Approfondimento

Acculturazione, abitudini e codici di sicurezza. Un approfondimento del ricercatore Francesco Vettori (Indire)

di Francesco Vettori

 

Si direbbe che la nostra sia definibile una società del controllo, guardando alla frequenza delle azioni che quotidianamente eseguiamo per accedere a ciò che ci riguarda con l’uso di codici personali, si tratti dell’accesso a uno sportello bancomat, un luogo di lavoro, un account digitale.

Azioni che, tra l’altro, consentono di individuare sempre meglio la nostra posizione, con conseguenze nella percezione di quanto crediamo attualmente vicino o lontano, presente o meno.

Di più, grazie ai sistemi di telecomunicazione, queste stesse azioni sono esercitabili a distanza, permettendo così di agire da remoto, per cui abbiamo consuetudine, oggi molto più di ieri, con automatismi di natura effettuale, che eseguono essi stessi un’azione oppure mettono nelle condizioni di compierla, come è il caso di buona parte della strumentazione digitale.

Un esercizio interessante consisterebbe nell’enumerare quanti ne incontriamo durante la giornata, cominciando dalla sveglia che suona per farci alzare per finire all’interruttore che scatta quando spegniamo la luce e torniamo a letto.

Centinaia e centinaia, la cui esecuzione occorre verificare se, nel complesso, ci allontani o avvicini rispetto all’esperienza sintetizzata dal termine latino “Securitas”.

Come è noto, la parola è composta da un prefisso “Se” che indica separazione e da una radice “Cura”, il cui primo significato è “pensiero che occupa e tormenta”, trasformabile, nelle forme plurali, in “prendersi cura di”.

L’uomo “se-curus” è dunque colui che non ha pensieri che lo preoccupano, si noti che da “cura” deriva anche “curiositas”, l’ambito di riferimento del termine comprendente la sfera interiore.

Per questo, si traduce con “tranquillo”, “sereno”, attributo di una disposizione dell’animo personale, propria di chi non ha la necessità di compiere qualcosa ma piuttosto conseguente a quanto ha già compiuto.

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