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E-LEARNING

SCORM, LO, LMS, SCO: ma come parli?

La lingua dell’e-learning è fatta di acronimi che sembrano inventati per marcare la distanza con il lessico della scuola. Iniziamo ad analizzare questo problema parlando di SCORM

di Massimo Faggioli
30 Settembre 2005

Per molti versi la storia del rapporto (o meglio dei tentativi di intraprendere un rapporto) tra scuola ed e-learning potrebbe essere rappresentata come la storia di un colossale paradosso.

Da una parte abbiamo tutto un mondo che guarda la scuola dall’esterno, animato da politici, docenti universitari, ricercatori, editori, esperti di e-learning di ogni provenienza che discutono soluzioni applicative e ipotesi di sviluppo della formazione a distanza. Se ne discute in termini evolutivi, chiedendosi cosa correggere, cosa eliminare, cosa incrementare nella progettazione di ambienti di apprendimento, come sta cambiando il ruolo del docente e l’organizzazione della didattica. Ci si comporta insomma come quando si analizza un fenomeno in atto da tempo.
Dall’altra parte c’è la scuola reale, dove i principali interessati di tutto questo gran discutere, gli insegnanti, sono quasi del tutto ignari di essere al centro del dibattito: se andassimo a vedere cosa si muove nelle scuole intorno al tema dell’uso dei Learning Object nella didattica, ci accorgeremmo che non sta succedendo quasi niente e che alla grande maggioranza dei docenti arriva, nella migliore delle ipotesi, un’eco molto attenuata di questa querelle scientifica.  

È uno scollamento che fa venire in mente l’azione parallela messa in scena da Musil ne “L’uomo senza qualità”, un progetto di cui non si conosce nessuna operazione concreta ma che dà luogo a interminabili discussioni preliminari tra uomini condannati all’impossibilità di agire. Non c’è dubbio che è compito del mondo della ricerca progettare soluzioni innovative che sopravanzino di molto le conoscenze e le pratiche dei contesti applicativi. Ma qui il problema è diverso. L’avvento dell’e-learning, che, per il mondo della scuola, è un fenomeno più virtuale che reale, ha portato - almeno nel nostro paese - a un fenomeno di sovrapposizione di una cultura di ispirazione pragmatica e tecnologica su una di ispirazione pedagogica e umanistica che è stata, fino ad oggi, lo sfondo teorico che ha sostenuto l’evoluzione del sistema educativo. Questo fenomeno travalica del tutto la distanza sostenibile tra ricerca e campi applicativi, perché interrompe quel dialogo indispensabile tra chi ricerca e chi applica, condizione essenziale per innescare processi di sperimentazione sul campo.

Scorrendo i programmi dei convegni sull’e-learning ci si accorge che gli studiosi di scienze dell’educazione che hanno animato il dibattito sull’innovazione degli ultimi decenni sono altrove, nei convegni dove si parla di pedagogia e di scuola. L’incomunicabilità dei due mondi è sotto gli occhi di tutti e comporta costi gravissimi in termini di spreco di energie e risorse. Non è più possibile continuare a scaricare la responsabilità di una situazione così complessa sulla scuola e sugli insegnanti che sarebbero retrogradi, refrattari all’innovazione, diffidenti verso le nuove tecnologie. Fino a quando non tenteremo di avviare un processo di avvicinamento che ripristini il dialogo tra le due comunità di addetti ai lavori, le possibilità di risolvere il problema saranno minime.

La standardizzazione Banca Dati Diadelle piattaforme di formazione online realizzata in seguito all’affermazione di SCORM è un esempio tipico di quanto ho sostenuto fin qui. Di per sé il fatto sembrerebbe riguardare un campo strettamente riservato ai ricercatori dell’area tecnologica e agli informatici. Che cos’è infatti SCORM? Cercherò qui di seguito di darne un’idea semplice, evitando il più possibile di scendere in questioni di tipo tecnico. La ADL (Advanced Distributed Learning) è un’iniziativa sponsorizzata dal Dipartimento della Difesa statunitense in coordinamento con l'Office of Science and Technology Policy della Casa Bianca. Nasce con l’obiettivo di supportare una visione del futuro della scuola e della formazione in cui piccoli elementi di software didattico, o oggetti didattici (SCO - Shareable Courseware Objects) creati nei contesti più diversi, possano essere ricercati, scaricati dalla rete e assemblati per creare un'offerta didattica che risponda alle specifiche esigenze di ogni allievo.

