura della salute e infine l’educazione all’ecologia e al rispetto dell’ambiente, ovvero il ruolo del contesto nel mostrare come e quanto sia possibile percorrere le strade della sostenibilità ambientale.

Per riflettere su questi temi abbiamo chiesto un contributo a quattro esperti.

Marco Orsi, dirigente scolastico e docente presso l’Università di Pisa, coordina il progetto ‘Senza Zaino’, che si propone una riconfigurazione degli spazi della scuola primaria. ‘Senza Zaino’ prende le mosse dalla proposta di eliminare lo zaino per lanciare la sfida di un rinnovamento globale, e ripensare la scuola come luogo significativo dove lo spazio è una dimensione formativa e costitutiva di ogni esperienza.

Quali fattori possono promuovere la qualità pedagogica dell’ambiente scolastico?
Nel nostro progetto assumiamo un’accezione sistemica di ambiente: non è pertanto il sottofondo o, per meglio dire, la piattaforma sulla quale si erge l’azione didattico-educativa. Infatti la proposta formativa è data dalla strutturazione dell’ambiente, vale a dire dal complesso di relazioni tra soggetti e oggetti, strategie e progetti, per cui emerge una prospettiva ecologica – alla maniera di Bateson – in senso ampio e profondo, che implica una dimensione globale, un curricolo globale. Per averne una idea, noi diciamo che la proposta formativa è data dall’esperienza a cui è esposto il soggetto (nel caso della scuola l’alunno). Si pensi ad un bambino che varca la mattina la soglia della propria scuola: si immerge immediatamente in un clima, in un contesto fatto di architetture, arredi, riti e miti, relazioni, strategie e metodi didattici, oggetti e strumenti: il mix più o meno progettato – e tanta valenza ha il curricolo implicito – di tutti questi fattori, determina la qualità della formazione.
Ora è evidente che se un soggetto è costretto ad impiegare una tecnologia come lo zaino per affrontare un determinato ambiente, qualche problema deve pur sussistere. Lo zaino infatti è uno strumento che è stato inventato per gli eserciti e per gli escursionisti al fine di affrontare l’inospitalità di un ambiente. Se allora utilizziamo apporti come quello di Edgar Schein o di Marshall McLuhan, che dicono di un messaggio delle tecnologie impiegate, è chiaro che lo zaino rimanda all’inospitalità del luogo. Quindi ci domandiamo se effettivamente può darsi l’esperienza del conoscere, l’entusiasmo per la scoperta del mondo e per la costruzione e ri-costruzione dei saperi, in un ambiente che si presenta inospitale. Tutti i grandi pedagogisti hanno insistito, in una certa maniera, sulla “abitabilità formativa” dell’ambiente, laddove invece la nostra scuola non riesce che a produrre un intervento drammaticamente separato, parcellizzato tra le varie discipline, tra corpo e mente, tra apprendimento razionale/formale e apprendimento percettivo-motorio, tra tecnologie/strumenti e contenuti/saperi, tra conoscere e agire. L’esigenza di un pensiero che unisce proposta da Morin è ancora largamente disattesa.

Quali caratteristiche e potenzialità dello spazio didattico avete voluto valorizzare nel vostro progetto ‘Senza Zaino’?
aula senza zaino
Nel progetto ‘Senza Zaino’ siamo partiti da una ristrutturazione degli spazi scolastici considerando prima di tutto l’aula. Essa è pensata come un luogo dove sono articolate più aree di lavoro (tavoli, agorà, laboratori, due computer), e nella quale si svolgono attività scolastiche plurime e in contemporanea (policronia e politopia). In questo modo si supera l’egemonia della lezione frontale, si stimola l’autonomia e la responsabilità. Inoltre le aule sono dotate di materiali didattici, per cui l’apprendimento è sempre supportato, per qualsiasi disciplina, da stimoli percettivi. Il tutto è sostenuto dalla centralità dell’esperienza: come insegnava Dewey il sapere nasce dalla riflessione sull’esperienza (teoria) e dall’azione, vale a dire dal fare esperienza. La scuola come ambiente dove si fa esperienza di esperienze. L’aula Senza Zaino, dotata di laboratori e materiali, costantemente invita i soggetti che la abitano (anche i docenti) a praticare la conoscenza e i saperi in questa prospettiva di ricomposizione. Le scuole Senza Zaino piano piano stanno mutando clima, modo di essere, la loro forma, e lo si percepisce meglio visitandole, piuttosto che leggendo le cose che sto scrivendo.
Naturalmente tutto ciò implica un diverso modo di vedere l’insegnamento e l’apprendimento. Intanto viene recuperato il ruolo effettivamente di affiancatore, incoraggiatore e di organizzatore di ambiente dell’insegnante (qui è prezioso il contributo di Maria Montessori). In secondo luogo, nella società post-moderna, valorizziamo quello che è un fenomeno ormai pervasivo, ma che sembra essere completamente ignorato dalla scuola, vale a dire la liquefazione (Barman) dei ruoli e delle funzioni: l’imparare e l’insegnare sono da vedersi come bisogni originari dell’essere umano, per cui non vi sono giovani che imparano da una parte e adulti che insegnano dall’altra. Le cose sono molto più complesse e comunque rimandano, ad esempio all’idea dello studente come co-progettatore e co-produttore, o dell’adulto che impara per tutta la vita (Long Life Learning). Lo spazio didattico diventa così non un elemento da considerare, ma una dimensione formativa costitutiva del modo di fare scuola, uno spazio-mondo da esplorare e da impiegare in quanto spazio-corpo, spazio-oggetti/tecnologie, spazio-forme e architetture.
In definitiva il nostro non è tanto un progetto quanto una visione, un modo di vedere l’esperienza formativa che si fonda sull’idea della scuola come comunità di ricerca, in cui tutti (insegnanti, studenti, genitori) sono implicati in un processo si apprendimento, di scoperta, di invenzione del futuro che ha come riferimento non solo la crescita di soggetti giovani, ma lo sviluppo di una Civil Education, la maturazione e lo sviluppo della più ampia comunità, all’interno della quale la scuola stessa è inserita.

