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ARCHIVI E BANCHE DATI

Raccontare percorsi didattici con la documentazione generativa

Documentazione non è una parola musicale

di Raimonda M. Morani
11 Luglio 2011

 

"Il passato è un’immensa pietraia che tanti vorrebbero percorrere come se si trattasse di un’autostrada,
mentre altri, pazientemente vanno di sasso in sasso, e li sollevano perché hanno bisogno di sapere che cosa c’è sotto.
A volte ne spuntano fuori scorpioni e scolopendre,
grosse spire bianche o crisalidi appena schiuse, ma non è impossibile che, almeno una volta, appaia un elefante […]"

Josè Saramago, Il viaggio dell’elefante, 2009




Diciamolo. Documentazione non è musicale come fanciulla. E’ una parola cupa e un po’ indigesta che rimanda ad un’area semantica nella quale sono presenti altre parole pesanti. Fa rima con archiviazione, catalogazione e rappresentazione (delle conoscenze).

Questa affinità con parole moleste spinge gli insegnanti ad un atteggiamento di sospettoso disinteresse nei suoi confronti. D’altronde come biasimarli se nel tempo libero dalle lezioni preferiscono ritemprarsi nei parchi cittadini o rinfrescarsi in fila nei supermercati, invece che andare a scovare documenti tra fogli polverosi e cartelline strappate che improvvisamente rivelano la presenza degli animaletti della carta o di una piccola scolopendra, o magari, di uno scarafaggio neonato? E’ vero che un paese senza memoria è un paese che affonda, ma nessuno vuole frugare tra fascicoli polverosi che ti sporcano le mani di nero, soprattutto se fa parte di una categoria bistrattata. Nessuno ama cercare documenti nei faldoni dei corridoi bui di una scuola umbertina. Per questo è nata la documentazione generativa.

C’è chi spiega così il perché dell’ associazione pesante a cui rimanda la parola documentazione. “La “colpa” se così possiamo dire del riferimento della documentazione all’ambito dell’archivistica e della biblioteconomia sta nella radice “documento”, che rinvia in un qualche modo alla dimensione fisica e quindi al problema della catalogazione e dell’archiviazione del materiale” [1]. Questa idea di documentazione appare antica e superata . Oggi si tende ad interpretare la documentazione didattica in modo diverso. Si pensa ad un qualcosa che faciliti la ricerca e l’autovalutazione, la condivisione di idee e di metodi, si accenna più al processo che al prodotto dell’apprendimento, la si considera come un momento della didattica che permetta la trasferibilità e la riprogettazione. Per questo oggi si parla di documentazione multimediale e generativa[2].

Scuola e università, modi diversi di documentare

C’è una grande differenza tra come documenta la scuola e come documenta l’università. E’ troppo facile rimproverare i docenti se non documentano. Un universitario fa pochissime ore di lezione rispetto a un docente di scuola. La sua è una didattica rilassata e “riflessiva”, può permettersi un riesame critico delle attività, di partecipare a convegni, di usare l’anno sabatico per scrivere libri e articoli scientifici. Il suo insegnamento è un distillato, le lezioni sono già quasi tutte pronte quando inizia i corsi. Un docente di scuola non riesce ad aver pronti materiali, attività, libri, o idee per duecento giorni di scuola. Deve progettare le lezioni, predisporre metodologie attive, correggere compiti, esercitarsi con la LIM, preparare materiali fantasiosi ed esercizi stuzzicanti che i ragazzi divorano tutti i giorni. E così via fino a giugno. Da considerare poi che nella scuola sono inseriti un certo numero di ragazzi stranieri e disabili e che gli studenti sono diventati più esigenti con la costante frequentazione delle tecnologie. Le attività scolastiche devono stare al passo con la concorrenza dei media. La scuola viene accusata di non documentare, ma gli insegnanti fanno troppe ore di lezione per trovare anche il tempo di descrivere il lavoro didattico, mentre lo stanno facendo.

