di Silvia Panzavolta
01 Ottobre 2003
Robert McCormick è ricercatore presso la Open University. Da circa trent'anni si occupa di tematiche quali l'insegnamento delle Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione (TIC), l'inserimento delle tecnologie educative nel curricolo scolastico, i modelli di apprendimento a distanza, la valutazione scolastica. Svolge analisi comparative sull'educazione ai media e cura e diffonde i risultati di ricerche sperimentali nel campo. Collabora, inoltre, con vari periodici come il Journal of Design and Technology, il Journal of Technology Studies, il Journal of Information Technology for Teacher Education, e pubblica monografie e contributi scientifici. Rimandiamo alla pagina personale di McCormick per una bibliografia delle pubblicazioni, articoli e contributi
Abbiamo colto l'occasione della partecipazione di McCormick all'incontro svoltosi a Helsinki a fine settembre 2003, nell'ambito del progetto internazionale CELEBRATE, per porre allo studioso alcune domande. La sua lunga esperienza in Open University ci è sembrata utile per capirne la prospettiva e le scelte. McCormick è stato molto esaustivo e ci ha spiegato il modello dell'apprendimento a distanza applicato dalla Open University, le difficoltà e i limiti di un apprendimento completamente virtuale, i miti che si nascondono dietro le parole 'e-learning' e 'tecnologia educativa', l'utilizzo degli Oggetti Didattici nel panorama inglese. Primo estratto dall'intervista a Robert McCormick Secondo estratto dall'intervista a Robert McCormick
Qual è l'esperienza della Open University in tema di Oggetti Didattici, in inglese Learning Object? Non penso che si possa parlare di un uso di Oggetti Didattici (OD) nel senso stretto della parola. Alla Open University, ci serviamo in genere di materiale digitale e tali materiali non sono riusabili né sono interoperabili con altri sistemi di apprendimento virtuale. La riusabilità di una risorsa, però, è una questione che abbiamo affrontato più volte e sulla quale non c'è un grande accordo al nostro interno. Per esempio, materiali digitali di matematica o scienze sarebbero potenzialmente riusabili in una vasta gamma di contesti in corsi universitari di matematica, ingegneria, scienze e così via. In genere però accade che quando l'insegnante valuta una risorsa digitale ne apprezza l'idea ma vorrebbe presentarla o servirsene in un modo leggermente diverso, anche in relazione agli allievi con i quali vuole utilizzarla. Penso quindi che la riusabilità sia ancora un miraggio. Il principio che sottende agli Oggetti Didattici è molto importante, ma credo che la comunità educativa non ha ancora gli strumenti per abbracciarlo.
Il valore aggiunto degli Oggetti Didattici è secondo lei sottostimato? Sì, credo lo sia soprattutto in relazione ai contenuti. Se la riusabilità è un problema presso la stessa Open University figurasi a livello europeo, dove ci si deve necessariamente confrontare con sistemi scolastici diversi, lingue diverse, background culturali lontani tra loro. Per questo un progetto come CELEBRATE è importante: un progetto che favorisce sia una ricerca teorica sia una ricerca applicata nel settore. Con anche questo obiettivo: diffondere il valore della condivisione e della riusabilità dei materiali educativi digitali.
Secondo Lei, nella parola e-learning è implicito un cambiamento strutturale rispetto alla tradizionale dizione 'formazione a distanza'? Penso di non capire cosa le persone intendano quando fanno riferimento al concetto di 'e-learning': se si riferiscono a un ambiente completamente virtuale, esclusivamente basato su web, penso che i campi di applicazione siano assai limitati. Ci sono esempi di ambienti di apprendimento completamente virtuali, soprattutto in materie economiche o commerciali, ma in settori quali la formazione penso che la parola e-learning venga usata impropriamente. Alla Open con la parola e-learning intendiamo in realtà sia risorse multimediali sia risorse web: videoconferenze, materiale video, cd-rom, eccetera. Secondo me sarebbe più corretto parlare di blended learning perché credo che il modello dell'e-learning sia molto lontano dall'essere realizzato, anche perché presuppone un'architettura teorica di riferimento ben strutturata che, per il momento, non c'è.