L’arch. Paolo Rava è docente del corso di Progettazione Architettonica per il Recupero Urbano alla Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara, dove si è più volte occupato di progettazione di edifici scolastici. È delegato ANAB (Associazione Nazionale Architettura Bioecologica) e partecipa in qualità di relatore ed esperto di edilizia sostenibile a numerosi convegni e seminari.

Quali sono le caratteristiche di una scuola adeguata dal punto di vista del comfort?
La scuola, vista dal punto di vista del “manufatto architettonico” è tra tutte le case la più importante in quanto ospita nei suoi spazi i bambini: il nostro futuro.
La crescita di una società avviene assicurando la continuità dell’insegnamento delle conoscenze e dei valori che sono ritenuti fondamentali e il luogo deputato dove queste possibilità possono essere realizzate è la scuola.
Si capisce perchè il progetto più complesso con cui gli operatori si possono confrontare sia proprio la definizione di questi spazi e quindi il loro comfort. Tante volte le scuole sono fatte per esigenze di altri soggetti e non di quelle dei bambini; così che lo “stare bene” a scuola diventa un’esigenza secondaria rispetto alla priorità di una gestione meramente economica. Il progetto ecologico e sostenibile degli edifici scolastici richiede un modo diverso di pensare il progetto con l’obiettivo prioritario di preservare un’architettura dove alle ovvie esigenze di ambienti che non danneggino salute e corpo, si è pensato di soddisfare anche il desiderio più antico e profondo di abitare un luogo, salutare sia per la mente sia per lo spirito, per ritrovare quelle radici e quel simbolismo delle forme che nella società dello stress e dell’alienazione si stanno perdendo o dimenticando.
Il pensare biologico fa riferimento ad un modo di vivere dove la salute e il benessere degli esseri umani sono al centro dell’attenzione di tutte le attività.
In bioedilizia, la progettazione ha come scopo quello di creare un “clima sano” allo stesso tempo poco gravoso nei confronti dell’ambiente.
Il connubio di tecnica e biologia, ad esempio nel riscaldamento, porta il proprio contributo alla creazione di una diversa cultura del comfort. I criteri di valutazione nella ricerca del tipo di riscaldamento ottimale trovano al primo posto gli aspetti biologici ed ecologici, il comfort e la comodità.
La richiesta di clima interno salubre deve considerare: le emissioni esterne (che devono essere esenti il più possibile da sostanze tossiche ed inquinanti), il costo dell’energia (senza dimenticare tutte le misure per l’utilizzo dell’energia solare con sistemi attivi e passivi), la ricerca e la scelta dei materiali da costruzione e le tecniche di edificazione che rendono un alto grado di “isolamento termico” indispensabile per l’utilizzo di queste fonti di energia.
In bioedilizia l’approccio al problema del comfort e quindi anche del tipo di riscaldamento degli ambienti, si fonda su presupposti ben diversi da quelli consueti (fornire una certa quantità di calore con l’impianto, per mantenere una temperatura prefissata più o meno costante rispetto alla temperatura esterna). Quando parliamo di riscaldamento biologico, ad esempio, si intende attuare una forma di riscaldamento simile a quello esistente in natura: privilegiando cioè il calore  o il raffrescamento radiante rispetto a quello convettivo.
I sistemi tecnologici come pareti radianti con circuiti ad acqua o i convettori a battiscopa sono alcune soluzioni innovative che ottengono un sano clima da riscaldamento con basse temperature dell’aria. Un sano clima da riscaldamento con basse temperature dell’aria, compensato dalle alte temperature medie radianti delle superfici e di un giusto livello di umidità relativa dell’ambiente, può generare molti effetti positivi: salute psicofisica, buon approvvigionamento di ossigeno, metabolismo regolare, e aumento della resistenza alle malattie e non ultima la ionizzazione dell’aria

