Indire, sito ufficiale
Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa MIUR
immagine di contorno      Formazione separatore dei progetti      Documentazione separatore barra alta      Didattica separatore barra alta      Comunicazione separatore barra alta Europa
contorno tabella centrale
E-LEARNING

Apprendimento collaborativo: tra mito e ricerca

Qual è il valore aggiunto dell'apprendimento collaborativo online?

di Silvia Martinucci
13 Marzo 2007

Rispondono Antonio Calvani, Dino Cristanini, Roberto Maragliano, Piercesare Rivoltella, Silvano Tagliagambe, Guglielmo Trentin.

Calvani indica “La strada da seguire per un'educazione lifelong dovrà passare attraverso una stretta dialettica tra comunità professionale […], e gruppi specifici di progetto, per lo più autogestiti e coordinati da pari piu' esperti, monitorati da tutor istituzionali e coadiuvati dall'apporto occasionale di esperti di settore".
Maragliano parla di “manifestazione di un’intelligenza ad un tempo collettiva e connettiva […] dove l’intelligenza globale (collettività) non è la risultante inerte della somma delle intelligenze autonome di ciascuno ma l’effetto dell’azione/interazione di ciascuna di queste intelligenze con le altre (connettività).”
Tagliagambe sostiene che “Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione offrono la concreta possibilità di coordinare le prospettive di diverse comunità per il raggiungimento di una determinata finalità e di obiettivi convergenti […]. In questo modo la comunità che apprende si allarga e si rimodella, estende rapporti, collaborazioni e curiosità […] impara a misurarsi con gli stimoli […] si abitua a sfruttarli,[…] per aumentare e migliorare il proprio rendimento complessivo".
Rivoltella mette in guardia su una “doppia necessaria attenzione: anzitutto, […], negli ultimi tempi l’apprendimento collaborativo ha finito per proporsi più come mito che come programma scientifico, producendo la convinzione che sia sufficiente collaborare per apprendere con efficacia; in secondo luogo, occorre tenere presente che l’apprendimento collaborativo non è un processo autopoietico,  ma richiede un complesso lavoro organizzativo e gestionale.”
Trentin  fornisce dati che confermano la necessità di strutturare la formazione degli insegnanti in termini collaborativi “se si considera che, fatta 100 la conoscenza di un professionista, si stima che mediamente l’80% sia frutto di processi informali e solo il 20% di processi formali (la partecipazione a corsi) (Cross, 2005; http://informl.com/).”
Cristanini chiude la sua riflessione puntando l'attenzione sulla efficacia organizzativa: “Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione consentono oggi di costruire comunità virtuali ampie, con persone fisicamente situate anche a grande distanza tra loro, facilitando così il passaggio da un apprendimento contestualizzato a un apprendimento sempre più trasferibile a situazioni diverse.”

Leggi i contributi integrali.

Antonio Calvani, Ordinario di Tecnologia dell’istruzione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Firenze.
"Innanzitutto occorre precisare che l'apprendimento collaborativo rappresenta attualmente una sorta di mitologia del nostro tempo avvolta da molte ingenuità; all'opposto molte ricerche mettono in evidenza le criticità che questo concetto implica; esso non è una condizione "naturale", richiede che si costruiscano specifiche condizioni in partenza: una differenza troppo elevata di expertise, una scarsa motivazione, inadeguate skill metacomunicative e metacognitive, in genere sono fattori che interferiscono pesantemente sul processo collaborativo, sino a renderlo del tutto sconsigliabile. Così oggi si definiscono collaborative situazioni  del tipo dei comuni dialoghi su web forum, gran parte dei quali sono improntati a futilità e dispersione.
Nella rete si aggiungono le difficoltà connesse alla costruzione dell'identità, ed alla gestione del sovraccarico comunicativo, in particolare nelle fasi di negoziazione. L'apprendimento collaborativo di norma si presta meglio con adulti già abbastanza esperti, sia del dominio che della strumentazione tecnologica, all'interno di approcci project based o di studio di caso. Un'analisi dei fattori di criticità ante quem e durante è riportata in A.Calvani, Reti comunità conoscenza, Trento, Erickson, 2005, pag. 149.
Se le condizioni favorevoli sussistono e sono mantenibili, i vantaggi principali sono da individuare in: amplificazione della conoscenza individuale attraverso il peer tutoring; razionalizzazione di competenze distribuite; sostegno motivazionale ed identitario attaverso la partecipazione al gruppo/entità/comunità; revisione dei propri punti di vista e ristrutturazione cognitiva; sostenibilità economica dell'apprendimento in un'ottica lifelong attraverso il supporto derivante dai pari. La strada da seguire per un'educazione lifelong dovrà passare attraverso una stretta dialettica tra comunità professionale, come ambito complessivo di riferimento, e gruppi specifici di progetto, per lo più autogestiti e coordinati da pari piu' esperti, monitorati da tutor istituzionali e coadiuvati dall'apporto occasionale di esperti di settore."

 Dino Cristanini, Ispettore tecnico del Ministero della Pubblica Istruzione.
“Le concezioni attualmente più diffuse circa la natura dell’apprendimento si collocano all’interno di un campo concettuale definito da tre principali punti di vista:
il primo è quello del costruttivismo, che considera il soggetto come protagonista attivo della costruzione del proprio sapere, mediante la rielaborazione continua delle esperienze;
il secondo è quello dell’approccio socio-culturale, secondo il quale la costruzione del sapere avviene prima a livello sociale e solo successivamente viene interiorizzata dai singoli;
il terzo è quello della riflessività, che riguarda sia l’esplicitazione e la condivisione di pratiche sia l’attivazione di comportamenti autoregolati e strategicamente finalizzati.
Nella progettazione degli interventi formativi per adulti professionalizzati occorre dunque pensare a metodologie che da una parte valorizzino la partecipazione attiva, come ad esempio la ricerca-azione e il laboratorio, e dall’altra favoriscano il nascere di comunità di apprendimento nelle quali sia possibile scambiare esperienze, collaborare con gli altri, dare e ricevere aiuto, costruire prodotti insieme. L’interazione sociale, oltre alla migliore messa a fuoco dei concetti consentita dal confronto e dagli scambi, presenta un altro valore aggiunto, ossia quello di ricondurre a sistema l’intelligenza distribuita nei contesti.
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione consentono oggi di costruire comunità virtuali ampie, con persone fisicamente situate anche a grande distanza tra loro, facilitando così il passaggio da un apprendimento contestualizzato a un apprendimento sempre più trasferibile a situazioni diverse.”

 
Roberto Maragliano, Ordinario di Tecnologie dell'istruzione e della comunicazione di rete presso la Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Università di Roma Tre. 
 "Da tempo circolano, a proposito dell’esigenza di definire l’intelligenza tipica della rete, due attributi: “collettiva” e “connettiva”. C’è stato anche un confronto da parte di chi, intendendo queste due attribuzioni come contrapposte, preferisce l’una sull’altra. Direi che la soluzione migliore, e non per spirito conciliatorio ma per profonda convinzione, sta nell’accoglierle tutte e due, nel metterle assieme. In altri termini, l’apprendimento collaborativo sarebbe espressione/manifestazione di un’intelligenza ad un tempo collettiva e connettiva, tipica degli usi più avanzati della rete, dove, per intenderci, non si è solo utenti ma contemporaneamente anche produttori/autori, dove l’intelligenza globale (collettività) non è la risultante inerte della somma delle intelligenze autonome di ciascuno ma l’effetto dell’azione/interazione di ciascuna di queste intelligenze con le altre (connettività). E allora, essere collaborativi, in rete, non significa che tutti fanno le stesse cose, ma che, dato un determinato impegno condiviso dalla comunità, lo si realizza tutti assieme, ciascuno mettendo la sua parte e accettando che essa stessa si trasformi per il fatto di essere collegata con quella degli altri. Forse si capisce meglio il concetto se lo si mette alla prova con esperienze realizzabili solo in rete, come quelle della scrittura collaborativa: in un ambiente wiki possono operare più soggetti, anche a distanza, ciascuno contribuendo alla tessitura di un testo che risulterà comune, collaborativo perché collettivo/connettivo; cosa irrealizzabile con carta, matita e gomma, e con soggetti presenti. Altro problema, e non di poco conto, è legato all’esigenza di apprezzare questo tipo di apprendimento, soprattutto se si fa difficoltà ad uscire dai presupposti delle forme di valutazione corrente, centrate sul possesso individuale di conoscenze e assai poco sensibile alla presa in carico delle modalità e delle risultanze della messa in pratica comunitaria di dette conoscenze."

Pier Cesare Rivoltella, Ordinario di Tecnologie dell'istruzione e dell'apprendimento presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
"L’apprendimento collaborativo tra pari si legittima oggi come modalità efficace di produzione degli apprendimenti in virtù della convergenza di almeno tre linee di elaborazione teorica e, di conseguenza, di produzione discorsiva. La prima appartiene alla ricerca didattica e prende corpo nella tradizione di ricerca che collega il lavoro di gruppo e il Cooperative Learning con il Costruttivismo e il Knowledge Management dando vita alla riflessione sulle comunità di pratica (Wenger) e il pensiero organizzativo.
La seconda, trasversale rispetto a un vasto campo di interessi (dall’etologia, alle Neuroscienze, alla Web Sociology), si riconosce nel paradigma dell’intelligenza collettiva, cioè nella convinzione che l’organizzazione spontanea di più attori produce una forma di intelligenza superiore.
L’ultima, accreditata dagli studi sociali sugli effetti dei media nella tarda modernità, consiste nel riflettere sulla centralità sempre più decisa, nei nostri sistemi sociali, di forme di socializzazione orizzontale la cui efficacia consiste propriamente nel fatto che sostituisca modelli trasmissivi di tipo verticale, con modelli basati sulla condivisione e di conseguenza orizzontali.
L’aspetto comune che in tutti e tre i casi viene in primo piano è la consapevolezza che l’apprendimento migliora se: non passa attraverso meccanismi di tipo “bancario” (Freire), quindi top-down, che tendono a passivizzare il soggetto che apprende (Freinet); avviene in contesto (Vygotskij), possibilmente attraverso processi di scoperta personale (Piaget) innescati dalla proposizione di problemi da risolvere (Dewey); consente al soggetto di mettere in campo le proprie esperienze/conoscenze (Wenger) per poterle ristrutturare attraverso l’interazione con il contesto e gli altri soggetti in esso impegnati (Jonassen, Brown, Campione).
La verità di questo tipo di indicazione non deve distogliere da una doppia necessaria attenzione senza di cui si rischia di andare incontro a cocenti delusioni:

  • anzitutto, proprio in virtù di questa ampia legittimazione teorica, negli ultimi tempi l’apprendimento collaborativo ha finito per proporsi più come mito che come programma scientifico, producendo la convinzione che sia sufficiente collaborare per apprendere con efficacia;
  • in secondo luogo, occorre tenere presente che l’apprendimento collaborativo non è un processo autopoietico, ma richiede un complesso lavoro organizzativo e gestionale."   

Silvano Tagliagambe, Ordinario di Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Architettura dell'Università  di Sassari, sede di Alghero.
"Per stabilire quale sia questo valore aggiunto conviene analizzare separatamente, in prima battuta, la questione dell’apprendimento collaborativo da quella dell’apprendimento on line.
Alla prima delle due questioni così poste si può rispondere facendo riferimento alla consapevolezza, ormai acquisita da tempo, che il rendimento sociale della conoscenza è di gran lunga superiore al rendimento privato del singolo. Questa consapevolezza ha messo radicalmente in discussione un modello della mente e dell’intelligenza centralizzato o unificato per proporne uno, radicalmente alternativo, secondo il quale un sistema cognitivo assomiglia piuttosto a un patchwork  di reti altamente cooperative, non omogenee e distribuite, assemblate da una complicata storia di bricolage che ne fa non un'entità unitaria, ma piuttosto una collezione di processi eterogenea, che può ovviamente essere considerata a più di un livello. Si ha così un sistema caratterizzato da  una forma di intelligenza distribuita che Derrick De Kerckhove ha chiamato “intelligenza connettiva”.
L’intelligenza connettiva è, secondo la definizione che egli ne fornisce, una forma di connessione e collaborazione tra soggetti individuali e collettivi diversi che è il risultato di una condivisione tra loro costruita sulla base di uno scambio dialogico. L’aspetto caratterizzante di questa modalità di pensiero, che la distingue dalle tipologie che rientrano nell’ambito di quella che può essere chiamata “intelligenza collettiva” è che, a differenza di quanto generalmente avviene in quest’ultima, nell’intelligenza connettiva ogni singolo individuo o gruppo mantiene la propria specifica identità pur nel quadro di una struttura molto articolata ed estesa di connessioni. Siamo dunque di fronte a un processo di esteriorizzazione dell’intelligenza, all’interno del quale acquistano un’importanza determinante le relazioni dei singoli agenti, che possono produrre (e generalmente producono di fatto) apprendimento o innovazione, migliorando le competenze e le prestazioni non solo del sistema nel suo complesso, ma anche dei singoli che ne fanno parte. In questa prospettiva generale la collaborazione e lo scambio dialogico sono dunque la chiave del potenziamento e del successo di qualsiasi percorso formativo
A questo cambio di paradigma ha dato un contributo rilevante –e qui veniamo alla seconda questione- lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in quanto la società digitale, diversamente da tutte le altre grandi epoche della storia, non nasce dall’intuizione, dalla volontà o dall’azione di pochi, ma dalla collaborazione di milioni di persone.  Internet costituisce l’espressione e, per così dire, la “materializzazione” del modello dell’intelligenza distribuita e connettiva. Essa infatti è il risultato della cooperazione spontanea, non guidata da nessun livello superiore e da nessuna "cabina di regia", di componenti locali, anche piccole, che danno luogo, attraverso la loro interconnessione, a un sistema intelligente, la cui potenza ed efficacia cresce in relazione alla quantità  dei messaggi scambiati e delle interazioni che si sviluppano all'interno di esso.
Ne è  scaturito un modo di concepire e intendere l’apprendimento caratterizzato non più dal riferimento  privilegiato  a un unico soggetto, o a più soggetti contraddistinti dal fatto di vedere le cose a partire dal medesimo punto di vista e di assumere, di conseguenza, le medesime ipotesi iniziali e premesse, bensì a più agenti, che operano concorrentemente, costituiti da sistemi concettuali aperti. Questo tipo di apprendimento, basato sulla pratica e su un processo attivo di costruzione dal basso di un percorso comune, fa della rete una vera e propria “sfera pubblica”, che stimola nuove forme e modalità di partecipazione e all’interno della quale si costituisce e si viene via via ampliando uno “sfondo condiviso” di opinioni e conoscenze e si stabiliscono e si consolidano relazioni di fiducia reciproca tra i diversi soggetti. Quando si parla di “intelligenza connettiva” o “distribuita” non ci si sta, di conseguenza, riferendo a concetti astratti, a schemi interpretativi, ma a processi concreti, che sono in corso, di cui sono ormai visibili e tangibili le manifestazioni e gli effetti.
Il riferimento all’intelligenza connettiva mette altresì in risalto l’appartenenza simultanea di ogni singolo soggetto individuale a una pluralità sempre più vasta ed eterogenea di soggetti collettivi, gruppi e comunità. Tra questi ultimi si realizza un travaso e un trasferimento continuo di esperienze e di conoscenze  che Wenger chiama  “intermediazione”, termine coniato da Penelope Eckert per spiegare il meccanismo con cui gi studenti introducono costantemente nuove idee, nuovi interessi, nuovi stili e nuove rivelazioni nella loro cerchia di amici. A questo proposito la Eckert rileva che, generalmente, sono coloro che stanno alla periferia di un gruppo che introducono elementi esterni (per esempio, un nuovo stile musicale o un nuovo stile di abbigliamento), perché i leader sono troppo vincolati a ciò che tiene assieme il gruppo. L’intermediazione, in questa accezione, è dunque una caratteristica comune della relazione tra una comunità di pratica e l’ambiente esterno: essa è un’attività decisamente complessa, che richiede processi di traslazione, coordinamento e allineamento tra le prospettive e la capacità di legare le pratiche, facilitando le transazioni tra esse, e di promuovere l’apprendimento introducendo in una pratica elementi di un’altra pratica. A questo fine l’intermediazione fornisce una connessione partecipativa, perché ciò che gli intermediari apportano alla connessione delle pratiche è la loro esperienza di multiappartenenza, insieme alle possibilità di scambio e negoziazione insite nella partecipazione.
Questa possibilità concreta di coordinare le prospettive di diverse comunità per il raggiungimento di una determinata finalità e di obiettivi convergenti è oggi   notevolmente amplificata dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che hanno trasformato in modo significativo la nostra percezione dello spazio e hanno considerevolmente esteso la nostra capacità di concepire e realizzare delle relazioni intersoggettive al di là dei limiti dello spazio fisico,
In questo modo la comunità che apprende si allarga e si rimodella, estende rapporti, collaborazioni e curiosità a orizzonti ieri impossibili, impara a misurarsi con gli stimoli che vengono da tutte le centrali informative, anche da quelle informali, si abitua a sfruttarli, a utilizzarne l’apporto, a trasformarli in “conoscenze situate” per aumentare e migliorare il proprio rendimento complessivo, la propria capacità di far emergere e crescere interessi e curiosità intellettuali.
Questo, a mio giudizio, è il risultato dell’apporto congiunto e convergente dell’apprendimento  collaborativi e di quello on line."
 

Guglielmo Trentin, Ricercatore presso l'Istituto per le Tecnologie Didattiche del CNR, Genova.
"Farei una distinzione fra apprendimento collaborativo on line nei processi di formazione formale (partecipazione a corsi) e di apprendimento informale (acquisizione di conoscenze e/o competenze per altre vie), unitamente al fatto che il bisogno continuo di formazione lungo tutto l’arco della vita professionale del docente sempre di più richiede alla formazione formale di fungere da premessa e incubatore di processi di apprendimento informale.
Nella formazione formale degli insegnanti (e degli adulti in genere) sappiamo quanto siano importanti i momenti di interazione e confronto alla pari sui temi del corso, anche sulla base delle esperienze pregresse dei partecipanti. I tempi contingentati della formazione in presenza spesso, però, non consentono di dar sfogo a questa esigenza. Nella formazione online si è invece dimostrato come, grazie all’interazione asincrona, ci sia la possibilità di recuperare in modo ampio la dimensione dialogica fra i partecipanti all’evento formativo, creando quindi le condizioni favorevoli per un vero e proprio apprendimento alla pari.
Fra l’altro, abituare i docenti all’interazione collaborativa in rete già durante un evento formale può avere due importanti ricadute: sperimentare in prima persona (metabolizzandoli) l’apprendimento in rete e le annesse tecnologie della cooperazione online, in modo da poterli poi proporre in maniera strutturata ed efficace ai propri studenti, sia come metodo di studio sia come metodo di lavoro sempre più richiesto dal mondo produttivo; acquisire competenze sull’utilizzo delle TIC per far fronte alla propria esigenza di formazione continua anche attraverso processi di apprendimento informale alla pari basati sullo scambio di conoscenze, esperienze e buone pratiche nell’ambito di comunità professionali online.
Questo secondo aspetto è particolarmente importante, soprattutto se si considera che, fatta 100 la conoscenza di un professionista, si stima che mediamente l’80% sia frutto di processi informali e solo il 20% di processi formali (la partecipazione a corsi) (Cross, 2005;
http://informl.com/)."

 

 

 
Articoli correlati

“PON MATEMATICA”: un esempio di blended elearning
di Nadia Colombo (05 Maggio 2010)

Cl@ssi 2.0: il ruolo delle Università nel progetto
di Roberto Maragliano (09 Marzo 2010)

Progetto Cl@ssi2.0: protagoniste le classi!
di Daniele Barca (09 Marzo 2010)

Il contributo dell’ANSAS-Piemonte a Cla@ssi 2.0
di Giuseppe Cagni (09 Marzo 2010)

La valutazione nella progettazione didattica
di Francesca Storai (01 Febbraio 2010)

L'apprendimento espanso
di Giusy Cannella (01 Febbraio 2010)

“Coach”, chi era costui?
di Elena Mosa (27 Gennaio 2010)

Insegnare, fra tecnologia e innovazione
di Rudi Bartolini (06 Novembre 2009)

Tutor, E-Tutor, Coach...Quale ruolo per quale scuola?
di Rudi Bartolini (29 Ottobre 2009)

Bando di selezione Tutor
di Rudi Bartolini (11 Marzo 2009)

I nuovi Monitoraggi Puntoedu
di Francesco Vettori (26 Febbraio 2009)

La Formazione Neoassunti 2008: il report
di Francesco Vettori (26 Febbraio 2009)

La Formazione Digiscuola 2008: il report
di Tania Iommi (26 Febbraio 2009)

Scuola Digitale con le Lavagne Interattive Multimediali
di Laura Parigi (13 Gennaio 2009)

Lavagne Interattive Multimediali: distribuzione alle scuole
di Laura Parigi (19 Dicembre 2008)