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17 Gennaio 2008

Un legame da valorizzare

Il Sistema di Gestione Ambientale sviluppato nelle aule di un Liceo

di Maria Grazia Mura

La scuola come edificio e ambiente di lavoro inserito in un territorio implica aspetti di impatto ambientale non indifferenti, solitamente poco considerati da amministratori e decisori politici, ma rintracciabili un po’ in tutto il nostro patrimonio edilizio scolastico con conseguenze di grave spreco di energie non rinnovabili e risorse economiche.
Considerato in questa luce, l’edificio scuola, con la sua complessa organizzazione, può diventare un grande laboratorio per sensibilizzare gli studenti alle tematiche ambientali, con ricadute significative sul piano educativo e dell’offerta formativa e con conseguenze particolarmente positive per il potenziale contagio nei confronti delle famiglie dei ragazzi e del territorio di riferimento più in generale.
L’adozione di un Sistema di Gestione Ambientale (SGA) da parte di una scuola (raccomandato in tutte le sedi europee e a livello nazionale, soprattutto per le aziende considerate maggiormente inquinanti) comporta un coinvolgimento consapevole e continuativo di tutte le sue componenti nel rispetto delle normative di politica ambientale, nell’uso di tecniche appropriate di gestione dell’edificio, nello sviluppo di sistemi di autocontrollo e di ricadute a livello territoriale.
Al fine dichiarato di ridurre l’impatto ambientale, il consumo delle risorse e le emissioni nocive, in un’ottica di miglioramento continuo delle prestazioni ambientali.
il Liceo Scientifico Alvise Cornaro di Padova non solo ha adottato un SGA ma è la prima scuola italiana ad avere ottenuto la registrazione europea EMAS (Eco Management and Audit Scheme): questo significa che l’ organizzazione e i mezzi tecnici che la scuola si è data, nel rispetto delle leggi, per applicare il Sistema di Gestione Ambientale (SGA) sono stati ritenuti validi da un organismo di supervisione statale che in Italia è il Comitato Ecoaudit Ecolabel.

L’attivazione del SGA è cominciata con un’analisi approfondita dell’organizzazione-scuola e con una ricognizione di tutte le sue attività: quelle specifiche di educazione, quelle legate ai servizi generali ed amministrativi e quelle legate alla manutenzione dell’edificio, considerandone gli aspetti ambientali potenziali e gli impatti ambientali più significativi.
Si sono così definite le linee della politica ambientale che hanno fornito uno schema di riferimento per le attività e per la definizione di obiettivi e traguardi da raggiungere, fino alla costruzione di percorsi di cambiamento in grado di comunicare ai giovani l’importanza di intervenire e il valore dell’impegno di ognuno. La EMAS ha attestato in primo luogo la qualità della formazione ambientale della scuola, che è arrivata a coinvolgere la maggior parte degli studenti e interessa – in maniera diretta o trasversale – la quasi totalità delle materie disciplinari.
Altro oggetto di certificazione è la gestione dell’edificio, monitorata attraverso obiettivi di miglioramento che interessano molti aspetti: risparmio energetico ed idrico, gestione dei rifiuti, vivibilità degli ambienti, uso di prodotti ecologici e solidali.
La gestione di quelli ambientali legati all’edificio ha coinvolto in prima persona gli studenti, a livello operativo, insieme alle altre componenti della scuola, e questo, in una realtà dove spesso manca l’operatività, assume particolare rilevanza per la formazione dei comportamenti sostenibili.

Abbiamo parlato di questa esperienza con i diretti protagonisti: le professoresse Marina Bolletti e Annamaria Matteucci, i professori Francesco Marin D.S., Alberto Trevisanello e Fiorino Collizzolli e, naturalmente, gli studenti.

Che cosa è cambiato di più per voi ragazzi da quando c’è il SGA (Sistema di Gestione Ambientale)?