Perchè e in che modo la bioedilizia può offrire una maggiore attenzione dal punto di vista del comfort?
La scuola, ovvero “la casa dei bambini”, ospita abitanti che sono particolarmente sensibili e ricettivi; per cui, utilizzando i concetti dello spazio naturale nel dipinto di una scuolaquale al centro del progetto cioè  l’essere umano, si arriva all’architettura bio-ecologica e quindi sostenibile
L’approccio di questo tipo di architettura è quello di dare grande rilevanza al rispetto della salute psicofisica dei suoi ospiti, rielaborando e rivalutando in maniera olistica il rapporto tra il bambino e l’ambiente.
Nasce dall’esigenza di accentuare il risparmio energetico tramite l’involucro che diventa componente essenziale del sistema, tende ad aumentare funzionalità e comfort all’interno dell’edificio, affida alla conformazione fisica dell’edificio, al suo orientamento e al contesto climatico, il compito di captare o rinviare le radiazioni solari e di sfruttare il microclima locale per ottenere il massimo comfort e risparmio.
Le maggiori richieste di qualità, l’eliminazione delle fonti di energia non rinnovabile e le richieste di igiene e salubrità, costituiscono valenze progettuali che non possono più essere ignorate, né intese come limitazioni.
Il valore dello spazio e la sua forma, le sue componenti materiche sono anch’esse materia educativa ed orientativa per la crescita consapevole del bambino.
In questo modo i connotati fisici dello spazio e dei suoi arredi diventano educativi, contribuendo a determinare il  livello di crescita e di maturazione delle esigenze relazionali del bambino.
Proprio per questo i metodi di utilizzo e di scelta dei materiali e dei componenti per le costruzioni devono essere di principio materiali biologici assolutamente ineccepibili e chiaramente distinguibili: legno, vetro, mattoni, intonaco, ecc.
Lo sviluppo di questo concetto base serve come modello e come punto di partenza.
La sfida vera del progetto per il nuovo millennio è realizzare scuole che consumino poca energia, edifici che rinunciano al superfluo e producano pochi rifiuti, architetture a basso costo con materiali riciclabili e tecnologie che rendano facile l’assemblaggio ed il riuso dei suoi componenti: edifici come organismi viventi e biologicamente sani.
Questi edifici devono essere in grado di raccontare quei contenuti di sostenibilità di cui la nostra società ha bisogno per il proprio sviluppo.

Lia Gallinari è tecnico della sicurezza del Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro della AUSL di Reggio Emilia, recentemente intervenuta al convegno “La sicurezza sostenibile. Orientare la scuola sul sentiero della sicurezza”, tenutosi a Bologna nel mese di Aprile.

Quali sono gli adeguamenti a cui le scuole devono adempiere entro il 30 giugno 2006?
La scadenza fa riferimento alla L.26 del 2005, che richiamando leggi precedenti proroga di altri sei mesi le scadenze relative agli adeguamenti per la messa a norma degli edifici scolastici. Invece non è prorogato tutto ciò che è di diretta pertinenza del dirigente scolastico, quindi tutto il programma di formazione e tutto il sistema di organizzazione della sicurezza previsto dalla L. 626/94: Piani di Emergenza, registro delle prove di evacuazione, le nomine degli addetti alle emergenze, ecc.

A suo parere qual è la maggiore difficoltà che si incontra nel promuovere la cultura della sicurezza e della prevenzione nella scuola?
Le principali difficoltà sono a mio avviso ancora di ordine culturale.
Naturalmente la struttura deve essere adeguata, però a tutt’oggi il passaggio che troviamo più difficoltoso è ancora quello culturale, soprattutto rispetto al corpo insegnante. Che ancora pensa che la sicurezza debba essere il patrimonio di una specifica persona all’interno della struttura – come ad esempio il responsabile del servizio di prevenzione e protezione – senza capire che in questo modo disattende un passaggio di tipo culturale. Avere atteggiamenti sicuri, tenere comportamenti sicuri, attenersi alle regole è una questione di natura culturale-educativa, che può essere attraversata da tutte le discipline curricolari. Ci sono diverse indicazioni per cui è ampiamente possibile poter affrontare questi argomenti in coerenza con i programmi didattici.

