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STRATEGIE COMUNICATIVE

Una soglia sociologica: la comunicazione come conoscenza

Luca Toschi, direttore editoriale di Indire, docente presso l'Università degli Studi di Firenze, ricorda Balducci e le sue idee sulla comunicazione

di Elisabetta Mughini
04 Ottobre 2004

Ernesto Balducci nacque il 6 agosto 1922 a Santa Fiora, un paese medievale di memorie storiche sul Monte Amiata. La sua era una famiglia di minatori; vi rimase fino a quando, dodicenne, per  l’interessamento di un suo compaesano, riuscì ad entrare  nel seminario degli Scolopi, a Firenze. Poté così continuare gli studi. Fattosi prete lo resterà fino alla morte (1992), nonostante i tanti attacchi che gli vennero dalla chiesa.
Domenico Bulgarini, l’amico che l’aiutò a trasferirsi nel capoluogo toscano, era il noto editore e scrittore: fu quasi un segno premonitore dell’importanza che avrebbe avuto nella vita di questo ragazzo quella che, molti anni dopo, si sarebbe definita “comunicazione”.

Il telefono strumento per costruire comunità
Quella mattina che padre Ernesto Balducci mi chiamò su, nello studio che aveva alla Badia Fiesolana, accanto all’Università Europea, il suo telefono squillava in continuazione: lui rispondeva sempre. Mi aveva invitato, la sera prima, ad una riunione della rivista “Testimonianze”, poi, appunto, la mattina successiva, prestissimo, ecco la telefonata per l’incontro. Lo raggiunsi subito, e fra quegli infiniti squilli mi fece l’inaspettata proposta di collaborare al suo progetto di cultura della pace, in particolare alla casa editrice. Accettai; come si risponde ad una telefonata.
Da allora, finché morì improvvisamente, feci del mio meglio per imparare da lui un nuovo modo di concepire la comunicazione. E Balducci continuò ad esserci sempre per il telefono: nessuna riunione gli impediva di rispondere. Lo ammetteva: non poteva fare altrimenti. Una scelta che alcuni tendevano a interpretare come la risposta ad uno squillo morale: un dover essere sempre e comunque a disposizione. Ma non credo fosse così.
Balducci, semplicemente, considerava la comunicazione fondamentale: e il telefono ne rappresentava uno strumento potente. In particolare l’oralità, che ancora troviamo nei suoi scritti, che ben ricorda chi ha avuto modo d’ascoltarlo in pubblico, che ha fatto di un suo programma radiofonico sui minatori dell’Amiata un classico: era il motore del suo pensiero e della sua azione; due elementi per Balducci inscindibili. La sua oralità coinvolgeva chiamando alla partecipazione, dava libertà di pensiero mentre costruiva comunità. Non escludeva il singolo o i gruppi, prefigurava la rete. Del resto il computer lo volle subito. Ne lamentava soltanto l’inutile macchinosità.
Un modo di concepire la comunicazione in cui non era difficile risentire gli echi dell’esperienza da lui fatta da bambino quando, al ricordato, poverissimo paese di Santa Fiora, sulle pendici del vulcano (il suo villaggio/isola, la metafora da lui amata), giungeva la corriera proveniente dalla piana. Era l’avvenimento che fermava la vita normale del giorno, a cui tutti volevano partecipare: tutti le andavano intorno per sapere e subito commentare, chiosare: uno strumento di comunicazione che faceva, di per sé, comunità. Per questo Balducci si fece scrittore, incredibilmente prolifico, ma anche editore, dedicando gli ultimi anni della sua vita alla creazione e allo sviluppo di quella casa editrice che volle chiamare Edizioni Cultura della Pace (ECP).

