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indireinforma

3 Dicembre 2019

Addio a Domenico Lenarduzzi, padre di Erasmus

di Redazione

Domenico Lenarduzzi è mancato ieri, 2 dicembre, a Bruxelles. Con il presidente Indire Giovanni Biondi abbiamo pensato di ricordarlo ripubblicando il testo di un ultimo incontro telefonico che abbiamo avuto nel 2012, per celebrare il 25esimo anniversario di Erasmus. La sua visione del programma e del futuro dell’educazione europea, la sua lucidità nel leggere il susseguirsi degli eventi, la chiarezza nell’esprimersi sono ancora lì, ancora più necessari oggi, per aiutarci a non perdere la speranza in tempi complessi. Domenico è stato nostro maestro e amico, ci ha insegnato l’importanza di vedere in grande e lontano, la necessità di lavorare con metodo e rigore, ci ha insegnato l’entusiasmo e il non arrendersi, nonostante tutto. Ricordo la sua prima volta a Firenze in via Buonarroti nel freddo inverno del 1985: avevamo appena ricevuto l’incarico di gestire l’Unità italiana di Eurydice. Era il primo importante progetto europeo nel quale l’Istituto era coinvolto e lui era accanto a noi. Cosi da allora sempre, disposto ad ascoltare le nostre idee, le proposte, a discuterle e a sostenerci quando riteneva ne valesse la pena. Penso a tutti nostri suggerimenti per l’informatizzazione del sistema, penso a Ortelius, la banca dati sull’istruzione superiore in Europa che costruimmo negli anni ‘90 insieme all’Università di Firenze, a Giunti e a Olivetti e con tanti altri partner da tutta Europa, sostenuti dalla sua fiducia. E molto altro ancora abbiamo realizzato, grazie a lui. Ma soprattutto non potremo dimenticare il suo modo di gestire le riunioni dei tanti gruppi di lavoro ai quali abbiamo partecipato. E nemmeno le parole con le quali le riunioni si concludevano sempre, che ci riempivano di emozioni e di certezze, pronte ad accompagnarci e guidarci nel nostro lavoro a casa per la costruzione dell’Europa.

Fiora Imberciadori, già Direttrice dell’Agenzia LLP Italia

 

 

La nascita di Erasmus raccontata dal suo padre putativo
Intervista a Domenico Lenarduzzi, uno degli “inventori” del programma europeo di mobilità
di Fiora Imberciadori
16 maggio 2012

 

Domenico Lenarduzzi, già Direttore presso la Commissione Europea, “padre” di Erasmus e di tanti altri programmi comunitari in materia di istruzione e formazione, protagonista negli anni cruciali per la nascita e la crescita di una comunità educante condivisa, con la sua intelligenza, energia, entusiasmo ha convinto tantissime persone e sostenuto tantissimi progetti, trasmettendo a tutti coloro che hanno lavorato con lui conoscenza e metodo, voglia e certezza di Europa.

 

Prima di tutto, grazie per avere accettato l’intervista, con la quale speriamo di mitigare il rammarico di non averti con noi in questi giorni ricchi di eventi che celebrano i 25 anni di Erasmus. La domanda immediata che ti faccio è questa: fra i ricordi dei primi tempi, in particolare di quali esperienze e programmi di cooperazione interuniversitaria, vorresti non si perdesse memoria fra le tante persone che oggi sono coinvolte in Erasmus?