In uno dei suoi recenti interventi lei ha criticato i principi pedagogici che danno forma a un Oggetto Didattico, e quindi il modello teorico di riferimento che, secondo lei, deve essere gestito 'con cautela'. Può chiarirci il suo punto di vista? Tutto dipende da come questo OD viene utilizzato. Supponiamo che un esperto di progettazione costruisca un ambiente formativo o un OD, e che questo oggetto debba essere utilizzato da un altro insegnante. Si potrebbe verificare una prima dissonanza cognitiva tra l'insegnante e colui che ha progettato l'OD. Non è una dissonanza negativa di per sé, perché potrebbe essere anche un valore aggiunto; a patto, però, che l'insegnante utente sia consapevole del paradigma teorico di riferimento utilizzato dal progettista dell'OD. Infatti, la struttura di un corso, ossia come viene organizzato, il livello di interattività, e tutto il resto, costituiscono, formano l'approccio pedagogico stesso. Un secondo livello di dissonanza cognitiva potrebbe verificarsi nell'alunno, nel momento in cui fruisce della risorsa. Ecco perché sostengo che il ruolo dell'insegnante è fondamentale. E' lui che dovrebbe fare un'introduzione, o quantomeno discuterne successivamente con l'alunno, prima o dopo che questi ha fruito dell'OD. Quel che è certo è che, secondo me, un OD non può essere fruito da un alunno in modo assolutamente autonomo senza alcuna mediazione dell'insegnante.
Ci deve essere sempre un supporto, un ruolo di "scaffolding" da parte dell'insegnante? Si, come nel fruire delle varie risorse, siano esse cartacee, audio o video. Quando si utilizza un video, per esempio, non si abbandona l'alunno a se stesso, ma si offre sempre una forma di supporto da parte del docente, sia che si tratti di un lavoro individuale sia che si tratti di un lavoro di gruppo. Lo stesso vale per un OD.
Secondo la sua esperienza gli OD definiti "comunitari", ovvero i learning community object, sono il modello verso cui tendere? Sono questi gli OD per eccellenza? Nella prospettiva del costruttivismo piagetiano, si ha apprendimento e creazione di conoscenza dalla risoluzione del conflitto cognitivo che si crea tra due interlocutori, risoluzione che Jean Piaget colloca a livello individuale. Nella prospettiva del costruttivismo sociale, invece, la risoluzione di questo conflitto è una creazione sociale. E' una distinzione sottile, che spesso non è chiara neanche all'insegnante stesso. Per esempio, per la sua architettura tecnologica, una videoconferenza o un ambiente di apprendimento virtuale potrebbe far pensare a una forma di costruttivismo sociale. Ma non è la nuova tecnologia a creare una nuova visione dell'apprendimento e della conoscenza. L'insegnante dovrebbe chiedersi quali risultati condivisi e quale livello di cooperazione e di condivisione è stato raggiunto. E la tecnologia da sola non può di per sé far niente in proposito. Il concetto di comunità di apprendimento e di rete educativa è per il momento una semplice chimera. Non credo che basti dare a una comunità di apprendimento uno strumento che tecnologicamente risponde a principi collaborativi e del costruttivismo sociale per avere di per sé un apprendimento sociale. Deve essere la comunità stessa che diventa promotrice di forme diverse di apprendimento e che solo successivamente, in un secondo momento, si dota e fruisce degli strumenti adeguati. Ciò presuppone, insomma, una visione dell'apprendimento nuova, alla quale non siamo ancora arrivati. Si tratta in sostanza di cambiare lo stesso sistema educativo, fare un cambiamento radicale di prospettiva.
Una seconda osservazione è a proposito dello stesso modello di comunità virtuale di apprendimento: non va bene per tutte le discipline. Mi spiego: in campo matematico non verrebbero utilizzati gli stessi ambienti e strategie che verrebbero utilizzate in campo filosofico o psicologico, dove probabilmente ci sarebbe bisogno di maggiore interattività, scambio, discussione, eccetera. Questa considerazione, però, comporterebbe un grosso investimento da parte dell'Università. E al momento la Open University non ha nessuna politica di e-learning, in tal senso. Per il momento, come dicevo, utilizziamo materiali vari e misti.
