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INIZIATIVE PER LA SCUOLA

La proposta dell’educazione differenziata

Ne parla Alessandra La Marca, Professore ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università degli Studi di Palermo

di Alessandra La Marca
27 Maggio 2009

È chiaramente percepibile in molti Paesi - ma particolarmente negli Stati Uniti d’America, in Gran Bretagna e in Australia-  un movimento pedagogico, che sostiene la convenienza che i centri scolastici possano scegliere tra diverse forme organizzative della didattica, in base al sesso degli alunni; nel 2004 il movimento ha ottenuto fra l’altro una modifica della normativa federale in USA, caldamente sostenuta anche da Hilary Clinton.
Diversi studi infatti hanno dimostrato che anche l’educazione differenziata ha i suoi vantaggi; di conseguenza, negli ultimi venti anni sono progressivamente aumentate - pur restando minoritarie - le scuole maschili e femminili, specialmente nei paesi anglosassoni; mentre in quelli latini permane la diffidenza verso tale scelta didattico-organizzativa.
In tutto il mondo sono circa 40 milioni gli alunni che frequentano  210.000 scuole che differenziano la metodologia educativa in base al sesso, come risulta al termine di un’indagine internazionale svolta dall’European Association Single-Sex Education (EASSE).
Solo in Gran Bretagna ci sono 1902 scuole differenziate per le alunne e gli alunni : 416 state schools (scuole che ricevono fondi pubblici, siano statali o meno) e 676 independent schools.
A Palermo sono due le scuole che adottano il sistema educativo single sex.
Le ragioni a favore dell’adozione di questa modalità di educazione possono essere riscontrate nel General Certificate of Secundary Schools. Il  rapporto del 2008 segnala infatti che 81 delle 100 scuole con i migliori risultati  adottano il modello  educativo  differenziato per le ragazze e i ragazzi sia nel sistema statale che nel sistema privato. Tra le migliori 10, solo una è di educazione mista. Delle 13 state schools che si posizionano tra le migliori 50 del Regno Unito, 10 praticano l’educazione single-sex. Sul totale delle migliori 29  state schools, 25 adottano il sistema dell’educazione differenziata.
Per esaminare e discutere i risultati della ricerca dell’EASSE, il 24 aprile si sono riuniti a Roma, nella sala conferenze della biblioteca nazionale centrale, 300 pedagogisti, psicologi, educatori professionali, docenti e dirigenti scolastici provenienti dai cinque continenti.
Si riportano gli esiti più significativi dei lavori del  congresso "Modelli di scuola nel XXI secolo: la proposta dell’educazione differenziata per le ragazze e per i ragazzi"
Il congresso è stato aperto dall’on.le Valentina Aprea, Presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati, che ha affermato: "Alle sterili polemiche in casa nostra, occorre sostituire uno sguardo al mondo ponendosi sulla strada degli studi pedagogici già realizzati da università e enti di ricerca internazionali". Secondo Aprea, "ogni scuola dovrebbe poter scegliere la forma organizzativa che preferisce per raggiungere il risultato delle pari opportunità di studi" ed anche le famiglie "hanno il diritto di disporre per i propri figli di scuole che valorizzino le loro specificità".
Il dossier presentato dall’EASSE ha raccolto i risultati di 112 studi sull’educazione differenziata e sull’educazione mista nel mondo. Le conclusioni di 46 ricerche sono favorevoli all’educazione differenziata (41%); 9 di esse propendono per l’educazione mista (8%); 50 non hanno espresso alcuna preferenza; i risultati di 7 ricerche sono diversificati.
 “E’ un modello di organizzazione della scuola che ha futuro perché può contribuire a risolvere i molteplici problemi che affliggono l'istruzione in tutto il mondo” lo ha affermato Josep Barnils presentando i dati dell’indagine internazionale svolta dall’European Association Single-Sex Education (EASSE), di cui è Presidente.
In particolare, questo modello organizzativo ha ottenuto risultati molto positivi nella lotta alla dispersione scolastica nelle zone economicamente più disagiate.
 “L’idea secondo la quale le differenze nell’apprendimento di soggetti maschi e femmine sia dovuta all’imprinting dato/imposto dal contesto sociale non è del tutto fondata” ha detto Leonard Sax, noto psicologo americano e direttore esecutivo della National Association for Single-Sex Public Education. "Vi sono" – ha proseguito – "dei comportamenti ascrivibili a ciò che la società vuole che uomini e donne siano. Tuttavia, esiste un ampio repertorio di ricerche secondo le quali il modo di apprendere dipende dalla differenza di sesso poiché tale differenza incide sensibilmente sul funzionamento degli emisferi cerebrali. Nell’uomo, come in alcune specie di primati, il cervello seleziona, analizza, conosce la realtà in maniera diversa a seconda che il soggetto sia maschio o femmina”.
