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STANDARD DI APPRENDIMENTO

Standard come 'regolatori' dei processi di formazione

Intervista al professor Franco Cambi dell'Università di Firenze

di Michela Salcioli
18 Febbraio 2004

Dare una definizione univoca del termine "competenza" non è semplice: è in corso un dibattito che vede coinvolti gli esperti dell’educazione e delle politiche della formazione e del lavoro. Il concetto di competenza sta infatti diventando il fondamento sul quale sviluppare la formazione dei soggetti dal punto di vista delle conoscenze disciplinari (Matematica, Italiano, Inglese, Storia, Informatica, etc.) come delle pratiche professionali.

In sintesi possiamo dire che le competenze rappresentano l’insieme dei saperi e delle abilità che una persona possiede o che deve acquisire, attraverso un percorso formativo o di aggiornamento professionale, in relazione a degli standard minimi. Questi ultimi per quanto concerne l'ambito lavorativo sono definiti attraverso criteri nazionali, i quali stabiliscono la struttura generale dei saperi e delle abilità richieste e da parametri regionali, che hanno invece il compito di completare il profilo rispetto alle specificità socio-economiche del territorio locale. Per quanto concerne il contesto scolastico gli standard minimi sono definiti attraverso curricoli scolastici, i quali a loro volta sono struttati secondo la logica "nazionale-locale".

Per fornire alcuni chiarimenti in proposito abbiamo intervistato Franco Cambi, uno dei più conosciuti pedagogisti contemporanei, professore ordinario di Pedagogia Generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Firenze.

classeNell'ambito della formazione che cosa sono gli standard e per cosa si caratterizzano?

Lo standard è uno strumento di controllo e di verifica necessario per equiparare i processi di formazione. Pertanto gli standard sono da definire con precisione, fissandone bene anche le funzioni. La definizione spetta a un'istituzione e/o a un istituto di ricerca, proprio perché essi servono da "regolatori". I vari standard vanno fissati nelle diverse discipline e nei vari ordini e gradi di scuola attraverso un lavoro che tenga conto dell’età evolutiva (o, meglio, degli stadi di sviluppo mentale), delle strutture delle discipline (ovvero dei concetti formali e delle conoscenze di base, poi via via rese più complesse, integrate tra loro etc. in modo da rendere posseduto un sapere nella sua specificità e articolazione), dell’organizzazione della didattica che deve svilupparsi in modo "costruttivo", così da fare possedere in modo flessibile, applicativo, etc. le nozioni apprese e da trasformarle in competenze appunto: ovvero in conoscenze trasferibili e in capacità di dominarle in contesti diversi.

Per definire gli standard è necessario che operino i vari enti di ricerca educativa nazionale: l’ INVALSI e l’INDIRE e in particolare il primo, a cui è delegato specificatamente questo compito. Un impegno conplesso, da svolgere non in modo generico e astratto, ma tenendo conto della scuola di fatto" e di quella "di diritto", in modo da fissare standard significativi per l’operare scolastico concreto al fine di favorirne lo sviluppo.

 

Come saranno recepiti gli standard dal mondo della formazione?

Bene, se gestiti come punti di arrivo e non modelli e obiettivi esaustivi. Punti di arrivo significa itinerari, significa traguardi, significa obiettivi in costante evoluzione. Tali standard indicano percorsi e traguardi insieme: sono punti ad quem, ma sono (e devono essere) anche processi per … ; hanno il doppio statuto di tappe e di compiti, ma proprio per questo innervano bene l’insegnamento. È necessario per questo, che siano indicati come obiettivi: come regolatori del processo e non solo come modelli di verifica o contenuti-base delle discipline. Per definirsi in modo così flessibile, critico, aperto gli standard devono essere collocati, e continuamente, nell’iter didattico e formativo e mai separati da questo. Per evitare l’astrazione e la rigidità degli standard, che li fanno diventare solo dei regolatori formali o degli indicatori dogmatici.

 

Qual è il valore pedagogico degli standard, nella scuola italiana e in quella europea?

In Italia rischiano di essere assunti come obiettivi unici. Il che è un travisamento della funzione degli standard che deve essere "regolatore", come già detto. Lo standard come regolatore si "accorpa" a tutto il lavoro scolastico: deve essere in esso ricalibrato e "fecondato"; altrimenti è solo un indicatore astratto che rischia, piuttosto di vincolarlo e di omogeneizzarlo, togliendogli la funzione specifica che deve avere: indicare un punto di arrivo minimo e imprescindibile, non essere l’insieme delle "cose" da insegnare. Pertanto ogni standard va ripensato nel curricolo. Se no si fa, surrettiziamente, un "programma". E la scuola dei programmi ce la siamo lasciata alle spalle, con la legge dell’autonomia.

In quale rapporto gli standard si pongono rispetto al curricolo scolastico?

In posizione dialettica: in quanto devono essere dei traguardi ma non unici, infatti, i percorsi formativi in futuro saranno sempre più aperti e al tempo stesso mirati. Quindi articolati e complessi. Gli standard devono essere compresi nel curricolo, devono porsi come "punti di crescita omogenei", ma non possono né debbono riassorbire tutto il lavoro scolastico. Allora tra standard e curricolo c’è tensione e integrazione insieme. E tali dispositivi devono essere attivi sulla mente/coscienza e nella professionalità degli insegnanti, rendendoli consapevoli della complessità del loro ruolo didattico. Su questi aspetti articolati dei saperi scolastici e sul loro realizzarsi tra conoscenze, competenze e riflessività rinvio al mio testo uscito nel 2004 presso Laterza: Saperi e competenze.


Quali sono le differenze di base tra standard e competenze?

Le competenze stanno negli standard, ma anche li superano poiché reclamano ri-contestualizzazioni nuove delle tecniche acquisite.
Il rapporto è, anche qui dialettico. Gli standard sono "saperi minimi" che, sì, richiedono conoscenze, competenze e riflessività, ma si delineano secondo tracciati uniformi che sono meglio definibili per le conoscenze. Le competenze, infatti, reclamano trasferibilità e metaconoscenza, linearizzabili sì, ma attive soprattutto nei contesti, nell’affrontare il nuovo, nel lavorare interpretando. Pertanto esse sono meno standardizzabili, se non in senso assai generale e generico, indicando stili di pensiero, atteggiamenti mentali, etc., di non facile verificabilità (anche se possibile, almeno in parte).

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi relativi all'introduzione nel mondo della scuola e della formazione degli standard e delle competenze?

I vantaggi sono chiari: creano uniformità e verificabilità. Gli svantaggi ci sono se gli standard equivalgono a tutto il lavoro scolastico reintroducendo così la logica dei programmi rispetto a quella del curricolo. La scuola attuale ha bisogno di fissare il proprio lavoro su molti fronti: di stare dalla parte del curricolo e degli standard, di articolare il proprio operare didattico secondo conoscenze, competenze e riflessività, di lavorare tenendo ferma la verifica (la sua funzione fondamentale) ma anche la progettazione (ancor più essenziale). Così, però, la professionalità docente cambia radicalmente. Ed è questo che va ripensato, rispetto al rischio di un ritorno (sia pure in modo non esplicito) alla "scuola dei programmi". Quella scuola è inattuale, archiviata dallo statuto dei saperi contemporanei, dallo sviluppo della didattica, dalla stessa elaborazione pedagogica, ed è irresuscitabile anche se la "scuola del curricolo" è ancora da costruire da organizzare in sé e da "collocare" nella coscienza degli insegnanti.


 

Editing di Michela Salcioli, redazione webzine [m.salcioli@indire.it]
  

 

 

 

 
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