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STANDARD DI APPRENDIMENTO

Standard: un contenuto in azione, teso al suo sviluppo

Sul concetto di standard un intervento di Lucio Guasti, Professore Ordinario di Didattica Generale presso l'Università Cattolica di Milano

di Lucio Guasti
21 Gennaio 2004

Lucio Guasti, uno dei massimi studiosi della teoria degli standards. Ha condotto, per anni, per conto del  MIUR, una ricerca sulla "Riorganizzazione e potenziamento dell'educazione degli adulti". A lui il difficile compito di rispondere alle domande più diffuse in materia di standard e competenze.

Cosa sono gli standard e per cosa si caratterizzano?

Credo, preliminarmente, di poter dire che è difficile definire lo standard perché, come per altre parole che hanno aumentato la loro diffusione e utilizzazione in diversi settori culturali, il suo contenuto è diventato polisemico.

Foto tratta dall'archivio immagini DIA di Indire - concessa da OlycomCiò nonostante, delimitando il campo, si può sostenere che lo standard nei processi formativi è descrivibile come l’insieme coordinato e integrato di due elementi, il concetto e l’operatorietà. La combinazione di questi due elementi è esprimibile in una descrizione linguistica tesa a stabilire confini precisi entro i quali è riconoscibile uno spazio definito al quale si rapporta una serie di possibili azioni.

La natura dello standard è bifocale e viene a costituire un campo dotato di una riconoscibile autonomia. Il concetto o, più ampiamente, il campo concettualeconsiderato, viene descritto in relazione ad una operazione ad esso connessa e strutturata.

Lo standard è teso a sottolineare il rapporto tra concettualizzazione e operazione; non intende relegare nell’isolamento il concetto così come non intende rendere formale l’operazione. Il risultato è ciò che viene definito “contenuto” (content), inteso appunto come l’unificazione del concetto con la relativa operazione. Il fine di questa trasformazione è riconducibile all’accentuazione dell’orientamento operatorio rispetto a quello strettamente concettuale o concettualistico. Alla fine di questo percorso, o alla sua origine, c’è un’opzione legata alla teoria dell’azione e alla convinzione che l’idea di produzione possa avere un valore trainante e motivante per la formazione. Il concetto sembra comunquestare al centro del sistema con la sua essenziale forza espressiva.

Ma a cosa si riferiscono?

E’ importante evidenziare il settore di riferimento del termine standard. Nella sua fase iniziale, infatti, era collocato nella sola area dell’assessment e, quindi, facilmente identificabile col campo della valutazione. Ma il tempo e la ricerca hanno modificato gli elementi del sistema e, di conseguenza, si è assistito ad un progressivo ampliamento del suo uso e del suo significato. Quando si utilizza lo “standard” nel campo della formazione, esso viene inserito in un quadro di riferimento più ampio che gli consente di espandere la sua natura iniziale, non di perderla, certamente di modificarla.

L’ambito della formazione è tale proprio per la sua natura dinamica e trasformativa; l’impatto con tale specifico contesto consente allo standard di mantenere la sua radice descrittiva riferita ad un livello di “risultato” ma di posizionarla in un contesto espansivo e non soltanto constatativo. Pertanto, si potrebbe anche dire che lo standard è la descrizione di un livello di un processo evolutivo di formazione caratterizzato da elementi in grado di rappresentare un contenuto in azione teso al suo sviluppo e circoscritto dalle operazioni che vengono descritte. Lo sviluppo di questi elementi interni tende a modificare la situazione e a consentire di incrementarla per raggiungere il livello superiore o un livello integrativo e correlato.

E’ vero che relativamente al tema degli standards c’è sempre stata, in diversi ambienti culturali e professionali, una contestazione fondata sull’accusa di evidenziare soltanto aspetti quantitativi e descrittivi. La cultura sostanzialista privilegiava la dimensione strettamente concettuale ma era comunque costretta ad ammettere che nella stessa comprensione concettuale esistevano livelli. Un argomento o un oggetto può avere, infatti, in se stesso livelli di profondità e di comprensione diversi e, in certo modo, progressivi.