Quella dell’educazione differenziata è una scelta pedagogica e organizzativa che permette ai due sessi di approfondire meglio le loro caratteristiche e che pertanto contribuisce alla diminuzione degli stereotipi di genere.
Come ha sottolineato Serenella Macchietti, docente di Pedagogia Generale presso l’Università degli Studi di Siena e presidente onorario dell’Associazione Pedagogica Italiana, “l’azione educativa, che mira a suscitare persone libere, aperte alla vita e agli altri, capaci di auto-formarsi nel corso dell’intera esistenza, afferma la singolarità e l’unicità di ogni persona, valorizza le inclinazioni e gli atteggiamenti che nascono dalla  matrice femminile o maschile, senza appiattimenti ed omologazioni”. L’educazione, secondo la professoressa, mira a onorare “l’unicità e l’originalità di ogni persona, escludendo un’uguaglianza piatta della donna e dell’uomo”.
Con i dati finora disponibili non è  possibile dimostrare sperimentalmente la sicura superiorità dell’uno o dell’altro modello organizzativo per tutti gli alunni, sempre e in tutti i contesti socio-culturali.
Su un punto convergono comunque i risultati delle ricerche svolte negli ultimi venti anni: le alunne e gli alunni apprendono meglio e imparano a relazionarsi meglio con le persone dell’altro sesso, nelle scuole in cui è prevista una diversa articolazione delle attività educative in base alle differenze sessuali. “Nelle classi omogenee" - afferma Klement Polacek, docente emerito di teoria e tecniche dei test presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma – "le ragazze non solo raggiungono performance migliori, ma emergono nelle materie tecnico - scientifiche, a loro solitamente precluse per colpa di uno stereotipo di genere”.
Anche i ragazzi   senza la concorrenza in classe delle donne che maturano prima, subiscono meno il gender gap.
Sarebbe auspicabile anche in Italia “l’inizio di un fecondo dibattito pedagogico per verificare sperimentalmente quale modello organizzativo-scolastico favorisce meglio il rafforzamento dell’identità di genere negli alunni” - ha detto il prof. Giuseppe Zanniello, professore ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università degli Studi di Palermo -, sottolineando che “in questo momento tutti gli educatori hanno urgente bisogno di principi orientativi che, nel riconoscere la base fisica delle differenze tra femminilità e mascolinità, promuovano l’uguaglianza dello sviluppo delle due forme di essere della persona, senza privilegi o subordinazioni”.
Io stessa ho spiegato che la scelta della scuola differenziata non comporta la discriminazione di nessuno dei due sessi, al contrario, quando un centro scolastico sceglie di organizzare l’attività didattica in modo differenziato per gli uomini e per le donne mira all’educazione integrale della persona umana e tiene conto delle differenze esistenti nel modo di essere dell’uomo e della donna.
Da questo punto di vista, "per la realizzazione della parità tra i sessi l'insegnamento ha un’importanza cruciale e ha portato alla piena integrazione delle donne nella scuola con gli stessi requisiti, gli obiettivi e gli obblighi previsti per gli uomini”, ha sottolineato Maria Calvo Charro, Presidente dell’Easse-Spagna, professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università Carlos III di Madrid.
Sheila Cooper, direttore esecutivo della Girls' Schools Association che riunisce 200 state schools femminili, in Gran Bretagna ha messo in evidenza come “recenti ricerche in campo neurologico condotte negli Stati Uniti e in Europa hanno confermato che ragazzi e ragazze apprendono in maniera differente, sviluppano e maturano con ritmi differenti”.
Ciò nonostante le difficoltà rimangono. Il Prof. Giuseppe Mari, professore ordinario di Pedagogia Generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha mostrato nella sua relazione i pericoli di un’uguaglianza che porta a un’uniformità piatta tra maschi e femmine: “Ad esempio, considerando cosa ha significato per la donna conseguire l’uguaglianza con l’uomo in campo lavorativo. Si è trattato sicuramente di una conquista, che ha permesso maggiore autonomia, ma è stata pagata con l’assimilazione del lavoro femminile a quello maschile non soltanto – dov’è accaduto – conseguendo la giusta equiparazione salariale ma anche con la negazione – nei fatti – della maternità, diventata un ostacolo all’affermazione professionale della donna”. In questo ambito diventa importante sostenere e approfondire “il crescente riconoscimento della “differenza” come fattore essenziale per il conseguimento della vera uguaglianza”.

