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SISTEMI EDUCATIVI EUROPEI

L’idea di qualità nell’organizzazione del sistema-scuola in Francia

Gli elementi che concorrono alla valutazione della qualità nella scuola francese e la formazione e sviluppo professionale dei dirigenti scolastici

di Francesco Vettori
19 Settembre 2008

Intervista a Alain Bouvier, Professore delle Università di Poitiers  e Sherbrooke, ex Recteur e Membro dell’Haut Conseil de l’éducation, si occupa di formazione dei Dirigenti Scolastici presso l’Istituto ESEN.
Il professor Bouvier risponde in qualità di docente universitario in Scienze della Gestione e non a nome di alcuna particolare istituzione. Le sue risposte si riferiscono all’istruzione secondaria in Francia, con particolare riferimento all’istruzione pubblica (che coinvolge circa l’80% degli alunni).

Dia IndireProfessor Bouvier, qual è, a suo giudizio, la relazione tra qualità, management scolastico e leadership educativa?

La ricerca offre pochi elementi di risposta alla questione dei legami tra tre “elementi” fondamentali in termini di management di un sistema scolastico: la qualità della scuola, il tipo di management praticato e lo stile di leadership adottato. Ciononostante si può rilevare che esistono alcuni contributi che mettono in relazione questi elementi, anche se relativamente ad altri settori dell’ attività umana.

Nella sua recente opera Les  nouvelles politiques éducatives. La France fait-elle les bons choix?”, Parigi, PUF, 2007, Nathalie Mons offre una visione abbastanza chiara di ciò che si sa delle relazioni esistenti tra due di questi tre elementi: l’organizzazione dei sistemi scolastici da una parte e i loro risultati dall’altra. Il suo approccio è a livello “macro”: quello dei sistemi educativi e delle decisioni che competono alle istanze superiori di questi sistemi. Le differenze tra gli stati (politiche, storiche, culturali, ecc.) sono tali che queste comparazioni possono farsi solo a grandi linee. Non dicono niente sullo stile della leadership poiché questo può essere valutato solo a livello locale.
Pertanto, bisognerebbe disporre non solo di tre grandi tipi di ricerca relativi agli elementi sopra citati, individuando legami tra questi poli due a due, ma anche di ricerche molto più raffinate per poi metterle a sistema. Ignoro se tali ricerche sistemiche esistano.
Lavori di questo tipo possono essere svolti solo tenendo in considerazione le dimensioni storiche, culturali, sociali, economiche, filosofiche, religiose… dei paesi presi in esame. Per esempio, si rileva che esistono tratti comuni ai paesi mediterranei e cattolici del Sud dell’Europa. Differiscono da questi i paesi di tradizione protestante del Nord. Senza parlare dei paesi dell’Asia del sud-est o dell’Africa. Ciò concerne i valori, l’etica,  soprattutto i rapporti tra sistemi sociale, politico, economico e scolastico. Ciò dipende dal ruolo dei genitori e dei diversi soggetti interessati, in numero crescente, tanto a livello locale che nazionale e internazionale: OCSE, Europa, Unesco, FMI, Banca mondiale, ONG, ecc.
In mancanza di ricerche sistemiche di questo tipo, è in base a dati empirici che ho progressivamente sviluppato la convinzione (condivisa con altri) che un’organizzazione collettiva dell’azione, in particolare dell’azione didattica, produce effetti rilevabili, benefici e incoraggianti per il lavoro in équipe degli insegnanti. Questa convinzione è stata rafforzata dalle mie letture sull’apprendimento organizzativo (in imprese private o pubbliche), in particolare in termini di knowledge management. Nell’ambito scolastico, l’ “effetto istituto”, ben conosciuto da 30 anni, conferma ciò se ce ne fosse bisogno.