Questi oggetti didattici (LO - Learning Object) devono avere, secondo il progetto dell'ADL, alcune caratteristiche comuni:

· devono essere rintracciabili. Devono essere quindi creati degli standard accettati da tutti per archiviarli, in modo che sia possibile fare ricerche su appositi motori di ricerca che interrogano simultaneamente una rete di database dove gli oggetti risiedono fisicamente e da dove è possibile scaricarli (repository);
· una volta trovati, questi oggetti devono essere usabili. Devono cioè poter funzionare su diverse piattaforme, sistemi operativi, browsers: è questo il campo che viene comunemente definito “interoperabilità”, cioè la possibilita di far lavorare un oggetto didattico in qualsiasi ambiente in cui chi lo acquisisce abbia intenzione di usarlo;
· una volta messi al lavoro, gli oggetti didattici devono essere affidabili, e in particolare indipendenti dalle caratteristiche della piattaforma che li ospita: se la piattaforma sottostante viene modificata, devono continuare a funzionare allo stesso modo;

Per raggiungere questi obiettivi, il governo americano ha promosso lo sviluppo di un modello di riferimento per i corsi di formazione condivisibili in rete (SCORM: Shareable Courseware Object Reference Model). SCORM è di fatto un insieme di linee guida per definire un formato dei Learning Object e dei corsi che ne consenta la trasportabilità attraverso piattaforme di formazione (LMS - Learning Management System) differenti. SCORM definisce in primo luogo le relazioni dei componenti di un corso, la sua struttura. In secondo luogo definisce come funzionano i vari i vari pezzi del corso, i learning object, stabilendo come tracciare e registrare i comportamenti dello studente all’interno di ognuno: cosa legge, che risultati ottiene nei test, quante volte ripete una prova, quante volte è ammessa la ripetizione di una prova.

Lo standard SCORM è quindi un insieme di specifiche che danno indicazioni su:

· come creare un oggetto digitale per l’apprendimento che può essere riconosciuto e messo in funzione da un LMS (una piattaforma per la formazione online) SCORM compatibile. L’oggetto può essere usato dagli studenti e può dare informazioni (che vengono registrate dalla piattaforma) su ciò che ciascuno fa durante il suo utilizzo (tracciamento).
Volendo esemplificare questo processo potremmo ipotizzare che una scuola di Banca Dati DiaSidney crei un oggetto per l’apprendimento sui monomi, lo confezioni in un formato digitale inserendovi moduli teorici, esempi e prove di autovalutazione. Questo oggetto viene corredato con un file XML contenente dei campi di testo che lo descrivono, organizzati seguendo uno schema di dati standardizzato e condiviso (metadata), viene impacchettato in formato zip e trasferito su un server che lo ospita e lo rende disponibile ai motori che fanno ricerca sui metadati. Probabilmente la scuola di Sidney utilizzerà dei programmi per lo sviluppo e l’impacchettamento degli oggetti che inseriscono automaticamente tutte le istruzioni tecniche necessarie a creare uno SCO (Shareable Content Object, ovvero oggetto SCORM compatibile) e si concentrerà solo sulla progettazione della strategia formativa e dell’interfaccia. Una scuola di Roma, cercando learning object per creare un corso di algebra, trova l’oggetto sul server di Sidney, lo scarica e lo immette nella propria piattaforma di formazione, per esempio una delle molte piattaforme open source che si trovano in rete, come Moodle o ADA. La scuola di Roma eroga il corso ai suoi studenti e il loro docente riceverà un rapporto su cosa fa ogni studente con quell’oggetto: quali pagine apre, quanti errori commette, quante volte ritenta i test;

· come deve essere organizzata una piattaforma di e-learning per riconoscere, erogare agli studenti e tracciare un Learning Object SCORM compatibile. Questo è un aspetto tecnicamente più complesso che solo in casi molto rari può interessare una scuola: i programmatori di piattaforme che vogliono usufruire della possibilità di interscambio di oggetti SCORM compatibili devono fare in modo che il loro prodotto parli la lingua di SCORM, sia cioè in grado di interpretare il codice delle istruzioni che sono contenute nel pacchetto di ogni learning object;

La versione più recente di SCORM è la versione 1.3, meglio conosciuta come “SCORM 2004”. Tuttavia, a dimostrazione della grande difficoltà ad adottare standard che hanno implicazioni così forti sullo sviluppo di oggetti, tutti utilizzano ancora la versione 1.2 pubblicata nel 2001.