Si può chiedere a qualcuno che non sia Freinet o Don Milani di scrivere in modo sistematico di ciò che sta facendo in classe con un’ auto osservazione continua? Franck McCourt, scrittore arrivato al successo con Le ceneri di Angel, in Hei prof! racconta perché sia giunto solo a settant’anni alla letteratura. Il motivo sta nel fatto che era un insegnante scrupoloso, occupato da troppe ore di lezioni che non gli lasciavano il tempo per scrivere[3]. Una seria attività di documentazione non è sempre compatibile con una seria attività didattica.
Eppure, a volte, i docenti riescono a documentare. Nell’ambito del progetto Musica 2020[4], ad esempio, Marcella Ferrari , docente della scuola dell’infanzia del 261° Circolo Didattico di Santa Marinella, ha prodotto un delizioso diario di bordo. Trentacinque pagine di disegni, foto e attività per l’infanzia che stanno diventando un blog[5].
Si tratta di un esempio semplice ma sofisticato di documentazione di processi e di prodotti che utilizza una macchina fotografica, un computer, uno scanner, un cellulare per i video e una scrittura adatta al web.
Il racconto risulta talmente arioso e leggero che pare di stare nella classe ad assistere ai laboratori di musica.
In un ambito del tutto diverso merita di essere almeno nominato il sito Milleunastoria[6] con cui la scuola primaria Pistelli e l’istituto comprensivo Belli di Roma documentano un’ esperienza di scrittura creativa in continuità tra scuole di ordine diverso, utilizzando un blog. Spaziando tra fiaba classica e mitologia, letteratura per l’infanzia e poemi omerici, giochi linguistici e filastrocche, i docenti motivano alla scrittura gruppi di bambini dimostrando che si può far vivere la letteratura e utilizzare la tecnologia in modo originale.

Come dovremmo documentare ?

Se riteniamo inadatto alle esperienze didattiche un concetto di documentazione che si rifà a quello di natura storico, archivistico o bibliotecaria, quale sarà il modo nuovo di considerarla?
Le nuove piste per documentare esperienze didattiche comportano la grossa complicazione del controllo simultaneo delle tecniche di scrittura e degli strumenti multimediali. Infatti non possiamo ignorare di essere immersi nella piena di una rivoluzione informatica che travolge e trasforma il nostro modo di vivere, di scrivere e di pensare.
Eco alla Fiera del Libro di Gerusalemme, a proposito delle proteste in Nord Africa, si dichiara stupefatto. “ Le nuove generazioni - sottolinea - sono riuscite con Twitter e Facebook, ed io non ho una pagina, ad organizzare una rivoluzione in cinque paesi diversi, in una maniera che i loro padri non sarebbero stati in grado non solo di fare ma neppure di immaginare». Poi, da semiologo, conclude: «Lo hanno fatto con un pessimo linguaggio. Ma lo hanno fatto. È qualcosa di assolutamente nuovo che fa rimettere in discussione tutte le nostre teorie”[7].

Succede quindi che la rappresentazione di quelle conoscenze che la scuola stessa produce, e che a volte ritiene utile documentare, non passino più soltanto attraverso la sequenzialità del testo scritto ma si arricchiscano con gli strumenti del web 2.0 che la scuola comincia a praticare[8].

Rappresentazione sequenziale e reticolare delle conoscenze

Da qualche anno nella scuola con il libro – organizzato in forma sequenziale in capitoli e paragrafi - convive un modo diverso di rappresentare le conoscenze, ben esemplificato dall’ ipertesto e dal web.
Oltre agli indici dei libri, oggi, un docente deve saper costruire menù efficaci per i siti web, se vuole pubblicare e condividere in rete: le due operazioni si assomigliano ma non sono esattamente equivalenti , dato che un sito web segue una logica ipertestuale, mentre un testo scritto quella sequenziale.
Quando la rappresentazione della documentazione delle esperienze avveniva soltanto attraverso la linearità del testo scritto bastava scrivere un’ introduzione, porre un problema inquadrandolo nella letteratura esistente , descrivere ciò che si era fatto raccontando metodi e procedura seguita, discutere il risultato ottenuto , trarre delle conclusioni e fornire una bibliografia. Oggi invece per documentare si prova ad intrecciare la scrittura con altre modalità di rappresentazione di natura multimediale. Le scuole usano blog e siti, ipertesti e video, social network e applicazioni on line di vario genere[9].

Questa utilizzazione dell’ipertestualità è affascinante perché permette la condivisione, la rielaborazione continua degli oggetti, la scrittura collaborativa attraverso il wiki, è però anche insidiosa perché un oggetto non acquista intelligenza, dignità estetica o culturale per il solo fatto di trovarsi su face book. Il patrimonio di conoscenze e l’agilità intellettuale dei docenti dovrebbero continuamente orientare la selezione nella ridondanza del web. Se è vero che i nativi digitali si ritengono molto autonomi sul web, va anche detto che l’adulto non può smettere di fornire coordinate interpretative e culturali per quello che i giovani vanno tirando fuori dalla rete.

Gli alleati di chi scrive per il web

La scrittura per il web richiede alcuni accorgimenti rispetto alla scrittura per un libro o per una rivista. Luisa Carrada nel suo frequentatissimo sito ci fornisce alcune indicazioni di base[10].
Raccomanda di considerare che design e ipertesto sono dei fondamentali alleati e consiglia quindi di considerare la pagina come una mappa.
Tenuto presente che il testo sul web si espande in profondità piuttosto che in lunghezza, Carrada suggerisce di stratificare bene l’informazione su più livelli valorizzando la natura dell’ipertesto. Per sfruttarne le potenzialità bisogna saper scegliere i link (cioè non serve agire a livello lineare ma far “sprofondare” il testo) e saperli titolare (organizzare cioè l’informazione in modo da far capire al lettore sinteticamente cosa ci troverà).
Fondamentale risulta poi dimezzare la lunghezza dei testi rispetto alla carta, fare periodi brevi e semplici ed esprimere una sola idea per paragrafo.
La sintassi sarà più di tipo paratattico che ipotattico, con poche subordinate; la punteggiatura risulterà semplificata e con pochi incisi.
Importante anche utilizzare le parole chiave scritte con altro corpo e colore, così come l’uso intelligente degli spazi bianchi.
Carrada raccomanda infine chiarezza per titoli, sottotitoli e link e un buono stile di scrittura, asciutto, personale e diretto.

Quali esperienze didattiche documentare e come descriverle

Quali esperienze didattiche documentare ? A questa domanda segue una risposta ovvia. Bisognerebbe tendere a documentare pratiche didattiche significative e consolidate; non ha senso documentare esperienze troppo esili o in una fase iniziale. Se un’esperienza non ha corpo né sostanza non lo acquisirà con un video né mettendo le foto dei bambini sul web. Se non c’è nulla da documentare è bene prenderne atto con semplicità.

Siccome descrivere bene un percorso didattico può porre delle difficoltà, si suggerisce di tenere presenti i criteri elaborati per GOLD[11]. Immaginiamo di leggere la descrizione di un’esperienza prodotta da una scuola: per risultare efficace dovrebbe essere possibile rispondere alla maggior parte delle domande che seguono.
La descrizione è riuscita a comunicarmi gli aspetti centrali dell'esperienza, in forma coinvolgente e interessante o sufficientemente leggera e stimolante?

E’ in grado di far nascere nuove idee, riflessioni utili in altre situazioni didattiche?
Nella descrizione c’ è qualche aspetto del processo descritto che può essere utile estrapolare e utilizzare, anche parzialmente per la mia situazione? Le informazioni fornite , i passaggi descritti sono sufficienti per riproporre, in altro contesto, il percorso documentato o nella ricetta fornita mancano degli ingredienti fondamentali?
Ho trovato nella descrizione degli stimoli teorici o culturali, anche non immediatamente riutilizzabili?
C’è qualche stimolo didattico o operativo? Sono presenti segnalazioni bibliografiche o sitografiche che mi potrebbero servire ?
Si può descrivere in molti modi diversi, anche con un video, con un sito o con un film, ma è importante che le informazioni che caratterizzano l’ esperienza non rimangano del tutto implicite o sottintese.

Una buona pratica didattica ben documentata

Il percorso dal titolo suggestivo, Una babele di voci. Lingue e linguaggi dell’ integrazione,[12] presenta un disegno complesso ma ben articolato: due prime, due terze, una quinta classe elementare e dieci docenti lavorano su letteratura, mito, e astronomia in una cornice interculturale.