Tali effetti si realizzano a condizione che le intenzioni manageriali siano accompagnate da un tipo di leadership coerente, che cerchi di facilitare le procedure di accountability e i regolamenti collettivi, sulla base dei risultati degli alunni, cioè della qualità del servizio reso. È ciò che ho voluto approfondire nella mia opera Management et sciences cognitives, “Que sais-je?” n. 3711, Parigi, PUF, 2007, e nei miei seminari destinati a quadri del sistema educativo, capi di istituto del livello secondario in particolare. L’ “ultimo anello della catena” – il cliente, qui l’utente, i suoi alunni e i suoi genitori – è l’elemento determinante della qualità; sono innanzitutto loro che giudicano.
Per la Francia, ogni minima analisi deve tener conto della storia della nazione, dell’influenza dell’Illuminismo, di quelli che si dicono valori repubblicani (in particolare in termini di uguaglianza), del ruolo e dell’organizzazione dello Stato, del potere pubblico, del governo. Per esempio, non possiamo evocare la qualità della Scuola che in termini di valutazione di politiche pubbliche. A differenza di quanto accade in numerosi paesi, gli istituti scolastici hanno solo una debolissima autonomia e non effettuano nessuna autovalutazione pubblica. C’è da notare che la situazione degli istituti di istruzione superiore è ben diversa.

Come descriverebbe le caratteristiche e le competenze di un buon dirigente scolastico?

È difficile rispondere a questa domanda senza incorrere in luoghi comuni. Tuttavia ci provo. Secondo me, il “buon” dirigente scolastico è un professionista, ma un professionista di un tipo particolare.

È prima di tutto un professionista, cioè un soggetto che si pone degli obiettivi e li raggiunge. I suoi obiettivi non sono idee vaghe e generali. Può precisarli in termini di indicatori di risultato (e di qualità) facendo ricorso a parametri misurabili. Inoltre, li raggiunge, e ciò sta a significare che agisce, si preoccupa continuamente dei risultati, dell’efficacia e della qualità della sua azione e la regola di conseguenza.
È anche un professionista di una tipologia particolare. Innanzitutto egli opera in un settore essenzialmente intellettuale e umano, dove l’azione si definisce in rapporto a obiettivi, ma soprattutto è sottesa da valori e da un’etica. Oltre che dell’efficacia, questo professionista, si preoccupa della pertinenza e dell’efficienza. Interseca umanesimo ed economia, cercando di non ridurre l’uno all’altro. Il progetto collettivo di cui definisce l’elaborazione, che poi guida, accompagna e valuta, si basa su risorse umane. Si prefigDia Indirege soprattutto di mobilitarle, di trasformare degli “agenti” dello Stato in “attori” responsabili.

Questo professionista deve saper guidare il lavoro collettivo di scelta di indicatori (quantitativi e qualitativi) e l’elaborazione di tabelle di bordo. Ha l’obiettivo di accompagnare il passaggio dall’ “amministrazione” al suo “pilotaggio” per obiettivi, nel senso inteso dalla teoria dei sistemi. Si dice comunemente che in Francia il sistema scolastico è troppo amministrato e non abbastanza “pilotato”. Lo penso  anch’io. Il processo evolutivo va verso un maggior “pilotaggio” cercando di valorizzare la formazione iniziale e continua dei quadri, in particolare quella proposta dall’ESEN a Poitiers.
Questo lavoro sugli indicatori permette di concepire e mettere in pratica meccanismi di regolazione, per la classe, le discipline, l’istituto, i suoi diversi settori come la vita scolastica (settore molto particolare in Francia), i convitti, i laboratori, il centro di documentazione, ecc.
Il numero crescente delle reti policentriche, dei luoghi di decisione, dei partner e dei soggetti coinvolti, porta da alcuni anni a immaginare le questioni di politica educativa in termini di “governance”. Ciò concerne tanto un istituto scolastico quanto un’académie (amministrazione regionale dell’istruzione, sotto la responsabilità di un recteur nominato dal governo centrale) o il livello nazionale. È il concetto che sviluppo nel mio libro, La gouvernance des systèmes éducatifs, Parigi, PUF, 2007, in cui pongo le questioni di qualità su questo piano.

