di Simona Baggiani
22 Settembre 2008
Lo «zoccolo comune» (socle commun), è il grande «affaire» nelle attuali
politiche educative francesi? Sì, nel principio, non ancora nella
realtà!
Che cosa aveva di «rivoluzionario»
inizialmente? Diverse cose! Prima di tutto il fatto che è la prima volta
(lo zoccolo è stato creato in base alla legge sulla scuola del
2005, proposta da un governo di destra) dalla fine del XIX
secolo che una politica educativa in Francia si costruisce attorno ad
obiettivi da raggiungere da parte degli alunni, e non in
termini di programmi astratti per discipline o di decisioni relative ai flussi
quantitativi degli stessi: solo la scuola primaria di Jules Ferry era stata
definita, a suo tempo, a partire da una grande ambizione nazionale di
istruzione. E fatto particolarmente inedito per la Francia è che gli
obiettivi di questo “zoccolo” non sono
definiti dai soli specialisti dell’istruzione e in particolare
dalle corporazioni dei docenti, ma dal Legislatore.
Ma nel merito, questo «zoccolo» in cosa è realmente innovativo
? Analizziamo le parole : « zoccolo comune di conoscenze e
competenze alla fine della scolarità obbligatoria » :
- “zoccolo”, prima di tutto: la parola definisce gli obiettivi della scolarità
in termini di un “equipaggiamento” necessario a tutti, indispensabile per vivere
nella società contemporanea e per proseguire gli studi; è proprio questo il
senso dell’idea di “socle”.
- Poi, si vede apparire per la prima volta la parola
“competenze”, associata a quella di
“conoscenze”, per definire gli obiettivi della scuola: l’idea è
che non si tratta solo di memorizzare saperi scolastici provenienti dalle
diverse discipline, ma anche di preoccuparsi di reinvestire questi saperi e di
dar loro un senso nel mondo.
- Importante è anche l’aggettivo “comune”: dal 1975, quando è stato creato un
collège unico (scuola secondaria di primo grado, ndt), era in questione: i
contenuti devono essere distinti a seconda degli alunni, come lo erano prima,
oppure “comuni”, aventi per obiettivo la costruzione di una cultura che sarebbe
quella di ciascun alunno passato dalla scuola francese? Questa volta,
finalmente, si ha una risposta, “comprensiva”, nel senso inglese della parola.
- Per ultima, ma non meno importante, la menzione che si tratta dello zoccolo
da acquisire alla “fine della scolarità obbligatoria”: questo dà per la prima
volta un senso pedagogico a questa nozione di scolarità obbligatoria, nozione
finora soprattutto giuridica. Non si tratta degli obiettivi del collège, o della
scuola primaria, ma degli obiettivi comuni a tutto l’insieme del percorso,
quando questi due livelli scolastici non hanno mai finora “camminato” insieme.
In cosa consiste concretamente questo « zoccolo »? Associa
sette macro “competenze” (o “pilastri”), ma le “competenze” sono definite qui
specificamente come la combinazione di “conoscenze”,
“capacità” e “attitudini”:
- la padronanza della lingua francese;
- la pratica di una lingua straniera moderna;
- principali elementi di matematica e di cultura scientifica e tecnologica;
- padronanza delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione;
- la cultura umanista;
- le competenze sociali e civiche;
- l’autonomia e lo spirito di iniziativa.
Ciò significa che se lo si confronta alle competenze chiave proposte in
diversi paesi o a livello europeo, si può ritenere che la soluzione francese
realizza forse in maniera più ambiziosa la sintesi tra la “competenza” e il
“patrimonio”, tra i saper fare procedurali che servono ad apprendere e il
riferimento a monumenti e opere che compongono la cultura umana. Allo stesso
tempo i due ultimi “pilastri” fanno appello ad ambiti di formazione che finora
erano relativamente estranei alla scuola francese, come
l’autonomia e lo spirito di iniziativa: è
la scuola che è invitata a cambiare, non si
tratta semplicemente della determinazione di un minimo per gli alunni in
difficoltà.
