di Antonio Sofia
01 Dicembre 2004
Nell’incedere intenso e frenetico del quotidiano, può accadere di fermarsi per il tempo di uno sguardo, scoprirsi a fissare qualcuno, qualcuno che per il suo modo di stare con gli altri sorprende, inquieta o spaventa. Ci si scuote dopo un attimo e si procede verso i propri obiettivi. L’oggetto di quello sguardo rimane distante, un altro mondo. E’ spesso la maniera in cui veste, in cui si muove, la lingua incomprensibile. O la scelta, ancor meno comprensibile, di vivere per la strada, senza nessuno o solo con qualcuno altrettanto… strano.
Si “permette” a quella diversità di fluire, fintanto che non voglia opporre resistenza al consueto procedere nel proprio vivere: cercando di ricondurla a ciò che si sa, si conosce. Gli elementi che possono aver motivato quel momento di interrogazione imprevisto, tornano sullo sfondo. Aiutano le categorie, banali e tremendamente bugiarde, a non vacillare oltremodo: lo straniero, il barbone, il tossicodipendente, o un diversamente abile, un religioso, un portatore sano di ideologia, qualsiasi essa sia. Rassicura sapere che l’esteriorità permetta di non cadere nel vuoto, nel dubbio, e si restringa il tempo della domanda a quello sguardo senza conseguenze, carico di vile indifferenza.
Ma può accadere che lo stesso intenso e frenetico ritmo sia interrotto da un discorso poco chiaro, da un pianto sconcertante, da un momento di smarrimento imprevisto e difficilmente plausibile: chi sta parlando, chi sta dicendo cosa, perché piange, o solo perché trema. Le domande non trovano alcuna risposta negli abiti, né nella voce. Sembra incredibile stia accadendo, sembra che il tempo dello sguardo rapito si distenda fuori controllo, sembra che il passo stenti a proseguire nella sua sicurezza. Non ci sono parole, figure o categorie per spiegare: perché quella donna, o quell'uomo, parlava da sola, perchè ha pianto improvvisamente, o perchè si è messa a tremare abbassando gli occhi, dinanzi alla strada da attraversare, chiedendo aiuto. Le domande non trovano quiete e chiedono allo sguardo una promessa: la prossima volta si rivolga altrove, al primo cenno di qualcosa del genere, si rivolga altrove per non rimanere catturato nel rischio di ciò che non sa, non può spiegarsi. E si costituisce la categoria di ciò che non deve essere nè visto nè ascoltato.
I disturbi della mente non vestono facili abiti, non permettono un’immediata definizione, né si prestano facilmente ad avere un nome. I disturbi della mente richiedono urgentemente di non essere visti, perché il passo proceda sicuro e le domande zittiscano. E’ l’emarginazione cui chi soffre queste patologie è costretto: non deve farsi vedere, per non spaventare, perché la mente dei sani non può e non deve sapere di potersi ammalare.
Avviene che non sia un incontro occasionale, che non sia un passante o un compagno di autobus a vivere il disturbo mentale, ma che sia un familiare. Avviene che la disperazione sia in una famiglia e sia, dinanzi agli occhi di chi non la comprende, una condanna senza rimedio. E avviene che il malato diventi colpevole di portare dolore ai suoi cari. Avviene che sia in una classe, a scuola, e sia un bambino a soffrire, e diventi colpevole di non guarire o solo di non saper spiegare cosa è che gli passa per la testa, quando diventa strano e irrequieto. Avviene che sia l’insegnante a non farcela più, a non chiedere aiuto perché altrimenti diventa un pazzo qualsiasi, un altro da non guardare.
Ma non deve essere così, se spesso è così: i disturbi della mente possono esser curati, compresi, soprattutto conosciuti. Perché non costituiscano un’ulteriore categoria, la peggiore forse, ma perché si possa sapere che il senso di uno sguardo strappato al proprio tempo può dare respiro a chi si sente spesso costretto a non farsi vedere, a non farsi ascoltare. In questo senso le iniziative dei volontari, l’educazione nelle scuole e nelle famiglie, la sensibilizzazione da parte di specialisti capaci di spiegare cosa sono e come si curano i disturbi mentali, contribuiscono a capire qualcosa di più.
Il 5 Dicembre, il ministero della Salute ha promosso la Giornata nazionale per la salute mentale: in tutta Italia, nei Capoluoghi Regionali, saranno allestiti gazebo informativi in cui sarà fornito materiale informativo da parte delle Associazioni specialistiche che collaborano con l’iniziativa. Lo slogan della giornata è chiaro e significativo: “Curare i disturbi mentali si può. Vincere il pregiudizio si deve”.
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