Che importanza ha la formazione e lo sviluppo professionale dei dirigenti scolastici in tale prospettiva? 

Le responsabilità dei dirigenti scolastici sono in piena evoluzione. Sono di alto livello intellettuale e richiedono un’enorme expertise. Ciò presuppone che questi soggetti possano disporre di risorse ed ambienti adeguati in cui confrontare le loro esperienze con diversi campi di ricerca. Ambienti in cui poter ipotizzare sperimentazioni, svilupparle e valutarle, come accade in certi ambiti, ad esempio in economia o in medicina. Ciò mi ha portato a proporre, nel 2005, la creazione e lo sviluppo, in reti, di ciò che ho chiamato centri di intelligenza didattica. Li menziono anche nel mio libro sulla governance sopra citato.

Se è opportuno, come per qualsiasi altra professione, prevedere per i dirigenti scolastici un tempo di preparazione e di adattamento al lavoro, credo che per essere efficace questo tempo non debba essere troppo lungo e debba essere pensato sotto forma di alternanza. Questo approccio assegna sempre più importanza all’azione e alla rilevazione di indici, per poter giungere a definire studi di caso significativi, letti in un secondo momento alla luce di alcuni concetti derivati dalle scienze umane, sociali e politiche. Senza dimenticare tuttavia la lezione di Jean Rostand : « les théories passent, mais les grenouilles demeurent » (“le teorie vanno e vengono, ma le rane restano”).
L’alto livello intellettuale e di expertise di cui parlavo sopra non può essere mantenuto senza che i dirigenti dispongano di tempi e luoghi di confronto di pratiche, di studi di caso problematici, di possibilità di innovazione, ecc. Questo richiede il loro sviluppo professionale tenendo presente che gli strumenti tecnologici moderni permettono di farlo integrando modalità cooperative a distanza e lavoro di gruppo in presenza.

Come può essere rilevata e valutata la qualità in riferimento al ruolo del dirigente scolastico?

Come per altri ambiti delle scienze umane e sociali, le questioni educative vertono il più delle volte su dei casi: una classe, una disciplina, un istituto… È difficile immaginare reali sperimentazioni su vasta scala e a lungo termine non fosse altro che per questioni di etica. Per quanto ne so, pochi paesi lo fanno. Allora, rispetto a cosa rilevare la qualità dell’azione condotta?

La qualità non è un elemento intrinseco, è un costrutto cognitivo e sociale.

Più di un secolo fa, Émile Durkheim rispondeva che non potendo sperimentare si poteva comparare. Sì, si possono comparare le classi, si possono comparare le discipline, si possono comparare gli istituti. In Francia, si possono anche comparare tra di loro le académies, cosa che peraltro già si fa. Sapendo, beninteso, che queste comparazioni richiedono di considerare molteplici fattori. Per esempio, è ciò che fanno già i Rectorats (rettorati) che giudicano il “valore aggiunto” di un istituto secondario in riferimento ai suoi “risultati attesi”. Per un istituto, questi risultati attesi sono definiti in rapporto agli altri istituti scolastici della stessa académie che condividono le medesime caratteristiche in termini di dimensione, popolazione di alunni accolti, ecc.
Per un dato istituto, almeno due tipi di comparazione sono utili, se non addirittura indispensabili. Un istituto può innanzitutto confrontarsi con gli altri di una determinata zona geografica (bacino di formazione, académie, paese). Può anche confrontare i suoi risultati attuali con quegli degli anni precedenti, per fare delle rilevazioni sui progressi fatti nei diversi anni, almeno quattro o cinque. Ciò pone una difficile domanda che ho affrontato nel mio “Que sais-je” sulle dimensioni cognitive del management; ossia, quella della memoria collettiva, punto debole degli istituti scolastici, che è destinato quindi ad essere un elemento forte della formazione dei dirigenti scolastici e del loro sviluppo professionale.


 

 

 

 
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