Una studentessa: Lo stile di vita. Al di là della vita che si svolge a scuola, trasportiamo tutto fuori, a casa. Siamo un gruppo di studenti che agisce direttamente e allo stesso tempo informa gli altri ragazzi, con un’opera di sensibilizzazione che coinvolge tutto l’istituto. Io personalmente durante questo percorso sono venuta a conoscenza di molte cose. Ho cambiato il mio stile di vita nei rapporti con l’ambiente in ogni momento, anche in casa. Ho imparato tanto e cerco di portarlo anche fuori, di coinvolgere la mia famiglia, gli amici. Cerco di far sì che tutto il percorso fatto serva anche a qualcos’altro.”
Prof.ssa Marina Bolletti: “Qui dentro ci sono circa 900 studenti, ma bisogna anche considerare la ricaduta che il SGA può avere sulle famiglie. Riuscire a spostare il comportamento di un ragazzo, anche di pochissimo, per esempio sull’uso della luce elettrica o dell’acqua, si ripercuote all’esterno e quindi sulla famiglia, arrivando anche a influenzarne le scelte, ad esempio gli acquisti. Certificare una scuola non è come certificare un azienda: c’è in più un importantissimo impatto educativo che ha conseguenze ben maggiori. Questo fattore ci è stato molto valutato dai certificatori e anche per noi è un elemento cruciale.”

In che modo vengono coinvolti i ragazzi?

Uno studente: “Noi studenti facciamo anche una nostra valutazione dei risultati tra le varie classi, sull’esito delle raccolte differenziate, il risparmio energetico e la pulizia dell’aula. Gli indicatori di comportamento sono posti in ogni classe e in giro per la scuola nei punti sensibili è ad esempio vicino agli interruttori della luce o ai rubinetti nei bagni – e ricordano cosa può fare ogni studente: dal tenere pulita l’aula al privilegiare i mezzi pubblici rispetto al mezzo privato per arrivare a scuola.”
Prof. Fiorino Collizzolli: “Un primo gruppo di studenti entra a far parte stabilmente del Comitato Ambiente ed è sottoposto a momenti formativi molto intensi; le competenze così acquisite potranno poi essere spendibili all’esterno, per la formazione di una qualifica professionale in qualità, per esempio, come osservatori dei processi di qualità di aziende o organizzazioni. Esiste poi una ricaduta più allargata che interessa circa 80 studenti, due per classe, direttamente coinvolti sia come sensibilizzatori rispetto agli altri compagni, sia come membri dei gruppi di raccolta e conferimento dei materiali da riciclare.
C’è anche un forte coinvolgimento degli studenti nelle attività di osservazione degli obiettivi di miglioramento sia quelli direttamente legati ai comportamenti, sia quelli che riguardano i consumi o le letture. E infine c’è il coinvolgimento più generale di tutta la scuola, come ad esempio è capitato con il concorso per i cartelli indicatori di comportamenti, che ha suscitato grande interesse tra gli studenti.”

In che modo partecipano gli insegnanti?

Prof. Alberto Trevisanello: “Gli insegnanti hanno partecipato in maniera quasi totale, sia nelle attività relative all’azione formativa, sia come membri del Comitato Ambiente. Il SGA porta a vedere la scuola nel suo insieme come insieme organizzativo e come ambiente. Non si vede più soltanto la propria classe, si vede di più. E ci si arrabbia ancora di più per quello che non va bene! Gli insegnanti impegnati in questo progetto hanno inoltre costruito una competenza esportabile all’esterno, in particolare su attività di certificazione in campo ambientale e della sicurezza.”

Come è possibile cambiare abitudini e comportamenti?

studenti scuola superioreProf.ssa Marina Bolletti: “Un aspetto che mi ha molto appassionato è che l’introduzione della procedura non significa avere già ottenuto una cosa, ma piuttosto tracciare un percorso: ogni anno vengono stabiliti degli obiettivi, anche piccoli, che alla fine sono misurati e monitorati. 
Ecco, il SGA è soprattutto questo: l’abitudine a pensarsi in un percorso. Nei giovani è forte l’urgenza di risolvere subito i problemi, spesso perché accompagnata da un senso di frustrazione legato al fatto che, se i risultati non appaiono subito, è come se non si potesse più far niente.
E invece sul problema dell’ambiente è molto importante comunicare alle giovani generazioni che si può intervenire con modifiche anche molto piccole, a volte perfino insensibili, ma iscritte dentro un continuo cammino in avanti.
Poter misurare all’inizio, fare il progetto di cambiamento e poi misurare alla fine, permette di valorizzare ogni sforzo e verificare ogni miglioramento, anche quello di cui magari lì per lì non ti accorgi.”
Prof. Fiorino Collizzolli: “Gli studenti direttamente coinvolti cominciano già a stabilire delle relazioni tra i comportamenti e il funzionamento dell’edificio, e acquisiscono l’idea che lo spazio va gestito, non solo quello della propria l’aula ma quello dell’intero edificio.
Questo progetto porta alla capacità di vedere con attenzione il luogo dove si abita e di viverne la cura come un vantaggio.”