La comunicazione come connettivo laico delle diversità
La comunicazione è parola etimologicamente densa di riferimenti; fra questi, quello, area religiosa, di pasto sacro della sera, evento che fa comunità, che sancisce l’essere comunità fra gli uomini e fra gli uomini e dio (da qui il contrario: “scomunicare”). Comunicazione come nervo laico, vitale dell’uomo planetario, di cui Balducci fu tra i primi a parlare cercando di conciliare universale e particolare in cerca di un’intelligenza collettiva, direbbe Lévy, o connettiva potremmo dire oggi: la sola capace di salvare l’uomo dagli strumenti di autodistruzione di cui si è fatto autore.
Comunicazione quindi non come avvilimento, annullamento delle diversità (i diritti offesi del mondo dei ‘poveri’ – e poveri lo si può essere in molti sensi - non lo si azzera con un ecumenismo comunicazionale o comunicativo) bensì come reciprocità, scambio, osmosi bidirezionale in nome di un destino comune, da costruire insieme. Origine etimologica poi tradita da un uso moderno che ha teso a sottolinearne l’unidirezionalità, quasi l’imposizione, magari a livello occulto, che si esercita sulla mente, sulle coscienze, sulla volontà degli uomini attraverso i mass media. Il ricorso, davanti all’affermarsi delle nuove tecnologie della comunicazione, ad un espressione come “new media” ha significato il tentativo di reagire a tale prospettiva, rilanciando la possibilità di un ruolo attivo, creativo, propositivo del soggetto (sia privato che pubblico).
Del resto per “ironia della Provvidenza”, come Balducci amava dire, quando era stato inviato in ‘esilio’ per le sue prese di posizione teologico-religiose e politiche lontano da Firenze ed era finito nella Roma di papa Giovanni XXIII, avendo il privilegio di poter assistere da vicino a quell’evento eccezionale (anche da un punto di vista mediatico) che fu il Concilio Vaticano II.  

La comunicazione per varcare la soglia del passato e costruire l'inedito
La comunicazione così non come strumento per comunicare il pensiero, la conoscenza, ma come strumento, modalità,  per conoscere, come ricerca e costruzione di significati.
“Soglia”: è la metafora che, proprio perché oggi assai diffusa, fino all’abuso, continua ad emergere in tutta la sua problematicità dai ricordi e dagli scritti di Balducci.
Andare oltre la “soglia”, abbandonare cioè la cultura del passato per un’altra totalmente ‘inedita’. La scuola della pace nella cui realizzazione era impegnato al momento di morire, aveva uno dei punti qualificanti nella formazione alla comunicazione; ma di tipo inedito, come inedito avrebbe dovuto farsi l’uomo, se voleva salvarsi dai propri istinti autodistruttivi. Una comunicazione intesa non come un mezzo di per sé imparziale, neutrale; qualificabile solo in base ai contenuti che veicola o all’uso che se ne fa. Una comunicazione, al contrario, ‘ontologicamente’ nuova, che può esistere soltanto oltre la “soglia” che continua a dividere la preistoria dell’uomo dalla sua storia, ancora tutta da scrivere. Questa impostazione mi parve allora rivoluzionaria; e sempre più rivoluzionaria mi è parsa col passare del tempo, con l’affermarsi, in particolare, di tecnologie della comunicazione allora solo sperimentali se non impensabili.