Qual è l’offerta che fate alle scuole in merito alla sicurezza?
Principalmente la nostra è un’offerta di assistenza a 360 gradi. Noi lavoriamo con le scuole di Reggio Emilia ormai dal ’96 e in questi anni abbiamo prodotto tutto il materiale utile per adempiere alla L. 626/94. Inoltre abbiamo da tempo sviluppato dei progetti educativi in rete con le scuole, inizialmente gestiti da noi, che adesso fanno parte dell’attività corrente.
Quindi da una parte tutto ciò deve serve al dirigente scolastico per adempiere agli obblighi di legge, dall’altra l’organizzazione del sistema che garantisce la formazione quotidiana e periodica insieme alla produzione di materiali utili.
La sicurezza per un anno può essere un progetto speciale, ma in realtà deve diventare attività curricolare. E comprendere tutti gli aspetti, fino alla formazione dedicata ai progetti di alternanza scuola-lavoro, che noi riteniamo ancora un punto debole della catena. Infatti a quel punto l’equiparazione dello studente al lavoratore da virtuale diventa assolutamente reale, e devono scattare tutte le norme di tutela perchè siamo di fronte a un minore, e la scuola deve garantire in primis la sicurezza.

Il prof. Giorgio Raffellini è Direttore del Laboratorio di Fisica Ambientale e Qualità Edilizia e Energy Manager dell’Università degli Studi di Firenze.

Cosa comporterà l’ottenimento della certificazione energetica per gli edifici scolastici?
Premesso che, in base alla Direttiva 2002/91/CE, la certificazione energetica diventerà obbligatoria in tutti i Paesi della U.E. dal Gennaio 2006, si rileva che ad oggi , purtroppo, non esiste ancora in Italia un Decreto che fornisca precise indicazioni applicative per il rispetto di tale Direttiva Europea. Banca Dati Dia
Questa Direttiva è stata emanata al duplice scopo di classificare la maggior parte degli edifici della Comunità in termini energetici, e quindi stimolare risparmi di energia per interessare il mercato immobiliare, e di conseguenza perseguire risparmi in termini economici correnti e allo stesso tempo immettere nell’ambiente quantità minori di inquinanti di vario genere, anche in accordo con quanto promesso nel protocollo del trattato di Kyoto (1998).
In sintesi si dovrà, per ogni edificio di nuova costruzione e per quelli esistenti, di superficie maggiore di 1.000 m quadrati, salvo poche eccezioni, dichiarare da parte di un tecnico-esperto dichiarare quali sono i reali consumi annuali di energia di quella struttura relativamente a: riscaldamento e ventilazione, produzione acqua calda , condizionamento, energia elettrica, altri vari. Oppure, in mancanza di dati rilevati, il tecnico dovrà darne una stima secondo metodi di calcolo in accordo con Norme Internazionali o Nazionali.
Pertanto gli Enti Pubblici proprietari di edifici scolastici (Provincie, Comuni, Università ), e anche i Privati se proprietari, dovranno assolvere questo dovere e prevedibilmente intervenire per ridurre i consumi relativi. Si otterrà in tal modo una schedatura energetica della maggior parte degli edifici esistenti con conoscenze utili sia per le Proprietà che per i Conduttori degli stessi, da cui si potranno ricavare dati, statistiche, e soprattutto “pagelle energetiche” da rendere pubbliche, e se i risultati sono censurabili provvedere di conseguenza.

In che modo questo potrebbe diventare parte di un progetto didattico? Può fare l’esempio di un’esperienza già realizzata?

Come tradurre quest’obbligo in progetto didattico dipenderà innanzitutto dall’età degli studenti e dalla loro capacità di apprendimento, e pertanto le iniziative potrebbero essere tante ed a vari livelli, commisurate appunto alle loro capacità. L’obiettivo principale dovrebbe in ogni caso essere il destare un reale interesse per questi temi, importantissimi in termini economico-politici ed ambientali.
Per citare un esempio: la realizzazione di un impianto solare fotovoltaico per la produzione di energia elettrica ( 20 kW di picco) da parte dell’Università di Firenze nell’edificio del Dipartimento di Fisica nel Polo Universitario di Sesto Fiorentino è visitabile, su richiesta approvata, da parte di tutte le scolaresche di qualsiasi classe mentre, per rendere immediata la visione di quanto esso produce, è stato installato nell’atrio del Dipartimento uno schermo che mostra in ogni istante l’energia elettrica prodotta e un registratore ad esso collegato riepiloga tali dati in valori orari, giornalieri, mensili e annuali.