In che modo l’edificio, le cose possono insegnare a cambiare abitudini?

Prof. Fiorino Collizzolli: “Può insegnare se induce alla percezione che questo è il proprio spazio di vita. Il SGA stimola il senso di appropriazione dello spazio, anche nella cura dell’aula. In alcune, in particolare, c’è molta attenzione per l’arredo, i materiali, le piante. I ragazzi alla fine vedono che, se si chiede, si lavora e si fanno delle proposte, si può arrivare ad avere magari non tutto quello che si è chiesto, però alcuni risultati sì. È molto importante constatare gli effetti delle proprie azioni. Anche i pannelli autocostruiti che i nostri ragazzi hanno disseminato per la scuola manifestano questa appropriazione dello spazio e sono un altro tentativo di farlo diventare proprio, visto che in esso ci si passa una grande quantità di tempo. 
Questo edificio in se stesso non è molto bello, è una struttura fredda ma da tempo noi proponiamo delle attività per favorire la socializzazione e l’appropriazione dello spazio: quello che conta è come ci si muove.
E il metodo del SGA – mostrare i risultati, misurare il cammino e restituirlo sotto forma di obiettivo raggiunto – porta ciascuno a dire: sono protagonista di questo risultato. Misurare è essenziale per avere un ritorno didattico!
 

Quali sono state le ricadute nel piano dell’offerta formativa?

>Prof.ssa Annamaria Matteucci: “Non tutte le materie si prestano nello stesso modo ad approfondire gli argomenti di educazione ambientale, ma quasi tutte si sono impegnate, trattandoli in modi diversi,  ad esempio le scienze con un curricolo quadriennale, altre in maniera trasversale – con un coinvolgimento che è aumentato nel tempo.
Tutte le discipline possono dare attenzione a questi temi: la storia, ad esempio, confrontando l’ambiente nell’età antica con quello di oggi, il latino mettendo a fuoco le tante testimonianze che riguardano la tutela dell’ambiente e il modo di vita degli antichi. Così anche la storia dell’arte, l’inglese e naturalmente la matematica che ci aiuta a calcolare i dati raccolti nella gestione dell’energia.”

Quali risultati avete ottenuto?

Prof. Francesco Marin: “La scuola può essere un centro veramente prezioso e avere un ruolo importantissimo nel diffondere la cultura ambientale. Il ruolo che ora sosteniamo non è solo formativo direttamente verso gli studenti ma anche indirettamente verso gli insegnanti: siamo diventati scuola-polo anche a livello regionale. 
Crediamo molto in questo impegno perchè è chiaro che la scuola può avere un impatto moltiplicato quante più altre scuole e docenti sono coinvolti in queste attività formative. “
Prof. Alberto Trevisanello: “Per quanto riguarda i rilevamenti dei consumi siamo arrivati a un buon livello di abilità, è stata la cosa più facile. I dati consolidati li abbiamo dall’anno scorso e ora possiamo fare confronti significativi. Sappiamo quanto gas metano o quanta acqua in meno consumiamo, e questo permette di individuare subito eventuali problemi e sensibilizzare la provincia, ente proprietario dell’immobile, che ne ottiene indubbi risparmi. 
Ultimamente abbiamo cominciato a comunicare agli studenti le diminuzioni dei consumi attraverso una bacheca.
Più difficile è valutare i miglioramenti in ambito educativo perchè non ci sono misure numeriche. I nostri ispettori ci chiedono però anche un monitoraggio dei risultati sull’educazione.”

In che modo questo progetto si differenzia da un’attività di educazione ambientale?

