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STANDARD DI APPRENDIMENTO

L’accordo tra Stato e Regioni per la definizione degli standard formativi

Intervista a Giovanni Biondi, Direttore di Indire, Istituto che ha contribuito alla definizione degli standard formativi minimi sulle competenze

di Michela Salcioli
15 Aprile 2004

Qual è l’importanza del Documento tecnico per la definizione degli standard formativi approvato dalla conferenza Stato-Regioni il 15 gennaio 2004?

 
Il documento del 15 gennaio 2004 è un punto di partenza per la definizione del rapporto tra stato e regioni sul tema della formazione professionale. Si tratta del primo accordo passato in Conferenza Unificata Stato-Regioni, che ipotizza un percorso di raccordo tra il livello nazionale e quello regionale sul sistema delle competenze. Oltre che nella formazione professionale anche nel sistema scolastico si sta passando ad un decentramento alle regioni di compiti e funzioni. L’accordo pertanto va letto per cercare di comprendere quanto rimane al centro e quanto passa alle regioni.


L’accordo prevede la contestualizzazione regionale delle competenze per la definizione degli standard minimi e dei criteri di certificazione. Qual è la sua posizione?

La contestualizzazione territoriale garantisce il riconoscimento delle competenze tra le regioni, a livello nazionale ed internazionale. Nell’ultima parte di questo accordo, infatti,  si fa costante riferimento agli impegni assunti in sede di Unione Europea dal nostro Paese, al fine di consentire la mobilità e il riconoscimento dei percorsi formativi.
I compiti dell’ambito nazionale riguardano la definizione e la classificazione delle competenze, la determinazione dei criteri generali di certificazione attraverso l’utilizzo di un libretto formativo personale. La questione della certificazione presenta, a mio parere, ancora aspetti di debolezza, poiché il libretto formativo personale utilizzato come strumento di certificazione è soltanto un portfolio.
Un altro elemento critico del documento è rappresentato dalla definizione delle aree di articolazione degli Standard definite da Indire e da ISFOL durante l’estate 2003. Le aree si basano su due modelli diversi: il primo definisce gli standard rispetto al contenuto, l’altro in relazione alle prestazioni dei soggetti. Si tratta di due impostazioni culturali diverse che però il documento assume senza operare alcuna scelta.
Alle regioni spettano i compiti di  contestualizzazione territoriale, di individuazione delle modalità e delle procedure di verifica oltre alla declinazione delle competenze. In realtà, la contestualizzazione  rispetto a certi aspetti è più apparente che reale poiché l’apprendimento delle competenze di base, ad esempio, sull’uso del computer è uguale in tutte le regioni. Il rischio del decentramento è che ciascuna regione crei, anche per problemi che sul piano dei contenuti sono uguali, un proprio sistema di riferimento. In questo momento, il governo lascia alle regioni la libertà di articolarsi in modo autonomo; importante è che sugli standard minimi stabiliti a livello nazionale ci sia la possibilità di dialogo interregionale e che tutti, indipendentemente dal percorso seguito,  arrivino allo stesso livello. Questo modello ha una sua storia negli Stati Uniti o nel mondo anglosassone, dove alla scuola è lasciata la possibilità di crearsi anche i programmi, ma  dove esiste un forte sistema di valutazione. In Italia deve, invece, ancora nascere un sistema nazionale di valutazione, soprattutto deve svilupparsi una cultura della valutazione, che garantisca la certificazione delle competenze in maniera oggettiva.


Quali sono i vantaggi dell’utilizzo degli standard minimi?

Gli standard garantiscono la flessibilità dei percorsi e permettono agli studenti di personalizzare il proprio curricolo formativo. Nel nostro modello di rappresentazione dei livelli di competenza, gli standard rappresentano un sistema dinamico e non un dispositivo per definire i traguardi che lo studente dovrà raggiungere. Questo sistema consente di far conoscere ai soggetti in formazione il livello rispetto ad un’area e di seguire percorsi personalizzati. Il problema degli standard è oggettivamente legato al problema della valutazione che, attualmente, è orientata più sui processi e che non sui “prodotti”, sui risultati. L’accreditamento dei soggetti erogatori dovrebbe poi garantire la qualità dei processi e dei risultati. Ritengo che si debba imboccare una strada nuova: non possiamo solo affidare i risultati alla qualità della progettazione. Dobbiamo cioè uscire da una prospettiva che pone un’attenzione elusiva al processo per preoccuparsi anche del prodotto.

 

editing di Michela Salcioli, Ufficio Comunicazione, Indire 

 
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