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28 Settembre 2016

Uno sguardo sull’istruzione a livello globale: i risultati del rapporto OCSE 2016

di Simona Baggiani

Il 15 settembre scorso è uscito l’autorevole rapporto annuale dell’OCSE sullo stato dell’istruzione a livello mondiale: “Education at a Glance/Régards sur l’éducation 2016.

Il corposo volume offre dati statistici nazionali comparabili che analizzano i sistemi educativi dei 35 Paesi membri dell’OCSE, oltre a quelli di Argentina, Brasile, Cina, Colombia, Costa Rica, India, Indonesia, Lituania, Federazione russa, Arabia Saudita e Sudafrica.

Nell’edizione 2016 si misurano, per la prima volta, gli sforzi fatti dai vari Paesi per garantire a tutti un’istruzione inclusiva e di qualità. I risultati che emergono a livello internazionale non sono molto incoraggianti: dei 35 Paesi esaminati, solo 12 raggiungono il livello richiesto in almeno 5 dei 10 obiettivi di sviluppo sostenibile per l’istruzione da raggiungere entro il 2030, e solo 6 dei 22 Stati membri dell’Unione [1]. L’Australia e il Canada sono i Paesi che vantano i risultati migliori per l’insieme degli obiettivi stabiliti, seguìti dai Paesi Bassi e dal Belgio. Tuttavia, un’istruzione efficace, efficiente e inclusiva di tutte le diversità resta ancora una grande sfida per molti Paesi, compreso il nostro.

Uno sguardo sull’istruzione in Italia

Il quadro che emerge dell’istruzione italiana dall’analisi degli indicatori OCSE è abbastanza allarmante ed evidenzia alcune urgenti sfide per i decisori politici. In particolare, si sottolinea la necessità di:

  • invertire la tendenza negativa nel finanziamento dell’istruzione;
  • formare, motivare e rinnovare il corpo docente;
  • aumentare il numero degli studenti iscritti all’istruzione terziaria, in particolare ai programmi di ciclo breve a indirizzo professionalizzante per un accesso più facile al mondo del lavoro.

I dati relativi al nostro Paese mostrano, infatti, che la spesa per l’istruzione è diminuita significativamente dal 2008 al 2014, sull’onda anche della crisi economica degli ultimi anni. Nel 2013 la spesa totale (pubblica e privata) per l’istruzione è stata tra le più basse degli Stati presi in esame, ossia pari al 4% del PIL rispetto a una media OCSE del 5,2%. Ed è stata particolarmente bassa per il settore dell’istruzione terziaria. Tale livello relativamente basso della spesa pubblica per l’istruzione non è riconducibile al basso livello della spesa pubblica in generale, ma al fatto che all’istruzione sia stata attribuita una quota di bilancio esigua rispetto ad altri settori: nel 2013, infatti, l’Italia ha stanziato il 7% della spesa pubblica complessiva per tutti i livelli di istruzione, rispetto a una media OCSE dell’11%.

Il nostro corpo docente è il più anziano rispetto a tutti gli altri Paesi OCSE. Nel 2014, l’Italia registrava la più alta percentuale di ultracinquantenni rispetto a tutti gli altri Paesi esaminati (addirittura quasi il 70% degli insegnanti della scuola secondaria superiore). In seguito alla Legge 107 del 2015 (la cosiddetta riforma della “Buona scuola”), l’Italia ha messo in campo significative misure di assunzione di insegnanti che si auspica possano cambiare la distribuzione generale dell’età del corpo docente. Nonostante questa urgente necessità di ricambio generazionale, c’è da dire che gli stipendi degli insegnanti italiani non sono tali da rendere questa professione particolarmente allettante, oscillando dal 76% al 93% della media OCSE. Malgrado ciò, molti giovani continuano a essere attratti dalla professione, forse anche a causa della difficoltà di trovare posti di lavoro sicuri in altri settori.

Un’ulteriore sfida, e forse quella più importante, per il nostro sistema è rendere l’istruzione terziaria un percorso che permetta di entrare nel mondo del lavoro più facilmente. In Italia, l’ultimo tasso registrato di ingresso degli studenti in un corso di laurea di primo livello è del 37%, percentuale molto inferiore alla maggior parte dei Paesi OCSE. I giovani laureati, tra i 25 e i 34 anni, non trovano facilmente lavoro e registrano un tasso di occupazione del 62% contro una media OCSE dell’83%. Oltretutto, più di un terzo dei giovani tra i 20 e i 24 anni sono giovani che non lavorano, non studiano e non seguono una formazione (i cosiddetti NEET, acronimo che sta per Not in Education, Employment or Training). Negli ultimi dieci anni, la percentuale dei NEET in Italia è aumentata in maniera superiore rispetto agli altri Stati raggiungendo, nel 2015, il tasso più elevato. Ciò è dovuto in parte alla crisi economica e al conseguente calo dell’occupazione, ma questa non è l’unica ragione. Infatti, è importante rilevare che altri Paesi, come per esempio la Grecia e la Spagna, che hanno avuto un simile, se non maggiore, calo dell’occupazione non hanno registrato un aumento così importante del tasso dei NEET, in quanto, in questi Paesi, molti giovani disoccupati sono stati reinseriti in percorsi di istruzione e formazione. Rispetto a una percentuale aumentata del 14% di studenti greci e del 12% di studenti spagnoli iscritta a un corso di studi, l’Italia può vantare solo una percentuale del 5%. Tutto questo suggerisce una certa mancanza di attrattiva del sistema italiano di istruzione terziaria, ulteriormente accentuata dalla scarsità di sostegni finanziari agli studenti rispetto ad altri Paesi.

Infine, nel 2014 erano ancora troppo pochi in Italia gli iscritti ai programmi di ciclo breve a indirizzo professionalizzante e rappresentavano una percentuale trascurabile del totale degli studenti dell’istruzione terziaria. La recente introduzione degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) è volta a diversificare l’offerta formativa del settore terziario aumentandone i corsi professionalizzanti. Tuttavia, è ancora troppo presto per sapere se questi istituti aumenteranno il numero dei laureati del livello terziario, cosa fortemente auspicabile per il nostro Paese.

 

 

 

 

[1] I 22 paesi dell’UE membri dell’OCSE sono: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria.