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ARCHIVI E BANCHE DATI

Un Convegno pieno di idee su di una fonte storica “malgré soi”

La storia dell'educazione studiando i quaderni di scuola

di Marisa Trigari
05 Ottobre 2007

Più di cento relatori, tre mostre affascinanti, un mondo di quaderni di tutto il mondo hanno popolato quattro densissimi giorni all’Università degli Studi di Macerata per il Convegno Quaderni di scuola. Una fonte complessa per la storia delle culture scolastiche e dei costumi educativi tra Ottocento e Novecento, organizzato da quella Università e dall’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica di Firenze (I quaderni di scuola nel Novecento, Les cahiers des écoliers du monde, Tra banchi e quaderni).

E’ valsa la pena di vagabondare da una stazione all’altra per otto ore e mezza nel volenteroso tentativo di raggiungere la sede del convegno, tra ritardi e perdite di coincidenze a catena (quanto può essere complicato arrivare a Macerata…), per godere non solo la straordinaria efficienza e accoglienza  dell’Istituzione ospitante, ma soprattutto un dibattito scientifico che non ha avuto nulla  di déjà vu, in un contesto internazionale a larghissimo raggio, in cui la passione per il quaderno come fonte per la storia dell’educazione ha accomunato studiosi di tutto il mondo,  dalla Cina al Canada, dalla Russia all’America Latina.

E’ impossibile dar conto del Convegno in un articolo,  pena una rassegna piatta e frettolosa di puri titoli o poco più. Conviene rinunciarci subito, rinviando agli abstract per risvegliare l’appetito e agli Atti per saziarlo.

E’ però possibile offrire una panoramica sintetica delle conclusioni, delle prospettive e degli spunti emersi nel corso dei lavori, presentati e discussi nella ‘tavola rotonda’ finale, a cui hanno partecipato il rettore e presidente del Comitato scientifico Roberto Sani, i coordinatori delle varie sezioni del Convegno , le cui sessioni erano ogni volta divise in due sezioni parallele, i due segretari scientifici del medesimo, Juri Meda e Davide Montino. La ‘tavola rotonda’ è stata presieduta da Francesco Susi, dell’Università di Roma3.

Il complesso delle relazioni – ha osservato in apertura il coordinatore - ha confermato che un approccio microstorico ed un approccio macrostorico alla storia dell’educazione sono ugualmente  indispensabili, in un’ottica più comprensiva di storia sociale. Gli incroci tra scuola e società, istruzione e sviluppo illuminano reciprocamente i due contesti. Una storia sociale dell’educazione archivia i paradigmi di auto-referenzialità pedagogica e scopre nuovi percorsi tematici all’insegna di un’ampia interdiscinarità: tra essi, ad es., il quaderno nella sua natura duplice di contenitore di pratiche didattiche e di prodotto commerciale, o il quaderno supporto di scrittura scolastica, ma anche di scrittura privata, come oggetto che ha una sua presenza diffusa e consueta nella vita quotidiana. 
Ma soprattutto appare interessante l’analisi delle scritture scolastiche come studio delle teorie pedagogiche implicite nella pratica educativa, delle pedagogie nascoste, dello scarto tra norma e interpretazione personale in situazione. Nessuna fonte ha maggior necessità di essere ampiamente contestualizzata del quaderno: dietro ai quaderni vi sono programmi, libri di testo, circolari, direttive, maestre e maestri ansiosi di adeguarsi alla domanda di dirigenti, o genitori, o politici, ma anche autonome personalità; c’è - autore in un modo molto particolare - l’alunno di città o di campagna, povero o ricco,  con la sua irripetibile individualità costretta in una scrittura in gran parte ‘disciplinata’, eterodiretta. Le scritture scolastiche, ipotizzate come modalità insostituibili di conformità ad un modello imposto, di omogeneità culturale,  riescono però a manifestare anche  la partecipazione dell’individuo al processo di costruzione della cultura. E’ compito estremamente stimolante e fecondo per una storia sociale dell’educazione studiare questo rapporto dinamico tra individualità e norma.   