La comunicazione come conoscenza
Cfr. Ernesto Balducci, “Testimonianze”, luglio-settembre 1992 e L. Toschi., Una soglia sociologica: la comunicazione multimediale, in La comunicazione come antidoto ai conflitti: dalle relazioni interpersonali alle dinamiche sociali, a cura di E. Cheli, Punto di fuga editore, Cagliari 2003, pp. 393-403.
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Balducci nacque il 6 agosto 1922 a Santa Fiora
«Ai margini tra la miseria e la povertà»: viene ordinato sacerdote il 26 agosto 1945. Nella Firenze, appena liberata dall’esercito nazi-fascista, inizia l'insegnamento alle Scuole Pie Fiorentine e frequenta la Facoltà di Lettere e Filosofia.
Vi si laurea nel 1950 con Attilio Momigliano.  Conosce Giovanni Papini, Piero Bargellini, Nicola Lisi e Benvenuto Matteucci, ma soprattutto inizia l’amicizia con Giorgio La Pira, il futuro sindaco di Firenze, che si rivelerà fondamentale. Diventa amico di Mario Gozzini e Gian Paolo Meucci.
Nel 1957 Balducci è a Milano, invitato dal vescovo, Giovan Battista Montini, futuro papa, insieme a padre David Maria Turoldo e a don Primo Mazzolari.  Tramite interventi alla radio fa conoscere in Italia il pensiero di Teilhard de Chardin e quello di Emmanuel Mounier, il fondatore della rivista «Esprit». Nel 1958 fonda la rivista «Testimonianze» con amici che fanno parte del Cenacolo (fra i quali, Mario Camagni Vittorio Citterich, Lodovico Grassi, Federico Setti, Danilo Zolo).
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Fattosi prete lo resterà fino alla morte (1992)
Il 27 aprile del 1992 si svolge nel duomo di Firenze, la liturgia funebre per Ernesto Balducci, morto in un incidente d’auto, a Faenza, due giorni prima. Celebra, davanti ad una folla immensa di persone, l’Arcivescovo Piovanelli.
Il 25 febbraio 1995 alcuni dei suoi amici e collaboratori ha dato vita ad una “Fondazione intitolata al suo nome con lo scopo di custodirne il suo patrimonio librario e archivistico, di raccoglierne e pubblicarne gli scritti, di coordinare l'attività delle realtà che si richiamano al suo impegno e di tentare di mettere con umiltà a frutto il seme lasciato da una personalità così ricca e poliedrica” (http://www.fondazionebalducci.it/).
Fra i suoi numerosi e fortunati scritti: Cristianesimo e cristianità, Morcelliana, Brescia 1963; La Chiesa come eucarestia, Queriniana, Brescia 1969; Diario dell'esodo, Vallecchi, Firenze 1971; L'uomo planetario, Camunia, Milano 1985; Le tribù della terra, ECP, San Domenico di Fiesole 1991; La terra del tramonto, ECP, S. Domenico di Fiesole 1992 Montezuma scopre l'Europa, ECP, S. Domenico di Fiesole 1992. Nella collana “Enciclopedia della pace”, sempre delle ECP, pubblica i profili di Giorgio La Pira (1986), Gandhi (1988) e di Francesco D'Assisi (1989).
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Edizioni Cultura della Pace (ECP)
La sua perdita di fiducia circa le possibilità di riforma della Chiesa, a suo parere incapace di uscire da una visione ecclesiocentrica, lo spinge ad approfondire la propria ricerca  sulla «secolarizzazione», «svolta antropologica», «planetaria», studi che distinguono i suoi lavori degli  anni Ottanta.
Nel 1986 fonda la casa editrice Edizioni Cultura della Pace (ECP) che rappresenta il suo impegno più significativo degli ultimi anni (fondamentali le collane: l'«Uomo Planetario», «Enciclopedia della Pace», «Caravelle» ideate per il cinquecentenario della scoperta dell'America). Chiama a collaborare alla direzione della casa editrice Luca Toschi.
Diventa fondamentale, accanto al persistere della lettura del Vangelo come annuncio di pace e di una società non violenta, la riproposta di tutta la cultura planetaria in una prospettiva di cultura della pace (dalla teologia alla filosofia, dall’economia alla politica, dalla scienza alla letteratura e all’arte ecc.). Centrali i suoi rapporti con i detenuti politici e la sua partecipazione alle lotte di liberazione dei popoli del terzo mondo.
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Concilio Vaticano II
Tra il 1958 e il 1959 si registra, per intervento della Santa Sede, l'allontanamento di religiosi che ruotavano attorno a La Pira: Balducci, David Maria Turoldo e Giovanni Vannucci. Balducci è prima a Frascati poi a Roma (1959 al '65). Il Concilio Vaticano II gli permette di costruire un fitto intreccio di rapporti con teologi e vescovi di tutto il mondo. Sono anni per Balducci di dure polemiche per le sue idee: la sua difesa dell’obiezione di coscienza gli procura un processo (1963-64) e la denuncia al Sant'Uffizio. Ma la stima che ha per lui il papa Paolo VI farà sì che, nel febbraio 1965, possa tornare a Firenze. Due anni dopo muore don Lorenzo Dilani.
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L'articolo di Luca Toschi (http://www.csl.unifi.it/it/node/121) è stato curato da Elisabetta Mughini, Ufficio Comunicazione, Indire

 
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