di Massimo Faggioli
10 Aprile 2007
Esce FOR dopo un lavoro di riflessione sulle attività formativa svolta negli ultimi sei anni. Ne è valsa la pena?
I corsi in modalità di e-learning integrato svolti in “PuntoEdu”, l’ambiente di formazione on line che l’istituto Indire ha realizzato nel 2001, hanno rappresentato uno dei maggiori fattori di innovazione nei modelli di formazione degli insegnanti. Lo scenario degli ultimi anni '90 è accuratamente fotografato dalla pubblicazione dei dati del “Moniform”, l’azione di monitoraggio delle iniziative di formazione attuate dalle scuole nell’ambito dell’autonomia scolastica. L’indagine metteva in evidenza una situazione abbastanza paradossale: da una parte infatti, come scrive G. Cerini nel volumetto che fornisce le linee essenziali per la lettura dei dati, “le attività formative sono ancora imperniate su setting formativi tradizionali come la lezione frontale ed il dibattito”; dall’altra quasi un quarto dei corsi ha come tema le nuove tecnologie e la multimedialità. Considerando che nel 2000 i corsi effettuati con metodologie multimediali rappresentavano il 2,8% del totale e quelli con formazione a distanza solo l’1,5%, non possiamo che concludere che la formazione sulle ICT si faceva quasi sempre con metodologie che ne escludevano un uso diretto, utilizzando lezioni frontali o comunque con setting tradizionali. Sarebbe molto interessante avere un Moniform 2006 che rilevasse i cambiamenti di questo quinquennio ma, anche senza il supporto di monitoraggi estesi possiamo ritenere, con il sostegno di alcuni dati, che la situazione si sia evoluta positivamente. In cinque anni di formazione più di 500.000 docenti hanno partecipato a corsi in PuntoEdu. Si possono evidentemente condividere molte perplessità sull’opportunità di introdurre l’e-learning nella formazione dei docenti in misura così estesa, ma un fatto è però incontrovertibile: la formazione CON le tecnologie e non SULLE tecnologie ha ricollocato queste ultime nel ruolo che è loro proprio, da contenuto a strumento della formazione. Le centinaia di migliaia di partecipanti ai corsi hanno acquisito un buon livello di expertise tecnologica come portato della loro esperienza, non come focus del loro percorso formativo. Il modello dei corsi di blended e-learning, basato sulla figura del tutor, e il tentativo di andare oltre la semplice riproposizione on line del modello del corso tradizionale fondato sulla lezione frontale e sull’erogazione di contenuti precostituiti si è concretizzato nella proposta di un sistema di condivisione delle conoscenza tra tutti i partecipanti. La classe virtuale, i forum, la possibilità di scambiare materiali didattici ed esperienze hanno costituito per molti partecipanti ai corsi in PuntoEdu l’occasione per un primo approccio a un uso delle nuove tecnologie come strumenti di comunicazione e di supporto al lavoro di gruppo.
Ma davvero un numero così alto di insegnanti ha cambiato il modo di partecipare alla formazione, passando dalla passività dell’ascolto a modalità di attiva partecipazione a gruppi che collaborano on line?
Ogni facile ottimismo è del tutto fuori luogo, gli ultimi dati sul monitoraggio della formazione dei docenti neoassunti del 2006 ci dicono che solo una minoranza dei partecipanti a iniziative di così larga scala recepiscono queste opportunità, la maggior parte riproduce nei corsi on line un modello di comportamento che presenta forti analogie con quello dei tradizionali corsi di aggiornamento basati sulla lezione frontale. La maggioranza dei corsisti si limita al download di materiali e ha un approccio alla formazione basato sul semplice accesso ai contenuti. Ma c’è una minoranza, che sui grossi numeri è comunque rilevante, che si insedia negli spazi di discussione e di collaborazione (forum, classe virtuale) piegando questi ambienti a un uso autogestito che a volte entra in conflitto con la dimensione del corso, segnata da una data di inizio e da una di fine, e che cerca spazi per la crescita autonoma di una comunità on line. Questa partecipazione attiva alle community interessa ancora pochi docenti, circa il 5%, tuttavia quasi tutti chiedono di avere ancora a disposizione i materiali dell’offerta formativa oltre il tempo di svolgimento del corso e dichiarano quindi implicitamente l’interesse a una dimensione permanente della formazione.
A cosa serve la formazione?
Dunque la dimensione del corso sta ormai “stretta” alla maggioranza dei docenti. C’è un paradosso ben sintetizzato da G. Trentin quando, parlando dei problemi che si incontrano a valle di un’esperienza di fromazione, scrive che “il momento di maggiore criticità si ha quando, terminata l’azione formativa, il partecipante prova ad applicare ciò che ha appreso basandosi esclusivamente sulle proprie forze e sulle proprie abilità. Per quanto egli possa essersi impadronito dei contenuti del corso, questo non sempre si traduce in capacità applicativa”. Insomma, il corso pianta in asso il docente proprio nel momento più difficile del percorso, nel passaggio cruciale dalla teoria alla pratica. Eppure non c’è dubbio che è questo il passaggio chiave per valutare l’efficacia della formazione, anche se non possiamo dare per scontata questa affermazione, che a tutta prima può apparire ovvia. E’ tuttora infatti molto viva un’anacronistica visione, di stampo spiritualista, dell’insegnante come “intellettuale puro” che, nell’ambito della funzione docente, aggiorna e accresce in modo del tutto libero e personale la propria cultura. Stenta molto ad affermarsi, in controtendenza, la visione del docente come professionista, come figura quindi che partecipa da protagonista a un processo di continuo sviluppo professionale e che attraverso la formazione, collaborando con i colleghi, è capace di elaborare strumenti utili al miglioramento delle proprie performances nel contesto in cui opera. E’ un richiamo che M. Dutto, sempre presentando i dati di Moniform, formula in maniera molto efficace: “la concezione dell’insegnante come professionista riflessivo è oggi un’acquisizione fondamentale perché coglie, proprio nella capacità di leggere la propria azione e di rendersi consapevole dei processi, la chiave di volta di una professione. La formazione dunque è un processo continuo alimentato dal confronto tra la ricerca e la conoscenza che deriva dalle pratiche professionali”. Il corso di aggiornamento tradizionale appare del tutto inadeguato a rispondere a esigenze di questo tipo non solo perché non accompagna il docente nella fase di sperimentazione di quanto ha appreso ma anche, direi soprattutto, perché quasi sempre si basa su contenuti fissati altrove e che raramente usano come risorsa le buone pratiche che derivano dall’esperienza di chi lavora sul campo.
E’ sufficiente aprire spazi di condivisione per cambiare rotta?
I facili entusiasmi suscitati dall’avvento dell’e-learning si vanno rapidamente ridimensionando. Gran parte delle cosiddette “piattaforme” di e-learning hanno associato al primitivismo del modello pedagogico, spesso vicino all’idea skinneriana delle “macchine per insegnare” che erogano moduli e somministrano test, un’ossessione sterile per il “tracciamento”, un espediente per risolvere con un molteplicità di dati numerici scarsamente significativi il problema della valutazione degli apprendimenti. La scuola italiana, almeno nei suoi settori più innovativi, ha sempre guardato con diffidenza, ben prima che queste strategie approdassero al computer e alla rete, ai modelli ispirati al comportamentismo. Molto più vivo è l’interesse che nella storia della pedagogia italiana è stato riservato all’attivismo, all’apprendere dall’esperienza, alla costruzione della conoscenza come processo sociale. Si può spiegare in questa luce il grande successo che da noi riscuotono i modelli didattici di ispirazione costruttivista e idee come il cooperative learning, le comunità di pratiche, le comunità virtuali on line, la visione della rete come ambiente di comunicazione e di condivisione. Anche qui eccessivi entusiasmi possono diventare inutili miti ed esporci a forti rischi. L’idea che basti aprire canali di comunicazione e di collaborazione in rete per far decollare processi culturalmente significativi tra pari è un atto di fede: l’osservazione del comportamento e delle dinamiche tra persone che autogestiscono spazi on line nati per la formazione e la crescita culturale dimostra spesso come invece nei gruppi spontanei prendano il sopravvento comportamenti vacui e superficiali segnati da tensioni interpersonali più dispersive di quelle che si sviluppano nelle relazioni di gruppi in presenza. I luoghi della formazione degli insegnanti, anche di quella che si propone come un processo continuo, flessibile e personalizzabile, devono avere alla base un’idea condivisa, un progetto, una “cultura” fatta di regole e di valori su cui far crescere una comunità di professionisti dell’educazione.
E’ tutta colpa degli insegnanti?
FOR nasce in un momento di innegabile crisi dell’identità professionale e sociale dei docenti. La partecipazione alla formazione, proprio per il suo carattere aggiuntivo rispetto alle attività di insegnamento, è uno dei nodi di questa crisi. Una formazione che molti vedono come un optional, una strada senza nessun impatto sul destino professionale e sulla carriera, da percorrere solo se spinti da leve soggettive che spesso hanno a che fare con la sfera più intima dell’identità personale (la passione soggettiva per il proprio lavoro, l’amor proprio, l’autostima…). L’impegno per l’innovazione e la crescita professionale sono spesso percepiti all’interno della scuola più come una forma di volontariato che come un dovere sociale intrinseco alla professione o come un modo per sviluppare il proprio ruolo nell’organizzazione a cui si appartiene. Tuttavia, pur in assenza di effetti concreti sull’iter professionale, la partecipazione alle iniziative di formazione è ancora un fenomeno che coinvolge grandi numeri di docenti, non solo quando, come nel caso dell’anno di prova, i corsi sono obbligatori, ma anche quando l’iscrizione è del tutto volontaria. Persiste dunque, nonostante tutto, un interesse diffuso, una spinta alla crescita professionale che chi a cuore la soluzione della crisi, anche nelle sedi sindacali e politiche, dovrebbe raccogliere e valorizzare. E’ un dato su cui dovrebbero riflettere coloro che di fronte agli effetti eclatanti della crisi della scuola, scelgono la facile scorciatoia che porta ad addossare tutte le colpe sui docenti. Basta leggere i commenti giornalistici ai quotidiani episodi di malascuola che sono in primo piano sui media in questo periodo, per vedere e leggere commenti di improvvisati analisti del sistema scuola che dipingono una categoria di insegnanti demotivati, lassisti e ignoranti, vagheggiando un ritorno ad anacronistiche figure di professori del passato armati di severità, autorità e carisma ormai smarriti.
FOR, un ambiente per chi?
Sarebbe un atto di grande presunzione, di fronte a un quadro problematico di questo genere, pensare che nuove proposte, più aperte e vicine ai bisogni formativi, possano di per sé risolvere i problemi legati allo sviluppo professionale degli insegnanti. FOR avrà successo se sarà recepito come un tentativo di dare una mano, un contributo che viene offerto alla scuola proprio nel momento in cui si gettano le basi per la presenza istituzionale dell’Agenzia per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica. Perché è proprio nel pieno sviluppo dell’autonomia delle scuole che possono nacere forme di incentivazione del lavoro dei docenti innovatori e di rilancio processi di innovazione. FOR non è un repository di contenuti, non è un indice di corsi e non è una finestra sull’attualità dei temi culturali della scuola. Anche se l’ambiente contiene in varie forme queste opportunità, FOR è soprattutto un luogo da costruire con il contributo degli insegnanti. Può essere lo spazio in cui tutti possano proporre e sviluppare aree di discussione e di confronto, comunità virtuali e gruppi di lavoro on line. FOR è un ambiente che offre risorse e opportunità per lo sviluppo professionale ma che si alimenta e cresce solo se nasce un circuito attivo di contributi di singoli e di gruppi, se le scuole, le reti, le comunità e le istituzioni locali, le associazioni degli insegnanti ne faranno il luogo dello scambio e della condivisione.
|