In conclusione, la scuola differenziata in base al sesso degli alunni è  ipotizzata come una scelta pedagogica e organizzativa che permette ai due sessi di approfondire meglio le loro caratteristiche e che pertanto contribuisce alla diminuzione degli stereotipi di genere.
Inizialmente le classi miste furono viste come un aiuto all’emancipazione della donna e come una modalità organizzativa scolastica che avrebbe favorito la nascita di corretti rapporti tra persone di sesso diverso. Purtroppo, al posto dell’auspicata coeducazione, si è poi realizzata nella scuola solo una prolungata convivenza promiscua senza progettualità pedagogica: una semplice coistruzione che non è riuscita ad assicurare l’uguaglianza tra i due sessi.
Secondo alcuni studiosi, oggi le “pari opportunità” tra uomo e donna si conseguono meglio quando le alunne non hanno in classe delle presenze maschili che assorbono l’attenzione degli insegnanti e limitano lo sviluppo della leadership femminile. Per altri, a scuola gli alunni devono sperimentare le stesse situazioni di collaborazione tra uomini e donne che esistono nella società. Secondo altri ancora , oggi i ragazzi in classe sono svantaggiati dall’eccessiva femminilizzazione del corpo docente e dal più rapido sviluppo delle compagne.
Il linguaggio usato nei documenti ufficiali dell’ONU e dell’ UE negli ultimi anni consente di ipotizzare una scuola neutra per quanto riguarda il genere degli alunni. Non mancano le voci a favore di una scelta della propria identità sessuale in età adulta, senza condizionamenti sociali e scolastici.  È evidente che le convinzioni antropologiche influiscono sul modo di concepire l’educazione all’identità sessuale e di genere.
Secondo i promotori del congresso, fermo restando che agli uomini e alle donne bisogna offrire le stesse opportunità formative e della medesima qualità, ogni scuola dovrebbe avere la libertà di organizzarsi autonomamente, a condizione che accetti la valutazione pubblica dei risultati educativi ottenuti. Si ritiene infatti che la diversità dei modelli educativi, nel rispetto dei principi costituzionali, arricchisca culturalmente le società e stimoli la ricerca pedagogica. Il dibattito scientifico serve per comprendere le diverse situazioni scolastiche, sociali e personali che giustificano le diverse scelte pedagogiche, nel rispetto dei diritti educativi dei genitori.
Gli atti del congresso sono già disponibili e distribuiti dall’editore romano Armando.


    

 

 
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