L'architettura degli oggetti di SCORM 1.2 è composta da quattro elementi essenziali:

1. Learning Object (LO): l’entità minima della quale si compone un corso. Come abbiamo visto, uno stesso Learning Object, se compatibile con lo standard SCORM, può essere utilizzato all'interno di corsi diversi (architettura modulare);
2. Learning Management System (LMS): il sistema di gestione del corso che ne consente la fruizione (la piattaforma tecnica in cui avviene la formazione online);
3. Course Structure Format (CSF): un insieme di istruzioni sulla struttura di un’entità “corso”, che ne permettono la fruizione in LMS differenti, purché SCORM compatibili. L’organizzazione del corso definisce la posizione che i singoli oggetti occupano al suo interno ed è descritta in una struttura gerarchica ad albero.
4. Runtime, il sistema informatico che avvia il corso, rispondendo alle azioni dello studente.

Ma vediamo più da vicino che cos’è un Learning Object per SCORM. Un Learning Object può essere o un “Content Aggregation Package” o un “Resource Package”.

Un “Resource Package” rappresenta una collezione di assets, cioè di oggetti digitali minimi (singoli files) che non sono organizzati e impacchettati secondo una strategia formativa, ma sotto forma di elementi informativi minimi (un file audio, un’animazione, un’immagine, una pagina di testo, ecc.). Un pacchetto di risorse può contenere uno o più assets, ma in ogni caso, essendo una sorta di collezione di oggetti non strutturati, non conterrà istruzioni sul tracciamento. La nostra scuola di Sidney potrebbe creare un pacchetto che contiene foto della città, un elenco di documenti di testo, un video. Questo “resource package" verrà trovato da chi, su un motore di ricerca dedicato a questi oggetti, cercherà ad esempio “città + Australia”: una volta scaricato il file zip l’insegnante si troverà una collezione di oggetti e sarà libero di usare gli assets in un proprio progetto educativo.

Il “Content Aggregation Package”Immagine tratta da http://wuarchive.wustl.edu/aminet/pix/real3/Rubik.jpg  è invece organizzato da uno o più Learning Object, oggetti che come abbiamo visto sono strutturati, hanno un’intenzione educativa, dichiarano i propri obiettivi. Questi oggetti, definibili anche come Shareable Content Objects (SCO) contengono sempre una descrizione di se stessi  (metadata) scritta nei campi di un "manifest file". Esistono oggi molti programmi per generare il manifest file, preoccupandoci solo di scrivere il testo che vogliamo immettere nei campi. Ricorrendo ancora a un esempio, potremmo immaginare che la scuola crei un corso sulla cultura australiana, sviluppando alcuni learning object orientati al raggiungimento di specifici obiettivi di apprendimento. Vediamo come procederà per crearne uno per far apprendere agli studenti i modi per affrontare il contrasto tra culture. Lavorando su un programma di sviluppo multimediale adatto alla fruizione sul web, per esempio Macromedia Flash, gli autori creano un ipertesto in cui lo studente può accedere a una sezione di schede teoriche sull’argomento, interagisce con alcuni studi di caso che presentano situazioni critiche, esegue infine un test che misura i suoi atteggiamenti nei confronti del problema. Una volta messo a punto questo oggetto, l’autore compila la scheda in XML per descriverne la struttura e il contenuto, lo impacchetta in un file zip e invia il tutto al repository che ospita i learning object prodotti dalla scuola.
(Lo standard 1.2 non dà nessuna istruzione sulla sequenza in base alla quale debba essere fruito il contenuto di un corso. Lo studente è  libero di scegliere qualsiasi oggetto che ne fa parte). 

Continuare la descrizione delle funzioni di SCORM richiederebbe ancora molto lavoro e ci porterebbe inevitabilmente ad approfondimenti di natura tecnologica. Ma, ai fini del nostro discorso, la descrizione dell’impianto superficiale dello standard potrebbe già porre a chi si occupa di scuola qualche interrogativo intorno a due campi problematici:

Primo fra tutti il campo della riusabilitàBanca Dati DiaE' utile per la scuola un sistema di distribuzione e di interscambio di oggetti didattici impacchettati in involucri chiusi, di cui è possibile leggere una scheda che dà informazioni schematiche? È proponibile un sistema che distribuisce all’insegnante oggetti che nascono nei contesti più disparati, portando con sé le scelte progettuali e le intenzioni formative di chi li ha pensati? L’assemblaggio di questi oggetti somiglierà alla costruzione ordinata di chi li descrive come i mattoncini di un LEGO della conoscenza, o sarà invece un’accozzaglia eterogenea che impegnerà l’insegnante in un gravoso tentativo di dare un senso unitario (che è una delle caratteristiche fondanti di ogni ambiente di apprendimento) a pezzi di un puzzle impossibile?

Su questi problemi Indire ha espresso da tempo una posizione critica molto netta: se non è possibile rintracciare gli oggetti in base a strategie formative, a modalità d’uso, a elementi qualitativi, l’unico trait d’union per progettare assemblaggi resterà il contenuto. L’insegnante non potrà certo cercare e selezionare oggetti perché vuole allestire un ambiente di apprendimento collaborativo basato sul problem solving in matematica. Nessun campo dei metadata gli darà queste informazioni: del resto per SCORM gli oggetti didattici si chiamano SCO (shareable CONTENT object). L’insegnante, per far lavorare sui triangoli bambini dai 6 agli 8 anni, troverà, con ogni probabilità, oggetti per bambini della scuola primaria basati sugli approcci più diversi a quest’area disciplinare, qualcuno orientato alla memorizzazione di definizioni astratte con test di verifica, qualcuno con esemplificazioni del passaggio dall’analisi degli oggetti del mondo reale all’astrazione delle forme geometriche, e così via. Cosa potrà fare di una collezione di oggetti di questo tipo? Come li adatterà alle linee guida della sua progettazione educativa? Sembrerebbe quasi che l’enfasi sull’interoperabilità si basi sull’idea di una scuola senza intenzioni educative, senza strategie per l’apprendimento, tutta basata sui contenuti e priva di metodologia. È un orizzonte in cui la scuola, almeno quella migliore, non si riconosce. Presentarsi alla scuola con progetti che si limitano a proporre l’uso di repository di oggetti da scaricare, senza nessuna ipotesi su un loro uso sul terreno della qualità, può costituire un forte fattore di insuccesso

Un altro interrogativo si lega al campo del tracciamento dello studenteBanca Dati DiaUn learning object SCORM è un oggetto che, mentre viene usato, invia continue informazioni alla piattaforma (LMS) su molti aspetti del comportamento dello studente. Si tratta però di dati che presuppongono un’idea dell’apprendimento basata su prestazioni esterne, osservabili con parametri automatici come il tempo totale di ogni sessione di lavoro, i risultati dei test, il numero di prove effettuate, la storia dei risultati ottenuti in ogni prova. Un’impostazione di questo tipo rischia di relegare l’ambiente di apprendimento online al ruolo di una skinneriana “macchina per insegnare”, un modello che suscita sicuramente scarsi entusiasmi da parte dei docenti. E non tanto perché a scuola non si pratichino frequentemente attività di esercitazione e di autovalutazione, quanto perché questo tipo di attività vengono praticate con modalità più economiche ed efficienti attraverso altri media ben più consolidati, come la scheda cartacea autocorrettiva o le batterie di esercizi che corredano in appendice i libri di testo. L’insegnante non capisce perché mobilitare un set tecnologico complesso, fatto di macchine, di reti, di connettività, di software evoluto, per automatizzare quella parte della didattica che serve solo a consolidare apprendimenti acquisiti altrove.

Il modello di e-learning implicito nello sviluppo dei Learning Object SCORM compatibili non è avvertito come un potenziale supporto agli aspetti qualitativi dell’apprendimento. I docenti, di conseguenza, non si sentono sufficientemente motivati a sostenere il peso dalla fase di familiarizzazione con i nuovi strumenti e ad affrontare i problemi di una nuova organizzazione della didattica richiesta dal loro ingresso in classe. Non bisogna infatti dimenticare che la scuola continua a investire sui laboratori di informatica, che servono solo laddove l’informatica è una disciplina di insegnamento, ma che ostacolano un uso flessibile ed esteso delle nuove tecnologie nella didattica.

È un loop di difficile soluzione: gli editori, le aziende, ma anche le università e i centri di ricerca, vivono SCORM come un vincolo da cui non si può derogare. I prodotti vengono modellati su ciò che lo standard riesce a gestire, gli oggetti che ne escono sono banali esercitazioni in stile drill&practice. Nel frattempo la scuola sta a guardare.

 

 
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