Antonio Castillo Gomez
ha ripercorso i risultati del convegno alla luce del problema delle scritture infantili nell’ambito della storia della cultura scritta e in questo contesto ha indicato i filoni più promettenti di indagine.
Primo fra tutti è quello dei modi concreti di appropriazione della scrittura da parte dei bambini. Quale lo spazio di logiche indotte e quale quello di un’appropriazione autonoma?  Come la scrittura nella sua materialità, come il modo in cui il testo prodotto a scuola si organizza e si distribuisce all’interno della pagina, si collega alle teorie pedagogiche?  E come, sulla scorta degli studi di Armando Petrucci, queste testimonianze scritte si inseriscono nella cultura scritta fuori della scuola, quella delle scritture ordinarie, funzionali, letterarie?
Interessanti studi mostrano una debole barriera tra scrittura bambina e scrittura scolastica, a cavallo tra disciplina e soggettività. Ogni scrittura è spazio di controllo, ma lascia spazio alla capacità individuale di trasgressione. Le scritture infantili come manifestazione di soggettività sono apparse dunque anche un materiale indispensabile per indagare la costruzione dell’identità.
Lo studioso ha anche segnalato la necessità, in quest’ambito, di dilatare l’ambito cronologico di indagine sulle scritture scolastiche: ben prima del quaderno, diffusosi a fine Ottocento come prodotto commerciale, altri supporti hanno ospitato questo tipo di scrittura, che esige di essere esaminata in una prospettiva di lunga durata.
Infine un cenno sull’interdisciplinarità, intesa non tanto come un concorrere di studiosi sul medesimo tema, quanto piuttosto come capacità di ciascuno di loro di appropriarsi delle riflessioni e dei risultati raggiunti negli studi specialistici in campi diversi dal proprio.

Per Augustin Escolano il Convegno è stato una vera e propria assemblea costituente del campo tematico nell’ambito degli studi sulla pratica educativa. Dopo anni di ricerche prevalentemente focalizzate sulla manualistica, sia in Europa, sia in America, l’emergenza di questa nuova linea di studi  è frutto di una certa saturazione e della necessità di accedere a fonti più dirette e parlanti. Naturalmente questa costruzione avviene oggi soprattutto in una forma – per così dire – cumulativa. E’ necessario costruire una sistematica per una fonte che è una finestra privilegiata su di una cultura empirica, ma ha anche caratteristiche particolari che esigono grande rigore interpretativo.
Altrettanto fecondo appare l’approccio transculturale al problema: il quaderno si è dimostrato oggetto universale, fonte che si presta particolarmente ad osservare convergenze e divergenze su temi quali costumi e pratiche dominanti, ma anche cicli, costanti e soprattutto metamorfosi e rotture di questi costumi e pratiche.
La constatazione nella propria sezione (e non solo) di una forte polarizzazione delle ricerche sui periodi delle dittature non può non suscitare degli interrogativi in Escolano, scherzosi, ma non tanto: è un’ossessione da analizzare? E’ una necessaria catarsi ancora non pienamente realizzata? Come che sia, bisogna rendersi conto del fatto che è altrettanto necessario lo studio della scrittura ordinaria in periodi ‘normali’, vuoi per evitare il rischio di conclusioni evidenti a conferma di ciò che già sappiamo, vuoi per poter impostare il lavoro in un’ottica di lunga durata.

L’uso del quaderno come strumento di propaganda è stato il focus della sezione presieduta da Silvina Gvirtz. La studiosa argentina ha svolto alcune riflessioni intorno all’osservazione di Escolano sul privilegiamento dei ‘periodi eccezionali’ per lo studio dei quaderni, particolarmente vero in rapporto al suo centro di interesse. Ha osservato come la scelta non sia casuale: la propaganda presenta caratteri comuni a tutti paesi, si presta dunque ad un’analisi comparativa ed è un tema che ha già una buona letteratura capace di stimolare la discussione.  
Certo, le democrazie non usano la scuola come luogo di indottrinamento. Ma, attenzione: dobbiamo chiederci se non vi siano processi di controllo più sottili, anche se operanti in modi diversi. E’ opportuno studiare come si differenzino tali strategie. Oggetti particolarmente interessanti per questo studio, che ha già fornito contributi interessanti, saranno i periodi di transizione dalle dittature alle democrazie.
Altra indagine interessante da approfondire in rapporto al tema della propaganda è il rapporto tra quaderno e libro di testo. Quest’ultimo è  assai più controllato e controllabile politicamente, ed è caratterizzato rispetto al quaderno da tempi, linee di continuità e di rottura diverse, che vanno analizzate contrastivamente rispetto a quelle delle scritture scolastiche. E poi: attraverso quali discipline passa più frequentemente l’indottrinamento? Ci sono discipline ‘neutrali’? Ci sono – e qualche interessante esempio parrebbe dimostrarlo – strategie coperte di resistenza dell’insegnante? E’ importante analizzare come gli insegnanti abbiano interiorizzato e interpretato, ma anche spesso ‘de-politicizzato’ un pesante e invasivo condizionamento politico sulla scuola.  A livello metodologico questi filoni di ricerca comportano la capacità di coniugare microstoria e macrostoria, indagando i processi di appropriazione della seconda da parte della prima. 
Per procedere su questa strada sono necessarie innanzitutto comparazioni su larga scala, che solo la costituzione di un buon corpus a livello internazionale può rendere possibili.

Charles Magnin ha esordito con una riflessione sui punti critici di un utilizzo delle scritture scolastiche come fonti storiche.
In primo luogo - ha affermato - è apparso molto diverso il numero di documenti su cui i singoli studiosi operano, e molto diverse le condizioni di produzione delle scritture scolastiche di cui si occupano: in questa situazione, assai diseguale, non può non porsi il problema della generalizzazione dei risultati della ricerca, nonché quello della necessità, da tutti avvertita, di una critica delle fonti molto accurata.  
Va osservato poi che – se non c’è dubbio sulla necessità di collocare le scritture scolastiche in contesto – è tuttavia difficile operare quella che lo studioso definisce una ‘contestualizzazione pertinente’, tale da rivelarsi veramente euristica.
Il rapporto tra analisi delle immagini e analisi delle scritture nei quaderni impone infine di salvare la specificità dei due modi di espressione e dei relativi strumenti di indagine, pur nella consapevolezza del legame tra i due e nella opportunità di non operare gerarchizzazioni.
Magnin ha osservato poi come le relazioni abbiano dimostrato il ruolo importante dell’éducation nouvelle nel modificare radicalmente lo statuto della scrittura infantile ed auspica un proseguimento della ricerca in questo campo. Indica poi altre piste di ricerca futura da incrementare: studi longitudinali su di una serie di quaderni dello stesso alunno, per seguirne i processi di appropriazione del sapere, l’analisi delle scritture dei maestri, lo studio delle strategie di valutazione rilevabili dall’intervento dell’insegnante nei quaderni.
Concorda infine con Silvina Gvirtz sull’opportunità di studi comparativi e sull’importanza di esaminare le scritture scolastiche dei periodi di transizione. La grammatica del cambiamento è importante, come si può constatare oggi in Svizzera in un momento di trasformazione della politica linguistica alla luce del fenomeno migratorio. Dobbiamo costruire non solo i corpora delle fonti per la storia del passato, ma anche quelli per la storia dell’oggi: le fonti per lavorare sull’acculturazione degli immigrati, per es., o quelle per analizzare il fenomeno generalizzato del fallimento scolastico, un fattore che incide grandemente sulle attuali politiche educative.

La sezione presieduta da Pino Boero ha offerto una serie di contributi su illustratori e illustrazioni delle copertine e loro ruolo, nell’ambito di una più specifica attenzione al ‘contenitore’, il quaderno come prodotto editoriale e commerciale, a cui è stata dedicata in questa sede una relazione densa e originale.
Ma ciò che lo ha colpito particolarmente come studioso di letteratura infantile – sottolinea Boero - è come le copertine abbiano rappresentato un mondo formativo per l’immaginario, grazie all’opera di illustratori che spesso transitavano dai libri per ragazzi o altri media popolari ai quaderni e viceversa. Passa attraverso le copertine - tra fine Ottocento e metà del Novecento – il bagaglio di una ‘cultura’ viva e colorata che colpisce profondamente il bambino (si pensi alla serie della Vita di Garibaldi di Inzaghi) e che va studiato per analizzare i processi di formazione dell’immaginario infantile.
La contaminazione quaderni-libri per ragazzi lo ha portato anche a pensare al ruolo delle cartolibrerie nella distribuzione dei quaderni, queste botteghe che per un tempo assai lungo e non del tutto estinto, soprattutto in provincia, hanno rappresentato il dispensatore unico e indifferenziato di quaderni, cancelleria, ma anche di libri di lettura amena e libri scolastici insieme: un ruolo che sarebbe interessante approfondire nei suoi risvolti di antropologia culturale e di mercato.

Paola Carucci ha sottolineato la natura del quaderno come vero e proprio documento d’archivio. Al quaderno in questa luce sono state dedicate due sessioni che hanno mostrato la ricchezza di fondi storici di materiale scolastico in Italia, con diverso status e accessibilità in differenti situazioni.
Questo documento - afferma la studiosa - non ha un autore nel senso classico della parola, riflettendo l’interazione tra maestro e scolaro; tuttavia esso dà comunque spazio anche alla soggettività dell’alunno. Se ci si riflette, è l’unico prodotto di massa prodotto da gente comune, configurando in questo senso una specificità che merita di essere studiata.
La scuola ha prodotto e produce l’elaborato scolastico con due distinte destinazioni: l’archivio della scuola, che generalmente si perde con le operazioni di scarto; l’archivio dell’alunno e del docente che hanno una vita più durevole, comunque non garantita sulla lunga distanza. Il problema evidente e insuperabile è sempre stato quello delle migliaia di pezzi che si dovrebbero conservare, in una situazione – tra l’altro – in cui raramente si percepisce il valore delle scritture scolastiche come fonte storica. Oggi la normativa prevede espressamente una conserv azione a campione dei materiali e ciò offrirà migliori garanzie per il futuro. In ogni caso resta il problema serio della rappresentatività: conserviamo solo la punta dell’iceberg, spesso selezionata con criteri di ‘eccellenza’, che condannano allo scarto, come hanno osservato un po’ tutti gli intervenuti,  produzioni mediocri o insoddisfacenti, ma non per questo meno preziose per lo studio delle pratiche educative.
E’ dunque una fonte che richiede un’analisi critica particolarmente attenta su corpora significativi, mentre i fondi disponibili sono oggi dispersi, o non sufficientemente noti, o poco accessibili, anche se preziosi e ben conservati come quelli della Scuola di S. Gersolè, del Museo dell’educazione dell’Università di Padova, della Scuola della Montesca e altri ancora presentati al Convegno.
E’ in questa luce che appare importante l’iniziativa assunta dall’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica di Firenze con il progetto nazionale FISQED: progetto che ha censito l’esistente nel nostro paese ed offre oggi gratuitamente un software di catalogazione dei fondi di elaborati scolastici, con la possibilità di far confluire l’informazione in un catalogo cumulativo virtuale nazionale di grande utilità potenziale per gli studiosi.

Carmela Covato si è dichiarata molto soddisfatta della ricchezza di spunti offerta dal Convegno intorno ad una fonte come il quaderno, così largamente polisemica nel suo intreccio di pratica scolastica, scrittura nella sua materialità, iconografia prodotta dall’alunno, iconografia degli illustratori di copertina… e con tutto ciò, “fonte suo malgrado”, come avrebbe detto Marc Bloch.
Alcuni temi tra quelli emersi le sono sembrati particolarmente interessanti.
Il primo è quello della comparazione, che va ulteriormente promossa e allargata: gli studi comparativi nel settore hanno Immagine tratta dall'archivio DIAcominciato a stabilire interessanti analogie e permanenze, ma anche significative differenze, per esempio nella natura e forza di penetrazione delle strategia di propaganda dittatoriale nella scuola in diversi paesi. E’ importante continuare su questa strada.
Un secondo tema, a cui è sensibile come direttrice del Museo storico della Didattica ‘M. Laeng’, è quello della conservazione, casuale o intenzionale, dell’elaborato scolastico: quanto le modalità di conservazione incidono sulla ricerca e sulle ipotesi interpretative? Forse più dei quaderni che ci sono – i quaderni delle mostre e dell’innovazione – interesserebbero i quaderni reperiti casualmente, si vorrebbe dire – paradossalmente - i quaderni che non ci sono, quelli che nessuno ha sentito il bisogno di conservare, specchio più autentico delle pratiche pedagogiche. Altri temi stimolanti le sono apparsi  infine il quaderno studiato come luogo di codificazione del pensiero dell’alunno, e ancora il modo di rapportarsi dell’alunno al quaderno in relazione ad una serie di varianti, a cominciare dalla sua posizione sociale.

Ricollegandosi alle osservazioni dei relatori/relatrici che lo hanno preceduto,  Juri Meda, dal 2004 instancabile curatore e animatore del Progetto FISQED, ne ha ribadito ancora la rilevanza, ricordando lo sforzo ed il forte investimento dell’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica nell’impresa, a partire dall’importante fondo di materiali scolastici posseduto dall’Agenzia stessa. Come il Convegno ha dimostrato, questo è un progetto che risponde all’esigenza concordemente manifestata da tutti gli intervenuti di poter accedere ad ampi  repertori di materiali scolastici storici, come anche alle informazioni fornite da un censimento continuo, capace di aggiornare su ciò che emerge nel settore. Non c’è contesto organico per la ricerca senza massa critica di fonti ed è appunto l’accesso ad una massa critica di documenti che FISQED si propone.
In un’ottica più rivolta ai contenuti della ricerca come emersi dal Convegno, Meda richiama poi l’attenzione sullo sbilanciamento tra gli studi, già numerosi, sulle pratiche didattiche attraverso i quaderni e sulle illustrazioni di copertina e gli studi, praticamente inesistenti, sul quaderno come bene di consumo oltre che strumento didattico, oggetto, in quanto tale, di processi di omologazione e controllo che toccano la sfera economica e politica oltre che quella pedagogica. C’è qui, a suo parere,  un campo aperto assai fecondo per uno studio di aspetti non irrilevanti dell’evoluzione scolastica.