Lo standard tende ad esplicitare tale assunto e cerca di descrivere i diversi possibili livelli di manifestazione dell’oggetto al fine, appunto, di “oggettivare” meglio ciò che prima rimaneva, in buona parte, nella soggettività o nell’implicito. Per fare questo, era necessario introdurre elementi nuovi, cioè quei descrittori di azione che sono i verbi e che nella psicologia della mente possono essere chiamati, con un termine molto diffuso nella letteratura sull’apprendimento e sulle competenze, le capacità.La novità è pertanto relativa, ma paradossalmente sostanziale perché questo fatto produce uno slittamento semantico dell’oggetto che acquistaun significato diverso rispetto alla situazione precedente, la quale non viene abbandonata ma integrata e trasformata.

Si può, quindi, comprendere meglio il cambiamento prodotto rispetto al curricolo.

Ma come si pone lo standard rispetto al curricolo ed in particolare alla valutazione?

Lo standard non rimane isolato ma diventa gli “standards” e questi costituiscono un nuovo quadro di riferimento che si distingue dalla collocazione dello standard nell’ambito della valutazione. Così gli standards costituiscono una parte a se stante nel sistema formativo e si presentano come un nuovo settore dotato di una propria specificità e di una propria natura alla quale occorre, evidentemente, dedicare tempo, riflessione e investimento per implementarne lo sviluppo mediante la ricerca.

In questo nuovo contesto va considerato che il rapporto che si stabilisce tra operatorietà mentale e concetto - o campo concettuale - determina situazioni diversificate. Il contenuto che viene espresso dalla due componenti strutturali costituisce un campo specifico e relativamente autonomo. Infatti, ritengo che non si possa dissociare, se non logicamente, operazione mentale da concettoad essa relazionato. Non esiste nella formazione una “forma pura”. Lo standard, pertanto, è primariamente standard di contenuto. Solo in rapporto ad esso si elaborano standard di performance.

Nella letteratura che ha prodotto gli standards in modo diffuso e socialmente accettato, gli standards si dividono in standards di contenuto e standards di performance. I primi sono il punto di riferimento “fisso”, i secondi rappresentato la dimensione mobile e situazionale. In sostanza, gli standards di contenuto non sono la didattica, questa semmai prende forma negli standards di performance. Su questo punto occorre fermarsi un po’ più a lungo, cosa che qui non è possibile.

Mi pare di poter ancora sottolineare che proprio per la natura “operatoria” degli standards non si possano dare nemmeno “standards di processo”, così come qualche volta si legge nella letteratura di settore. Il processo è parte del discorso logico, ma quando viene collocato nell’ambito dell’apprendimento il processo non è mai pura forma ma modello, metodo, concetti, operazioni. Se si è superato il concettualismo nell’apprendimento così va superato ilprocessualismo, se il primo è “astrazione pura”, il secondo è “dinamismo puro”. Il significato pedagogico primario dello standard risiede proprio in questo tentativo di superamento in vista di un’unificazione di fondo dei processi di apprendimento.

La proposta di superamento avviene anche rispetto alle distinzioni tra conoscenze e abilità, che possono essere utili sul piano della metodologia di approccio al problema ma che tendono a sottolinea e ad evidenziare una dissociazione che nella realtà dell’apprendimento non avviene. Gli standards sono “alternativi” rispetto al modello concettualistico o a quello processualistico ma non al concetto e alla concettalizzazione o al processo e alla processualizzaione. Sono contrari alla separazione, così come alla deduzione o alla loro “declinazione”, anzi il tentativo è proprio quello di approfondire le relazioni interne per comprenderne più a fondo le implicazioni e concettuali e operatorie ma in modo unificato, cioè nel modo del concetto-operatorioo dell’operatorietà-concettuale. Anche rispetto alle competenze non c’è alternatività, lo standard di contenuto sottolinea semmai la richiesta di una propria visibile e generativa “competenza primaria”.

