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25 Giugno 2008

Scenari futuri degli ambienti di apprendimento

Intervista ad Alessandro Biamonti, docente presso il Politecnico di Milano, sul valore e le trasformazioni dello spazio a scuola

di Maria Grazia Mura

Lei ha sostenuto che il futuro degli spazi dell’apprendimento trova risposta nel design dei Sistemi Ambientali. Può spiegare cosa significa?

L’approccio dei Sistemi Ambientali di grande interesse quando si parla di scuola perchè permette di chiarire e definire una realtà che non è l’architettura e neppure il design di prodotto, una realtà importantissima che probabilmente oggi nel mondo del progetto non ha ancora una adeguata definizione teorica. Quando si parla di scuola, per problemi sia logistici sia di contenuto, questo è forse il livello che permette davvero di fare qualcosa, perchè consente di non subordinare tutto alla trasformazione edilizia, soggetta a tempi lunghi ed a procedure complesse e costose.
Di cosa si tratta? In accordo con il Prof. Andrea Branzi si può affermare che il design dei Sistemi Ambientali è un’attività di trasformazione degli spazi interni, oggettuale e allestitiva, basata su prodotti ed elementi di arredo, impianti tecnici, componentistica, strumentazioni. Gli ambienti sono affrontati mediante allestimenti ri-configurabili capaci di rispondere a nuove necessità funzionali e di comunicazione. È un livello intermedio, quindi, tra l’architettura, che sconta una certa difficoltà ad adeguarsi ai cambiamenti e il design di prodotto, che lavora invece sempre sul singolo oggetto. L’idea è quella di intervenire su un sistema e combinarne gli elementi in maniera allestitiva. In questo modo è possibile realizzare spazi per l’apprendimento come ambienti autonomi rispetto al contenitore architettonico, capaci di adattarsi ad esigenze diverse e modificabili nel tempo. Più che un ambiente dove trovano posto le ICT, si tratta di un ambiente dove queste hanno un ruolo centrale, è il livello ottimale dove pensare di sperimentarne l’introduzione. In piena collaborazione con le nuove tecnologie, i luoghi deputati alla conoscenza diventerebbero ambienti più permeabili, attivatori relazionali aperti alla società che ci circonda, sia realmente, che virtualmente. È quindi più che mai auspicabile una riflessione progettuale che, prendendo in considerazione le nuove caratteristiche e necessità legate alla gestione della conoscenza, stimoli il passaggio dall’attuale concetto di spazio, chiuso e rigido, a quello di Sistema Ambientale, attraversabile e flessibile. Il processo progettuale di questi sistemi nasce dall’osservazione dei bisogni attuali e dall’immaginare i bisogni futuri. Utilizza anche l’osservazione di come i bisogni sono stati soddisfatti in altri campi per mutuare le soluzioni più interessanti. Ad esempio l’arredo universitario è fermo da decenni, per non parlare poi di quello della scuola media superiore. Forse qualcosa, anche in relazione alle tecnologie sta cambiando, ma soprattutto in termini estetici. Sembra che tutto si risolva nel mettere un proiettore attaccato al soffitto, mentre invece sono tanti i campi che si potrebbero esplorare, ad esempio l’integrazione diversa tra il mondo delle postazioni singole e quello dello spazio per il lavoro collettivo. L’interazione ed i processi che possono essere attivati con le nuove tecnologie nel campo dell’apprendimento rappresentano anche un nuovo mercato: già diverse aziende hanno mostrato interesse e sostenuto il nostro lavoro. Anche se bisogna ricordare che esiste un problema di bandi di gara d’appalto, dove le qualità prestazionali passano spesso in secondo piano rispetto alle questioni economiche.

 

Dunque una collaborazione tra chi elabora nuove modalità di conoscenza e chi progetta gli artefatti che mediano queste nuove modalità?

