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9 Maggio 2017

Bisogni educativi speciali, il progetto dell’Istituto professionale di Ceccano (FR)

di Redazione

Enrico Mansueti insegna chimica all’Istituto professionale di Stato per i Servizi dell’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera di Ceccano, in provincia di Frosinone. Nel contributo che presentiamo – recentemente presentato al IV Congresso internazionale sull’Inclusione di Siedlce, in Polonia – il prof. Mansueti traccia un breve quadro dell’evoluzione della ricerca educativa nel campo delle difficoltà di apprendimento e dei Bisogni educativi speciali (BES) e racconta un progetto sulla chimica dei prodotti alimentari che la sua scuola sta portando avanti e che vede il proficuo coinvolgimento di un alunno quindicenne con diagnosi di disturbo dello spettro autistico.

 

Contro gli effetti speciali: l’inclusione dei BES attraverso la realtà compensativa. I mediatori concreti in un caso di autismo
di Enrico Mansueti

Un quadro complesso
Nel campo delle difficoltà di apprendimento, la ricerca didattica permette modalità organizzative difficilmente realizzabili nel lavoro tradizionale: forme di valutazione sostanziate sui risultati dell’apprendimento come processo in divenire piuttosto che sul numero-voto finale e allentamento dei vincoli rispetto alla programmazione ministeriale, consentono di seguire il lavoro nelle sue dinamiche reali. Lo sviluppo procede perciò necessariamente come ricerca-azione tra gli ostacoli cognitivi e le strategie messe in campo per il loro superamento. Negli ultimi anni un’aumentata attenzione ha allargato il campo di indagine sulle cause dello scarso rendimento scolastico: accanto ai deficit cognitivi propriamente detti si considerano ora problematiche di tipo diverso, che hanno portato infine nel 2012 all’introduzione dei BES, i bisogni educativi speciali. Si tratta in verità di un’ampia tipologia di situazioni che comprendono svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento, problemi comportamentali, disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse. Anche se ora l’approccio didattico deve necessariamente essere più personalizzato, dinamico e attento all’evoluzione del singolo caso, nella diversità delle situazioni c’è generalmente una rinnovata attenzione per il contesto sociale di provenienza, proprio perché operiamo in una società che diventa sempre più multiculturale. Purtroppo fino a oggi non pochi docenti, diuturnamente attenti al rapporto fra il programma ministeriale da svolgere e il tempo a disposizione, hanno tentato di aggirare gli ostacoli cognitivi spalmando atarassicamente la didattica sul computer (o addirittura sullo smartphone, come suggerito da certi POF), con una duplice giustificazione: dapprima hanno trovato conforto nelle indicazioni dei documenti ufficiali (si vedano le tabelle delle misure dispensative e degli strumenti compensativi ricavate dalla legge n. 170 del 20/10/2010 e dalle linee guida del 12/07/2011), poi sulla composizione variegata della classe, che con alunni provenienti da paesi e contesti socioculturali diversi ha suggerito l’idea che computer e software per l’apprendimento fossero strumenti di “democrazia didattica”. Nel campo delle difficoltà di apprendimento l’utilizzo massivo delle tecnologie può invece paradossalmente tradursi in una sorta di “disimpegno educativo” doppiamente pericoloso; se l’uso di certi strumenti negli anni scorsi poteva talvolta esporre a una medicalizzazione della didattica, ora i supporti multimediali e le fonti informative della rete (con le sue piattaforme comunicative), da stimolo intellettivo possono trasformarsi in sorgenti di conoscenza di dubbia attendibilità, o addirittura in rifugio e ostacolo per forme di interazione sociali più sane. La virtualità degli esperimenti suggeriti dal libro-Dvd, piuttosto che accorciare la distanza dalla conoscenza scientifica, spesso notevole rispetto al libro e alla lezione alla lavagna, aumenta invece quella dalla vita reale.

 

 

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