Il tema sviluppato da Davide Montino è stato soprattutto quello della scrittura infantile veicolata dai quaderni.
Raccogliendo le sollecitazioni emerse nel corso dei lavori, Montino ha osservato che la scrittura infantile scolastica va ricondotta all’interno della storia sociale e della funzione sociale della scrittura, più che della storia dell’alfabetizzazione, che deve necessariamente partire da lontano.
Quanto al problema ricorrente dell’autorialità in una produzione in gran parte guidata, è certamente vero che nella produzione scolastica entrano più mani, una rete di autori più che un singolo autore. E tuttavia si deve restituire al bambino il suo intervento, che comunque resta. Bisogna – per così dire – mettere al muro il quaderno per far uscire il bambino che c’è al suo interno, un bambino comunque capace di rompere gli stereotipi e di far emergere la propria personalità.
Infine anche Montino sottolinea l’opportunità di non trasformare l’elaborato scolastico in un microcosmo chiuso:  bisogna porre quaderni e loro contenuti in relazione con temi quali, ad es., la nazionalizzazione dell’infanzia, la scolarizzazione di massa, la costruzione dell’immaginario.

Simonetta Polenghi  ha rappresentato i contenuti della sua sezione,  focalizzati sullo studio dei cambiamenti nella didattica delle discipline e nelle modalità di insegnamento e valutazione degli insegnanti testimoniate dagli elaborati scolastici. E’ emerso ancora una volta il ruolo cruciale, trasversale e transculturale, giocato nel primo Novecento dalle scuole nuove e dall’attivismo nell’evoluzione delle pratiche di insegnamento, un ruolo che ha toccato non solo i contenuti, la lingua e lo stile della scrittura, ma addirittura la sua espressione grafica: ciò che prima è copia e ripetizione diventa espressione; una lunga pratica della norma e della conformità come valori per una “civilizzazione” di masse popolari da poco scolarizzate, ha lasciato il posto, grazie all’attivismo, a nuovi spazi di libertà. Una prospettiva interessante è stata anche quella dell’evoluzione della calligrafia, che perde la sua dimensione creativa nel momento in cui diventa materia scolastica, o ancora la storia di una mutazione cruciale che avviene quando è il libro di testo che diventa quaderno, aprendo spazi di scrittura e di esercizio all’allievo.  Anche in questa sezione è stato analizzato un tema che ha attraversato altri momenti del Convegno:  il collegamento tra la nascita e tumultuosa diffusione del quaderno a partire dagli anni ’70 dell’Ottocento e i processi di industrializzazione e alfabetizzazione di massa. Infine il quaderno ripropone il problema delle scritture bambine, alla luce della nota opposizione tra cultura dei bambini e cultura per i bambini: c’è nei quaderni realmente uno spazio di libertà infantile? Un’analisi attenta – si è dimostrato – può trovarlo, magari soltanto in un disegno ai margini della pagina…

Ha chiuso i lavori Roberto Sani, individuando nell’approccio comparativo a livello mondiale, nella globalizzazione della ricerca, la vera sfida lanciata dal Convegno. Siamo oggi in momento di crisi di paradigmi storiografici  che hanno guidato a lungo ricerca: è necessario elaborane di nuovi nell’ottica completamente nuova creata dal mondo globalizzato, un’ottica di rete. Il Convegno ha creato una rete larghissima, una rete in cui sono presenti molti giovani e una grande ricchezza di spunti e idee nuove.
E’ necessario muoversi concretamente per non disperdere questo primo impulso.
La prima azione sarà la pubblicazione degli Atti del Convegno. La seconda dovrà essere una banca dati internazionale delle scritture scolastiche, che possa essere implementata e fruita  da tutti. La tecnologia di Internet lo consente e la banca dati FISQED è già  il primo importante passo in questa direzione, con il ruolo di fornire criteri e standard di riferimento già collaudati.
Infine sarà necessario promuovere ulteriori ricerche per il tramite delle riviste di storia dell’educazione rappresentate al Convegno dai relatori che le dirigono o vi collaborano. Sin da ora la  HECL (History of Education & Children Literature), diretta da Sani stesso, è aperta a tutti i contributi che potranno sviluppare questo approccio largo alla ricerca.








 

 

 
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