Prof.ssa Marina Bolletti: “In primo luogo perchè non è legato all’iniziativa di un particolare gruppo di insegnanti: è piuttosto un sistema che si trasmette. Per esempio le attività di documentazione delle procedure che ci vengono controllate accuratamente all’inizio sono faticose, ma poi portano il vantaggio evidente di non essere legate alla presenza di una particolare persona. Sono la testimonianza di un percorso definito nei dettagli e soprattutto riproducibile. È tipico della scuola affidare tutto all’iniziativa del singolo, mentre qui è in primo piano l’organizzazione: le procedure garantiscono e facilitano la continuità. 
Il SGA ha fatto crescere in tutti la consapevolezza della complessità ambientale in cui si vive, di cui spesso non ci si rende conto.”

I tre punti più importanti che lo distinguono?

Prof.ssa Marina Bolletti: “Per spiegare il SGA si può dire che ha lavorato su tre punti: uno è l’educazione, realizzata introducendo queste tematiche nella didattica curricolare e sviluppandole poi con l’apporto di esperti esterni, il secondo è la gestione dell’edificio, il luogo dove si testano le cose imparate, e infine l’ultimo è la centralità del ruolo dell’organizzazione-scuola.
Per ottenere la certificazione Emas abbiamo curato molto tutto l’aspetto che riguarda la formazione, che è sicuramente la cosa più importante. Anche i certificatori, coloro che ci controllano, hanno riconosciuto questa nostra specificità, diventata nel tempo sempre più impegnativa, tanto da proiettarci in un ruolo di responsabilità rispetto al territorio.”

Tre punti di forza del vostro progetto che volete comunicare alle altre scuole.

Prof.ssa Marina Bolletti: “Uno è l’idea che il progetto, come ho già detto prima, stabilisce un continuo cammino di miglioramento. Sull’ambiente a volte si deve intervenire con modifiche piccole, quasi insensibili: il SGA ti costringe a monitorarle e di fatto in questo modo valorizza ogni cambiamento e traccia un percorso che procede con continuità. Questo è un dato di grande rilevanza.
Un’altra cosa che mi sembra importante è il coinvolgimento di un insieme di realtà dentro la scuola. Naturalmente non tutti sono stati coinvolti, però esiste una collaborazione molto visibile tra gli insegnanti, gli studenti, i genitori, il personale Ata, gli amministrativi. E infine la continuità verso l’esterno. Il SGA propone un discorso che tocca il territorio: può allargarsi, ha le gambe per andare avanti, non è chiuso dentro ciò che fa un insegnante in una classe. Senza niente togliere a ciò che di importantissimo un bravo insegnante fa in una classe, questo è un progetto molto più articolato nelle sue componenti. E questo facilita le collaborazioni con associazioni esterne, come quella degli studenti, dei genitori o degli ex insegnanti.”

Ad una scuola che volesse intraprendere questo cammino e ispirarsi alla vostra esperienza cosa consigliereste?

Prof.ssa Marina Bolletti: “Innanzitutto bisogna avere delle risorse. Senza queste risorse è impossibile, non ci si deve neanche provare. Questo vuol dire che gli enti devono aiutarti e trovare dei fondi. Prima di tutto perchè le certificazioni hanno un costo, e poi perchè è assolutamente impossibile per una scuola che non l’abbia mai fatto inventarsi tutto. 
In secondo luogo ci vogliono delle risorse umane. Bisogna mettere insieme un gruppo non solo di docenti, ma anche di personale ATA e puntare molto sul coinvolgimento della struttura amministrativa e organizzativa. E poi naturalmente ci sono gli studenti, che nel nostro caso sono stati preziosissimi, e i genitori.
Bisogna formare un gruppo compatto che accetta di fare questo percorso. È impegnativo: le visite del certificatore impongono una scadenza precisa al lavoro da svolgere. Terzo è necessario, anche molto di più di quanto abbiamo fatto noi, radicarsi nel territorio, sia per avere sostegno, sia per la diffusione di risultati. Noi ci stiamo impegnando molto in questo senso.”

Il vantaggio più grande che avete avuto?

Prof.ssa Marina Bolletti: La consapevolezza ambientale che portiamo ai ragazzi e che poi loro portano alle famiglie. È una consapevolezza che non è detto si rifletta immediatamente sulle cose, non è detto sia immediatamente tangibile. Però la percepisci ed è molto forte: è sapere che noi dobbiamo, e anche possiamo, fare qualcosa. È la presa in carico di un problema da parte di un gruppo, che diventa una comunità di pensiero.”