di Stefania Chipa
18 Novembre 2004
Dopo il grande passaggio dall’oralità alla scrittura, un’altra tappa fondamentale ha segnato la storia del testo e della comunicazione: la “rivoluzione digitale” ha inciso profondamente sul significato e sulla funzione della scrittura. Con internet e le nuove tecnologie della comunicazione il testo ha acquistato nuovi e più complessi significati, ha assunto in sé codici e regole diverse. I mezzi elettronici hanno prefigurato possibilità non immaginate prima, hanno rivoluzionato molti dei convincimenti in fatto di lettura e scrittura, hanno agito profondamente sulle forme della testualità, sul ruolo del lettore e dello scrittore, sul significato stesso di testo. Ne abbiamo parlato con Giovanni Biondi, direttore di Indire, uno degli istituti più rappresentativi in Italia per la documentazione e la ricerca educativa.
David Bolter (Writing space, 1993), ha descritto per la prima volta la scrittura in termini di “luoghi” prima che parole. Scrittura come struttura, organizzazione logica e spaziale dei contenuti. Scrittura, quindi, come progetto. Che cosa pensa di questa affermazione?
Recuperare la dimensione della progettualità nella scrittura è un elemento fondamentale. Pensare la scrittura come progetto non significa solamente strutturare il proprio pensiero, ma strutturarlo in funzione del medium che si vuole utilizzare. La scrittura del passato (e sto pensando in particolare a quella dell’Ottocento) era una scrittura lineare, che si organizzava in modo sequenziale, rispecchiando un’organizzazione della conoscenza di questo tipo. Oggi l’organizzazione del sapere si è complicata, è diventata di tipo reticolare e la scrittura deve necessariamente riflettere questa complessità. E per farlo ha bisogno di recuperare la dimensione della progettualità. Quale è la “salute” della scrittura oggi? Riesce a rappresentare questa reticolarità di pensiero? La mia opinione è che ci sia ancora un po’ di strada da percorrere. La saggistica è piuttosto accademica, la letteratura scientifica stampata è abbastanza inadeguata. Non è un caso che il World Wide Web sia stato ideato proprio in ambiente scientifico (CERN di Ginevra) per rispondere alle esigenze dei ricercatori in fisica di diffondere e condividere con altri studiosi le proprie conoscenze. I nuovi media hanno quindi aperto nuove vie per organizzare la conoscenza in modo reticolare.
Scrittura come leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità. Queste erano le proposte di Calvino per la scrittura del nuovo millennio (Lezioni americane, 1985). Quegli aggettivi possono descrivere la scrittura di oggi?
Sentendola citare questa affermazione di Calvino, la mia mente di letterato ha richiamato subito un riferimento: Braudel. Fernand Braudel è stato una grande storico del passato che è riuscito a scrivere in modo leggero. La scuola delle Annales alla quale si rifaceva ha introdotto un nuovo modo di comunicare la storia: non più “evenemenziale” (e quindi, in un certo senso, sequenziale), ma con un approccio globale. Il racconto storico, quindi, come rappresentazione globale della storia umana, alla cui ricostruzione concorrono tutte le scienze sociali. Anche il linguaggio, e quindi la scrittura, hanno dovuto adeguarsi a questo modo diverso di rappresentare e comunicare i contenuti. Una scrittura che ha dovuto cercare nuove vie: di leggerezza, di rapidità, di molteplicità.
Scrittura e scuola: che tipo di scrittura è quella della scuola? Che uso ne fa? Come la insegna?
La scuola italiana ha ancora un po’ di cammino da percorrere per riuscire a fare proprio questo modo nuovo di scrivere. Deve prima di tutto vincere la sua tendenza ad impermeabilizzarsi ai cambiamenti per, al contrario, poterli vivere da protagonista. A sentire gli insegnanti, gli elaborati di italiano degli studenti di oggi tendono ad una sorta di “elementarizzazione”; l’uso insistito della coordinazione, rispetto alla subordinazione, riflette una strutturazione più elementare del pensiero. Questo non deve farci pensare che dobbiamo scrivere in modo complicato. Il mondo anglosassone utilizza un temine preciso per indicare una scrittura “faticosa”, che non si dipana in modo leggero: nested (annidiata). Non è la complicazione della scrittura, ma la sua complessità. Quando Calvino parlava di scrittura lineare e leggera immaginava una scrittura in grado di assorbire questa complessità, di farla propria. Pensava ad una scrittura meditata, progettata, pensata; una scrittura capace di adottare e di adattarsi a nuovi media, una scrittura che reclama a chi scrive un ruolo da protagonista.
“Adesso voglio che strappiate quella pagina. Mi avete sentito? Strappatela! (…) Strappate, stracciate, rompete, frantumate, non voglio sentire altro che gli strappi. Ed ora, miei adorati, imparerete di nuovo a pensare con la vostra testa, ad assaporare parole e linguaggio. Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo!”.
La scuola italiana deve comportarsi come gli studenti de “L’attimo fuggente”: deve “strappare quella pagina”, riappropriarsi della scrittura e della lettura, rimettersi al centro, tornare protagonista come “educatrice”.
La scrittura come strumento di comunicazione della scuola e per la scuola: la scuola racconta se stessa, i propri progetti, le proprie iniziative.
Nonostante gli sforzi, la scuola ha molta difficoltà a raccontare se stessa. Un esempio riuscito di racconto della scuola su di sé è il libro di Paola Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, un racconto-riflessione scritto da un insegnante di letteratura sul mondo della scuola italiana e sul mestiere di insegnante. Se analizziamo i modi in cui la scuola racconta agli altri le proprie iniziative e attività (e Indire, con la banca dati GOLD, è uno “scrigno” delle migliori esperienze didattiche delle scuole italiane) ci rendiamo conto che utilizza un registro comunicativo piatto. E questo è proprio il suo problema. La scuola quando si racconta lo fa in modo distaccato, come se non stesse parlando di se stessa. Sembra raccontare fatti accaduti in altri luoghi e in altri tempi, fatti che stanno fuori della sua storia. La via che dobbiamo percorrere è quella del recupero del protagonismo nella scrittura, l’essere dentro le cose che si comunicano, che è ciò che rende vivo un racconto.
Indire collabora con il Dipartimento di “Scienze dell’Educazione e dei Processi Culturali e Formativi” e con il “Laboratorio di strategie della comunicazione” dell’Università di Firenze all’organizzazione di un Master, “Digital writing – Scrivere per i nuovi media”. Un’iniziativa originale nel panorama dell’offerta formativa degli atenei italiani. Quali sono state le motivazioni che hanno spinto a sostenere questo progetto?
La voglia di aiutare la scuola a trovare dentro se stessa le motivazioni e gli strumenti per partecipare da protagonista al processo di cambiamento della scrittura. L’esigenza di arrivare a produrre contenuti efficaci sul piano comunicativo. La necessità di potenziare la scrittura, facendola dialogare con codici diversi: alfabetico, iconico, sonoro, audiovisivo. La consapevolezza che la difficoltà che la scuola e gli studenti incontrano a raccontarsi è un problema di rappresentazione, di organizzazione, di comunicazione delle conoscenze. Ed è su questi tre versanti che è necessario lavorare per riorganizzare il sapere e il modo di comunicarlo attraverso la scrittura, per cambiare la prospettiva e innovare la scuola dall’interno.
|