Inoltre, abbiamo anche un altro problema: quello dell'accessibilità. Non possiamo progettare ambienti di apprendimento così sofisticati da richiedere tecnologie avanzatissime, perché questo equivarrebbe a tagliare fuori molti studenti, molti tutor che comprano un computer e non lo cambiano per i successivi quattro o cinque anni. Anche se può sembrare paradossale, dobbiamo stare sempre un passo indietro rispetto alla frontiera tecnologica, perché la politica della Open University è quella di essere soprattutto 'Open' anche nell'accesso!
Quindi offrire supporti vari come video, cd-rom, risorse web, eccetera è a suo avviso la scelta migliore? Sì dobbiamo avere un vasta gamma di strumenti anche per problemi economici. Per esempio, nel caso delle risorse prevalentemente testuali, la politica dell'Università è quella di mettere testi online caricando i costi sugli studenti che si stampano tutto. Supporti diversi, come cd-rom o video, potrebbero aumentare l'interattività e, in linea di massima, contenere i costi di stampa sostenuti dagli studenti.
Prefigura degli effetti negativi nella scelta di proporre corsi solo in e-learning? Penso che non ci sarà mai un vero e-learning perché l'elemento sociale è fondamentale. Una comunicazione personale senza persone è un non senso. Per alcuni l'elemento sociale è fondamentale per apprendere. E noi alla Open abbiamo perseguito un certo successo proprio perché non abbiamo mai dimenticato l'importanza di lavorare in gruppo e in presenza. La cultura elettronica non può esistere di per sé, così come il lavoro collaborativo non può esistere se non è già una realtà e una pratica di lavoro nella scuola. Per esempio, cosa significa studiare? Per alcuni significa andare a una lezione tradizionale e ascoltare un professore che parla. Ci sono alunni alla Open che non frequentano le lezioni in presenza perché pensano che sia inutile stare ad ascoltare un altro studente. Come si può offrire a costoro un ambiente tecnologicamente 'collaborativo' se non c'è cognizione dell'importanza e del valore di tale procedimento? Noi cerchiamo di partire da dati reali e da pratiche consuete. Per esempio, ci avvaliamo dei programmi TV per insegnare, facendo leva su una modalità che esiste nei consumi della gente, perché le persone guardano programmi televisivi in ogni ora del giorno. La distorsione sta nel fatto che a volte pensiamo che se la tecnologia è buona allora può creare di per sé un nuovo modo di imparare. Non è così.
E il tutor? E' una figura che affianca l'insegnante o ha un suo ruolo autonomo? Ho letto recentemente una ricerca su come cambierebbe il ruolo e l'apporto di un tutor online paragonato alla figura del facilitatore, ossia del tutor in presenza. Con un tutor online la comunicazione è diversa, perché si trasforma da sincrona ad asincrona e il tutor potrebbe aver più tempo per pensare e riflettere su come supportare l'alunno. Penso però che, a parte alcune differenze, il tutor online non debba perdere il contatto con il contesto generale, cosa che gli riusciva molto più facilmente prima quando c'era la presenza fisica. Il tutor online a volte deve essere fisicamente presente: non ha senso avere una scuola completamente virtuale, a meno che non si possa fare diversamente. Occorre sempre guardare alla funzionalità complessiva di ciò che facciamo. In Australia, per esempio, l'e-learning è molto più funzionale perché esistono distanze fisiche reali che costituiscono di per sé un ostacolo fisico insormontabile o molto scomodo da superare. In conclusione non penso che in Europa siamo nell'era dell'e-learning, dell'insegnamento solo online, e che sia il caso di buttare via tutto quanto il resto. E non penso neanche che ci arriveremo mai. Preferisco parlare, piuttosto, di formazione a distanza e dei problemi che ci pone. Concentriamoci su questi, sono più che sufficienti.
Intervista a cura di Silvia Panzavolta, Indire (s.panzavolta@indire.it)
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