Mi pare che si debba invece introdurre una diversa contestualizzazione del modello degli standard rispetto a quelli correntemente sviluppati. La distinzione deve avvenire assumendo una visione sistemica e non comportamentista come nel modello delle competenze – anche nelle sue accezioni più costruttiviste. Quest’ultima prospettiva mi sembra insufficiente. Le parti indicate, standard e didattica, devono avere le loro specifiche autonomie operative e stabilire un’inevitabile apertura di relazione tra due o più parti del sistema. Così anche per il sistema di valutazione o, in questo caso, il sottosistema di valutazione.

Il passaggio che si profila è per me triplice: da una parte il tentativo di unificazione dei processi di apprendimento alla base dell’apprendimento stesso, dall’altra la sua collocazione all’interno di un sistema costituito da parti in relazione tra loro e, infine, la sua articolazione in una strutturazione progressiva di livelli. Ritengo pertanto che sia finito il tempo della dissociazione tra lavoro e studio, tra concetto e operazione, tra conoscenze e competenze, tra istituzioni scolastiche e enti di formazione ecc. purché l’unificazione non avvenga nella struttura socio-organizzativa, che produrrebbe unicità, ma nelle modalità di apprendimento, cioè alla radice stessa del sistema “formativo”.

Foto tratta dall'archivio immagini DIA di Indire - concessa da Olycom

Quale il valore degli standard nella scuola italiana e inquella europea?

In Italia e in Europa, il dibattito sugli standards è appena iniziato, mentre la riflessione sull’apprendimento ha radici profonde nella ricerca, in particolare, del secolo appena trascorso. Negli Usa la diffusione degli standards è ormai molto ampia, investe ormai tutte le attività tradizionalmente culturali ed educative,ma mi pare di dover sottolineare che l’accentuazione comportamentista è ancora molto forte, anche se più articolata di quanto appare. Infatti, c’è un orientamento di studi, in quel paese, che tende ad avvicinare lo standard all’idea di criterio; è un utile allargamento di orizzonte e di qualificazione dell’oggetto.

Ed allora perché vengono introdotti gli standard?

Mi sembra di poter dire che le ragioni rispondano alla richiesta della pedagogia e, più in generale, della cultura contemporanea, di spostare l’asse pedagogico sull’apprendimento. Questo orientamento, così insistito nella letteratura di politica dell’educazione: Unesco, Ocde ecc., ha cominciato a trovare possibili percorsi di ricerca e di progettazione sociale. Inoltre, l’espansione della formazione come elemento non nazionale ma riguardante tutti gli uomini in tutte le possibili situazioni, ha condotto verso una proposta che indicasse un’identità comune nel rispetto delle diverse specificità culturali, che però non coincidono più con le specificità nazionali. Infine, l’internazionalizzazione del lavoro come bene comune sta facendo il resto. Diventa sempre più necessario per tutti avere parametri di riferimento leggibili e comparabili dentro ai quali anche le più diverse realtà territoriali possano riconoscersi e riconoscere i vari livelli di sviluppo sia individuale che collettivo. Gli standards non sono i programmi nazionali. Mi pare che questo sia un buon messaggio per il futuro.

Che cosa cambia con l’introduzione degli standard?

Non poco: gli standards sono primariamente un prodotto sociale, muovono dalla base verso il vertice, pertanto valorizzano tutte le comunità culturali nella produzione dei loro livelli e dei loro programmi; tendono a responsabilizzare il maggior numero possibile di persone, cioè tutti coloro che sono direttamente coinvolti o che hanno rapporti o responsabilità di area; richiedono la divisione delle parti e la loro specializzazione: standards, curricolo, valutazione; impongono l’assunzione di un costante rapporto organico del sistema perché basati sull’interdipendenza; mantengono aperto il dialogo con l’evoluzione sia culturale che produttiva; offrono un criterio visibile di riconoscibilità della posizione personale e di gruppo, sono cioè un punto di riferimento comune; tendono ad incentivare il miglioramento del sistema perché strutturalmente progressivi; richiedono che tra sviluppo scientifico, sociale e produttivo si stabilisca un’interazione costante. Non è proprio poco.

Lucio Guasti

Prof . Ordinario di Didattica Generale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sede di Piacenza [lucio.guasti@unicatt.it]

Editing a cura della redazione webzine

Foto tratte dall'archivio immagini DIA di Indire - concessa da Olycom

 
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