Le prime classi, partendo dalla lettura della Gabbianella e il gatto di Sepulveda, approdano alla costruzione di un gioco dell’oca multiculturale (con card e istruzioni di gioco in sei lingue diverse) che coagula i contenuti emersi assumendo un forte significato simbolico, come testimonia il bel video coi disegni dei bambini[13].
Le classi terze con Cosmogonie affrontano un percorso ambizioso e affascinante che parte da un approccio scientifico sull’origine dalla terra e poi si sposta sul terreno del mito. Le insegnanti fanno ripercorrere ai ragazzi ciò che l’uomo ha fatto nel corso della sua storia, accompagnando narrazioni di tipo simbolico, mitico e narrativo a spiegazioni scientifiche e razionali dei fenomeni. Nel laboratorio i ragazzi esaminano sette miti di diverse culture sull’origine del mondo e producono una scatola di carte dei miti plurilingue.
Questa esperienza didattica permette quindi di confrontare le spiegazioni scientifiche con le narrazioni mitiche sull’origine dell’universo e di riflettere, più in generale, sul rapporto tra mito, scienza e religione. Inoltre l’analisi comparata dei miti dei diversi popoli attribuisce al percorso un forte spessore interculturale.

In quinta classe col percorso A riveder le stelle… un viaggio alla scoperta delle costellazioni le docenti di italiano e geografia collaborano ad un percorso astronomico interdisciplinare. Attività osservative e scientifiche (uso dei binocoli e mappe del cielo, osservazioni del cielo, misurazione dell’ azimut) si intrecciano con lo studio del racconto mitico sulle costellazioni .
La classe produce una descrizione plurilingue ( in inglese, cinese, filippino, rumeno, spagnolo e arabo) della procedura per costruire il sestante e l’astrolabio e le insegnanti documentano il processo con un video.
La descrizione dell’esperienza è corredata da una ricca biblio - sitografia, da tante immagini, foto e video. Ma il cuore della documentazione risiede nella descrizione puntuale del processo[14]. La costruzione di un sito dedicato, che ha accompagnato nei mesi lo svolgimento delle attività didattiche, ha permesso di pubblicare i materiali, di valorizzarli e metterli a disposizione di altri insegnanti[15].


[1] G. Biondi, La documentazione come sistema di rappresentazione delle conoscenze, in http://www.bdp.it/lucabas/lookmyweb_2_file/doc/Biondi_rappresentazioni_conoscenze.pdf

[2] Sul concetto di documentazione generativa vedi il bell’ articolo di Silvia Panzavolta, http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1582

[3] Franck McCourt, Hei prof! , Adelphi, Milano, 2006

[8] Vedi Claudia Perlmuter, “Condividere e diffondere pratiche didattiche efficaci: la ricerca delle scuole toscane”, in (a cura di) Gloria Chianese, La scuola tra narrazione e documentazione, Napoli, Loffredo, 2011, pp. 55/62.

[9] http://gold.indire.it/gold2/

[10] Vedi il bel sito di Claudia Perlmuter dedicato alla documentazione delle scuole toscane http://sites.google.com/site/documentazionetoscana/gold

[12] In questa pagina web di GOLD viene spiegato come descrivere un’esperienza in modo esauriente http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/GOLD_2009///schema_descrizione_esperienza.pdf

[13] Il 113° circolo didattico Clementina Perone di Roma ha prodotto un’ ottima documentazione del percorso e dei prodotti. In http://didatticaetica.blogspot.com/ si trovano video, foto, e disegni scannerizzati; in https://sites.google.com/site/didatticaetica/home/progetti/sui-banchi-dell-intercultura si trovano mappe concettuali e descrizioni testuali delle attività relative ai tre percorsi. L’esperienza è pubblicata anche sul sito GOLD http://gold.indire.it/nuovo/gen/show.php?ObjectID=BDP-GOLD00000000002A4955

[15] In https://sites.google.com/site/didatticaetica/home/progetti/sui-banchi-dell-intercultura si trovano mappe concettuali e descrizioni testuali delle attività dei tre percorsi

[16] Questo articolo (in via di pubblicazione) è tratto dagli Atti del Seminario Regionale Sui banchi dell’intercultura, Roma 30 maggio 2011, USR del Lazio, a cura di Silvia Tavazzani, Istituto Magarotto, Roma.

 
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