Appunto, lo « zoccolo » era stato criticato come una sorta di salario
minimo culturale… che cosa bisogna pensare di questa
accusa? Effettivamente questo è stato uno dei grandi attacchi contro lo
“zoccolo comune”, e paradossalmente era la sinistra che vi si opponeva con
questo argomento: lo zoccolo sarebbe stato un abbandonare i bambini degli
ambienti popolari a dei saperi basici. Giocoforza è di riconoscere che ciò che è
proposto non corrisponde a questo, e si è anche sentito il rimprovero opposto:
lo zoccolo sarebbe destinato ad essere inaccessibile per molti alunni. Di fatto
questa querelle non ha molto senso, tutto dipenderà dalle
modalità di valutazione.
Che ne è stato nella pratica dello zoccolo comune? Sono cambiate
effettivamente le condizioni degli apprendimenti degli alunni? Credo che
sia troppo presto per dirlo: in materia di istruzione, le trasformazioni di
fondo sono lente se vogliamo che siano profonde. La loro agenda non corrisponde
sempre a quella dei ministri che vogliono dei risultati a breve termine! Non
bisogna nemmeno nascondersi che se lo zoccolo ha impiegato trent’anni per venire
alla luce, i nemici di questa logica “comprensiva” e rivolta a tutti gli alunni
non sono scomparsi per incanto! Le lobby delle discipline e certe tradizioni
professorali hanno unito tutti coloro che considerano che i cambiamenti in
materia educativa sono un abbandono dell’età dell’oro! Pertanto lo “zoccolo”
continua e continuerà ad essere una lotta militante perché la legge sia
applicata, e perché la comune educabilità delle menti divenga
finalmente in Francia una tesi e un’esigenza riconosciuta da tutti gli attori
della scuola! Ci vorrà del tempo, nell’ordine di una decina di anni.
Da cosa si capisce se le cose comunque stanno andando avanti? Da
diversi segnali. I fondatori dello zoccolo hanno detto fin dall’inizio che lo
zoccolo dipendeva da ciò che sarebbe avvenuto della valutazione: se la
valutazione certificativa (il “brevet”, l’equivalente della licenza media)
restava invariata, continuando a “compensare” voti tradizionali attraverso il
calcolo della loro media, lo zoccolo sarebbe stato un fiasco, perché ciò avrebbe
significato non averlo preso sul serio ed essere rimasti alle discipline del
vecchio paradigma. In effetti non sarebbe possibile compensare tra loro le
competenze come in un esame universitario: ciascuna ha un senso e ciascuna deve
essere ottenuta separatamente. Bisognerà vedere anche ciò che diverranno
i programmi scolastici tradizionali: si adatteranno veramente o
faranno solo finta? Lo zoccolo, con i suoi progetti in termini di competenze, con le sue esigenze in termini di autonomia degli alunni, di
capacità di iniziativa ecc.. avrà la precedenza sui vecchi contenuti
disciplinari?
Altro punto: gli istituti scolastici sapranno
prendere e utilizzare la loro autonomia per realizzare
l’obiettivo dello zoccolo in maniera adeguata al loro pubblico reale? Se non si
pone attenzione a ciò, lo zoccolo che è fatto per aiutare tutti gli alunni a
compiere con successo il loro percorso scolastico rischia, con i suoi tre stadi
di valutazione, di diventare un temibile strumento di bocciatura! Le
strade dell’inferno pedagogico sono spesso lastricate di buone
intenzioni! Ciò richiederà molta immaginazione da parte degli istituti
scolastici per la scrittura precisa dei curricoli e per introdurre le variazioni
necessarie ai ritmi di apprendimento degli alunni. Non è certo che le scuole
siano pronte per fare questo…
Ultimo punto: bisognerà verificare
attentamente che il discorso sullo zoccolo non sia assimilato da una parte o
dall’altra a un discorso sugli “elementi di base” o sui “fondamentali”. Non si
tratta di saperi elementari, ma di competenze necessarie a
tutti, e questo non è la stessa cosa. In conclusione si può dire che
dal 1975, data di creazione del collège unique, lo zoccolo comune era sentito
come una necessità. Si tratta di stabilire il livello minimo di conoscenze e
chiarire le competenze attese dall’insieme della popolazione, sia
per diminuire il numero di alunni che escono dal sistema educativo senza
qualifica che per dare a questi gli strumenti per un percorso scolastico di
successo al liceo e nell’istruzione superiore. A questo titolo, lo zoccolo è un
elemento strategico verso la società della conoscenza, che deve
rifiutare l’esclusione di cui la scuola è ancora troppo spesso
responsabile.
Traduzione dall'originale francese di Simona Baggiani
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