Innanzitutto bisogna ricordarsi che nel 1984/85, a distanza di 26 anni dai primi trattati, la Comunità Europea, pur considerabile un successo da punto di vista economico, non aveva avviato alcuna iniziativa in materia di cittadinanza. Il problema fu affrontato durante la Presidenza italiana di quegli anni: il rapporto “L’Europa dei Cittadini”, ricordato poi come Rapporto Adonnino, dal nome di colui che presiedeva il comitato che lo produsse, fu approvato nel giugno 1985. In esso si proponevano misure e azioni per meglio coinvolgere nella costruzione dell’Europa i singoli cittadini e l’Italia contribuì fortemente al suo successo. Nel Rapporto si prevede di adottare un insieme di simboli, come la bandiera, l’inno, la patente e molti altri per sviluppare il senso di appartenenza dei cittadini a questa nuova entità, l’Unione europea di oggi.
Bisogna ricordare che nel settore dell’istruzione, particolarmente nel settore dell’università, ancora nel 1984 non esisteva alcuna forma di cooperazione tra le istituzioni dei diversi Paesi. E dunque iniziammo quasi “forzando” le università a cooperare per stimolare i giovani, gli studenti, a far propria una dimensione europea. Senza dimenticare che, ancora nel 1984, nessun diploma acquisito in un Paese veniva riconosciuto in un altro e la mobilità era completamente nulla, date le difficoltà di certificare il periodo di studio trascorso in Paese diverso, i quadri legislativi nazionali esigendo che un corso di laurea si svolgesse interamente nel Paese d’origine. Nel caso dell’Italia, per permettere la partecipazione al neonato Erasmus si è dovuta modificare la legislazione. Ma non solo in Italia. Più o meno lo stesso caso si è verificato in tutti gli Stati della Comunità europea. E poi c’era la grande diffidenza tra le università, quasi un timore di concorrenza, timore verso questa cooperazione, necessaria per preparare i giovani a diventare i prossimi cittadini europei.
I due motivi essenziali per i quali i nostri giovani non usufruivano di alcuna mobilità erano dunque la mancanza di un riconoscimento dei diplomi e dei periodi di studio passati altrove. Con queste premesse, già la partenza del primo programma Erasmus nel 1987 fu un vero miracolo. Il primo anno andarono in mobilità 3mila studenti, oggi ci avviamo verso i 400mila. Non studenti, ma piuttosto dei giovani che ricevono un sostegno da parte della comunità europea. Erasmus è stato l’inizio di un lavoro per la formazione dei giovani tutti, dall’università alla scuola primaria e secondaria e l’educazione si è rivelata uno strumento fondamentale dell’integrazione europea, anche se il trattato di Roma non prevedeva nulla a questo proposito e nonostante la contrarietà di gran parte degli Stati membri, timorosi che la Commissione europea cercasse di armonizzare i diversi programmi di studio. Questo era il vero problema e siamo potuti partire perché nel 1984-85 i capi di stato chiesero alla Commissione di intraprendere una serie da azioni, mirate a sviluppare il senso di appartenenza dei cittadini, particolarmente dei giovani, alla nuova entità. Malgrado non ci fosse nessuna base giuridica, facendo leva sulla volontà dei capi di stato, la Commissione ha proposto una serie di programmi per i giovani, come Erasmus, poi Comenius, Leonardo, Gioventù per l’Europa e altri ancora. Potrei continuare.

 

Oggi Erasmus è parte importante dei sistemi universitari sia da un punto di vista politico che curriculare e gestionale. Ma è anche metafora di cambiamento, di innovazione e di crescita intellettuale, è sinonimo di Europa. Nel passare il testimone ai protagonisti di oggi, con quale messaggio vorresti fosse accompagnato?

Tutti i giovani dovrebbero avere l’opportunità di trascorrere un periodo di studio, formativo ed educativo, in un altro Paese e questo dovrebbe essere l’obiettivo ideale. Anche l’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi a suo tempo l’aveva sottolineato, e con lui molti altri. È vivendo in contatto con i cittadini degli altri Paesi e scoprendo la cultura degli altri che si può veramente realizzare l’Unione europea delle persone. Ciò significa, beninteso, amplificare gli sforzi del punto di vista linguistico, facilitare questa mobilità che esige dei finanziamenti importanti. E significa anche dare ampio respiro all’istruzione in generale, che non metta l’accento solo sul contenuto nazionale ma direttamente sul contenuto europeo. Questa dimensione europea la si può raggiungere non solo con la mobilità, ma ugualmente con le nuove tecnologie e con la cooperazione tra diverse istituzioni. Questo è fondamentale e direi più importante oggi di ieri. Perché l’Europa deve cercare l’unità per formare un’unica entità di fronte al resto del mondo, a Paesi emergenti che sono singolarmente più grandi e più ricchi. E se vuole continuare ad avere il ruolo che aveva nel passato, l’Europa deve migliorare la formazione dei suoi cittadini, in particolare dei giovani. Formazione per tutti, dalla culla alla tomba, con una dimensione e un’apertura europea.

 

Il nuovo programma previsto dal 2014 “Erasmus for All” va in questa direzione?