Tutto nasce dall’inadeguatezza dell’attuale sistema cattedra/banchi. Tranne rarissimi esempi ancora oggi si considera la conoscenza come un qualcosa che viene trasmesso in un’aula dove da una parte c’è una cattedra e dall’altra sono seduti gli allievi. Il design degli spazi di produzione e trasmissione della cultura è in ritardo rispetto a molti cambiamenti in atto nella società e credo quindi che al momento sia molto interessante un dialogo tra chi si occupa di ricercare nuove modalità di gestione, produzione e trasmissione della conoscenza e chi si occupa di arredo. I Sistemi Ambientali che compongono questi spazi devono necessariamente misurarsi con nuove questioni, come ad esempio le nuove tecnologie di comunicazione o le nuove modalità partecipative di apprendimento. Ad esempio, l’origine della comunicazione, ovvero il docente, potrebbe non avere più bisogno di una centralità spaziale, sviluppando così il suo ruolo di gestore della comunicazione. I nuovi sistemi non sono più riconducibili a file di sedie e tavoli, ma il frutto di un dialogo interdisciplinare teso a far scaturire quante più opportunità. L’introduzione delle ICT nella gestione della conoscenza apre scenari prima impensabili: l’e-learning è stato sicuramente un cambiamento epocale nell’apprendimento. Ma anche Second Life, ad esempio, se da una parte è una grande chat dove intrattenersi, dall’altro lato è anche un ambiente di divulgazione scientifica. Oltre a molte università anglosassoni, diverse Università e Centri di Ricerca italiani cominciano ad aprire il loro spazio o promuovono conferenze su Second Life. Entrandoci in maniera immersiva, ci si rende conto che le potenzialità sono incredibili, e che come piattaforma per sviluppare dei progetti educativi ha una grande potenzialità.

 

Quali nuove tipologie di spazi state sviluppando?

In quest’anno accademico, con il prof. Alessandro Deserti, stiamo affrontando quattro precise tipologie di ambiente:

  • L’aula piana
  • L’aula a gradoni
  • gli spazi di connessione
  • gli spazi di lavoro

Nel corso degli anni, con Lab.I.R.Int, abbiamo sperimentato in altri laboratori didattici, formulando ipotesi di ambienti nuovi, come ad esempio un nuovo tipo di aula a gradoni con delle partizioni flessibili, e abbiamo anche esplorato il mondo degli spazi relazionali e degli spazi di lavoro per studenti interni all’università. L’attuale tipologia dello spazio didattico si basa ancora sull’antico assetto delle scuole ottocentesche, basate sulla concentrazione fisica degli allievi e sull’isolamento visivo e gerarchico del docente all’interno di uno spazio fortemente direzionato, rigido e compresso. Il nostro obiettivo è stato quello di ipotizzare nuovi archetipi di aula, che rispondano alla necessità di una didattica dialogica, e si sviluppino come spazio policentrico, dotato di più fuochi e attrezzato con supporti tecnologici evoluti. Ne deriva un ambiente attraversabile secondo molte direzioni, privo delle attuali barriere, modulabile su piccoli e grandi gruppi.
Grazie a sistemi allestitivi e ad arredi flessibili i nuovi interni sono generati da più possibilità combinatorie, soprattutto immaginando di non utilizzare spazi architettonici già predisposti ma anzi poter fare riferimento ad ambienti a bassa definizione funzionale, tipici delle contemporanee dismissioni urbane. Ho utilizzato anche immagini mutuate da altri mondi. Faccio un esempio concreto, per un corso aziendale di cui curo il coordinamento, ho proposto di realizzare uno spazio simile ai cafè chantant: con la gente ai tavolini (il numero è ridotto, perchè si tratta di 15 persone) collocati davanti ad un palcoscenico. Si può lavorare al proprio progetto mentre si vede ad esempio un video. In questo caso lo spazio dell’apprendimento è immaginato come una messa in scena, una metafora del teatro.

 

Nelle vostre ricerche avete anche immaginato nuove tipologie di oggetti?

Qui si aprono mondi che farebbero davvero da volano per nuovi modi di comunicare la conoscenza. In collaborazione con il team del prof. Antonio Rizzo e della Prof.sa Patrizia Marti dell’università di Siena, abbiamo lavorato, ad esempio, sulla possibilità di utilizzare strumenti digitali per condividere gli appunti presi dai partecipanti, una pratica che afferisce alla modalità della costruzione dialogica della conoscenza. In un altro caso abbiamo ipotizzato l’uso di tavoli per piccoli gruppi dotati di webcam integrata, in modo che gli stati di avanzamento del lavoro – senza bisogno di altre intermediazioni – possano essere proiettati in uno schermo per essere condivisi. Anche abbiamo progettato la sostituzione della cattedra con un più generico speach-point, una struttura integrata ai supporti della comunicazione che può rappresentare il posto da cui gestire i contributi multimediali, gli interventi, le luci, ecc. Allo stesso modo l’attuale banco verrebbe sostituito dal desk individuale, una postazione attrezzata e flessibile, capace di adattarsi alle diverse configurazioni previste dalle differenti attività della didattica contemporanea.
Tutto questo è straordinario e noi abbiamo già tutte le tecnologie per farlo. Le possibilità sono entusiasmanti, anche se sono molte le difficoltà, seppure di ordine economico-normativo, che ne impediscono l’attuazione.

 

Dove si cominciano a concretizzare queste nuove soluzioni?

Ci sono casi studio che rappresentano alcune realtà universitarie europee. Ad esempio la facoltà di Industrial Design di Delft offre ai visiting professor e researcher una sorta mobile office: un trolley formato da una seduta contenitore su ruote – ed una serie di approdi dove poter lavorare, oltre ad una diffusissima rete di connessioni informatiche all’interno della struttura.
O anche la University of Art and Design di Helsinki, che oltre a consentire l’accesso agli spazi dipartimentali ad ogni ora del giorno per tutti i giorni della settimana, offre molte aree meeting ottenute dagli spazi di transito e interstiziali ed una possibilità di accesso a connessioni di rete particolarmente alta.

 

Cosa si augura per il futuro?

Avere la possibilità di realizzare un’aula sperimentale, avere anche una classe, un docente per testare appieno queste ipotesi. Anche se, in fase sperimentale, sarebbe più facile attivare queste modalità nell’ambito della formazione dei docenti. Se questo succedesse almeno dove vengono formati i docenti potrebbe costituire un ottimo inizio. Sarebbe davvero importante poter contare su una sensibilità politica che sostenga la sperimentazione di queste tecnologie in ricerche sul campo, sia con politiche di ateneo, sia magari in una classe della scuola secondaria superiore.
L’università è un po’ più reattiva ai cambiamenti, rispetto alla scuola, dove la tecnologia disponibile è davvero poca. Ma l’utilizzo di questo tipo di tecnologie avvicinerebbe molto le scuole superiori all’università, e soprattutto al tipo di ricerca che qui si svolge. Imparare a lavorare con le ICT avvicinerebbe molto al livello successivo di apprendimento. Quando si parla di life long learning si pensa ad una concezione dell’apprendere dove nessuno smette mai di imparare,dove non è più differito il tempo dell’apprendimento e il tempo del lavoro, ed è sempre forte il bisogno di imparare. Da questo punto di vista le modalità che creano continuità tra le fasi differenti della formazione credo che siano anche utili allo sviluppo della professionalità.
Anche l’uso di Second Life nella didattica, a volte quasi demonizzato, rappresenta secondo me un interessante campo di sperimentazione. In questo momento stiamo lavorando, insieme all’università di Siena, ad una ricerca per la formazione adulta (i docenti e gli addetti all’università) dove i ricercatori di Siena sperimentano nuove modalità di costruzione e trasmissione della conoscenza e noi, insieme a loro, ne studiamo le ricadute sugli spazi e sui sistemi di arredo. Ne è nato un ottimo dialogo perche loro sono molto sensibili a quel filone del design centrato sullo user, ciò sull’utente. Il loro ambito è quello del HCI (Human Computer Interaction) da dove elaborano nuovi modelli di costruzione e gestione della conoscenza e nuove modalità di rapporto tra docente e discente. E allora, il fatto che esistano le ricerche, le soluzioni e l’impegno, significa che ci sarebbero già i contenuti per fare un’evoluzione nell’ambito dell’apprendimento, e credo davvero che ci meriteremmo qualcosa di più come società!

 

Alessandro Biamonti è autore di Learning Environments, testo che prefigura il futuro degli spazi di apprendimento come ambienti profondamente influenzati dall’ingresso delle ICT e pensati tra Architettura e Design dei Sistemi Ambientali.
Foto Aula 3.0 Ic9 Bologna (credit G. Moscato)