Io credo che sia una necessità, ora più che mai, che coloro che si occupano di formazione acquisiscano in prima persona questa dimensione europea per poi trasmetterla. Oggi non abbiamo più le frontiere. Formiamo una vera entità. E dunque bisogna che il cittadino, il giovane di Palermo, possa dialogare e capirsi con un giovane di Helsinki. La formazione che ognuno riceverà, sia essa in Portogallo o in Germania, dovrebbe essere e portare a un diploma equivalente. Non dico simile ma equivalente. Bisognerebbe che tutti i nostri giovani – in un mercato unico del lavoro – avessero più o meno la medesima formazione per escludere la discriminazione. Abbiamo l’obbligo di non lavorare più isolatamente, compiendo ogni sforzo perché i programmi convergano per una formazione equivalente del cittadino italiano e del cittadino tedesco. Il mercato del lavoro sceglierà chi è meglio formato. Non si tratta di copiare – ogni cittadino e Paese ha sensibilità e cultura proprie e specifiche – ma di rendere equivalenti i risultati dei processi educativi per avere le medesime opportunità sul mercato del lavoro in quanto appartenenti a una comunità. Rispetto a questo, giudico il nuovo programma molto complesso, con il rischio di perdersi in questa complessità: non vedo come il cittadino e il giovane possano appropriarsene, considerata la sua varietà e la moltitudine di disposizioni diverse. Prevale in me lo scetticismo, temo un programma elefantesco dove il cittadino non avrà più il medesimo contatto che garantivano Erasmus e gli altri programmi. Bisognava razionalizzare senza esagerazioni, mentre si mettono insieme un bambino di 3 anni con uno studente universitario. Positiva però la grande attenzione sulla mobilità: l’Unione Europea ha preso coscienza della necessità e del valore di sviluppare il senso di appartenenza all’entità che rappresenta, e per farlo la mobilità è essenziale.

 

Vuoi, in conclusione, sottolineare un qualche punto?

Per concludere e riassumere: nell’iniziare questa avventura non solo ci siamo dovuti misurare con l’assenza di una base giuridica, ma anche con il senso di sovranità degli Stati membri e delle istituzioni che temevano l’ingerenza della Commissione in materia. Abbiamo dovuto dimostrare che non è mai stata intenzione della Commissione di programmare qualcosa a livello europeo. Ma piuttosto intendevamo facilitare i contatti e far circolare le buone iniziative per collaborare e cooperare. E bisogna dire che questa azione in materia di istruzione e formazione fu la sola nella costruzione europea compiuta non su testi giuridici pronti, ma con la volontà di tutto il mondo educativo, con la volontà di docenti, professori, studenti, amministratori. Erasmus è un programma nato soprattutto per emanazione spontanea dei cittadini che ne sentivano la necessità. In questo settore non c’era nulla, come invece accadeva per esempio nel mondo dell’agricoltura. Ci si rese semplicemente conto che l’Europa non si sarebbe fatta, se non si faceva il necessario per sensibilizzare i giovani. E dunque il ruolo dell’educazione, dell’istruzione, della formazione risultava prioritario. E adesso tutto ciò è stato riconosciuto anche a livello di assegnazione di bilancio, con i fondi richiesti raddoppiati nel prossimo programma e la mobilità divenuta una superpriorità. Bisogna riconoscere che il ruolo di Erasmus è stato fondamentale in questa evoluzione verso l’integrazione europea, considerando anche che i tanti che ne hanno beneficiato hanno poi sensibilizzato decine e decine di milioni di europei: quando un giovane partiva non c’era non solo la famiglia ma tutto l’entourage che chiedeva: “Ma dove vai?”, “Come vai?”. E allora si diceva: “Questo è possibile grazie all’Europa!”. Molto è stato realizzato e i giovani hanno davanti a sé tantissime opportunità. Molto resta ancora da fare quando parliamo di formazione, ribadendo la necessità dell’equivalenza dei percorsi e dei risultati. È il problema fondamentale di cui tutti dobbiamo prendere coscienza, perché adesso siamo tutti cittadini di una medesima entità.

Grazie Domenico, a nome di tutti noi, per queste idee e questa memoria che ci hai regalato.

 

(Link all’articolo del 2012: http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1742)