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19 Maggio 2020

I futuri (desiderabili) della scuola. Alcune riflessioni nate a seguito dell’evento “Officina 2020”

di Redazione

Lo scorso 5 maggio la dirigente di ricerca Indire Maria Chiara Pettenati ha preso parte a un tavolo di lavoro virtuale sul tema “L’educazione al tempo dell’incertezza”, organizzato nel contesto dell’iniziativa “Officina 2020: educazione e futuri” dall’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali IRPPS-CNR, in collaborazione con Unesco e Ministero dell’Istruzione. Nel corso delle due ore di incontro, il gruppo di moderatori e panelist si è confrontato su domande quali: Come immagini il futuro dell’educazione nel 2050? Quali competenze saranno cruciali per lo sviluppo personale e sociale e per la realizzazione lavorativa in tempi di incertezza? E quali pratiche educative possono esservi collegate? Quali fattori possono promuovere le visioni di educazione auspicate e quali invece ne costituiscono degli impedimenti? In questo suo articolo, Maria Chiara Pettenati ci racconta le riflessioni che sono scaturite dall’incontro. La registrazione dell’evento è disponibile qui.

 

Parlare di futuro è una grande sfida, e per farlo è stato per me necessario pormi sulle spalle dei giganti. Per prepararmi al dialogo ho consultato numerosi testi che considero seminali, tra cui il recente report del Club di Roma Come on! Capitalism, short-termism, population and the destruction of the planet. 

Il Club di Roma mi dà particolarmente fiducia quando si parla di futuro, perché è dalla fine degli anni ’60 che, su stimolo e desiderio del suo fondatore, il grande imprenditore e filosofo italiano Aurelio Peccei, l’associazione se ne occupa coniugando visione umanistica e scienza. In questo volume, uscito nel 2018, si parla di futuro per ribadire come gli avvertimenti pubblicati nel loro primo libro del 1972, Limits to Growth, siano ancora validi: le attuali tendenze mondiali non sono sostenibili, i rimedi considerati accettabili per la grande maggioranza delle persone tendono a peggiorare le cose. 

Nell’abstract di quest’ultima pubblicazione, che raccoglie i contributi di numerosi scienziati in campo ambientale, economico e sociale, si legge: Sembra che ci troviamo nel mezzo di una crisi filosofica. Papa Francesco lo dice chiaramente: la nostra casa comune è in pericolo mortale. Analizzando la crisi filosofica, il libro giunge alla conclusione che il mondo potrebbe aver bisogno di una “nuova illuminazione”; un’illuminazione che non si basa esclusivamente sulla dottrina, ma affronta invece un equilibrio tra uomo e natura, nonché un equilibrio tra economia e istituzioni e tra il breve contro il lungo termine. Per fare ciò, dobbiamo lasciarci alle spalle un approccio “a silos”, a favore di un approccio sistemico che ci richiederà di ripensare l’organizzazione della scienza e dell’educazione.

Studiando in questi anni il tema della sostenibilità, ho imparato che non si può parlare di futuro, ma si deve parlare piuttosto di “futuri possibili”. 

Il volume del Club di Roma contiene, tra i numerosi approfondimenti, una tassonomia del futuro realizzata da Paul Raskins che evidenza sei scenari di futuri possibili che si possono realizzare in relazione a tre vie maestre che partono dalla situazione corrente: 

  1. Mondi convenzionali (continuare così); 
  2. Imbarbarimento (estremizzare la degenerazione della crisi sociale ed ambientale);
  3. Grandi Transizioni (intraprendere azioni coraggiose e radicali). In quest’ultima opzione di futuro si “prevede l’ascesa di nuove categorie di coscienza – cittadinanza globale, umanità nel suo insieme, la più ampia rete della vita e il benessere delle generazioni future – accanto alle istituzioni democratiche di governance globale”.  

Anche l’amica, studiosa ed esperta di educazione alla sostenibilità Michela Mayer ha parlato di “futuri” in una sua lezione svolta lo scorso 16 aprile nell’ambito del palinsesto realizzato da Indire a supporto dell’emergenza sanitaria (la registrazione è disponibile qui), evidenziando come, per realizzare i futuri desiderabili, si possa ricorrere alla tecnica del backcasting, ovvero immaginare con precisione lo scenario auspicato e ripercorrere a ritroso le tappe necessarie per renderlo realizzabile.  

L’Agenda 2030 del 2015 è una narrazione di sviluppo che segue esattamente questo tipo di approccio. Non a caso il preambolo della risoluzione ONU 70/2015 con la quale è stata adottata, apre con le seguenti parole: In questi obiettivi e traguardi, stiamo esponendo una visione sommamente ambiziosa e trasformativa. Noi immaginiamo un mondo libero dalla povertà, dalla fame, dalla malattia e dalla mancanza, dove ogni vita possa prosperare. Immaginiamo un mondo libero dalla paura e dalla violenza. Un mondo universalmente alfabetizzato. Un mondo con accesso equo e universale a un’educazione di qualità a tutti i livelli, a un’assistenza sanitaria e alla protezione sociale, dove il benessere fisico, mentale e sociale venga assicurato. […] Il mondo che immaginiamo è un mondo dove vige il rispetto universale per i diritti dell’uomo e della sua dignità…

Ripercorrere questi pensieri per condividerli sul tavolo di discussione dell’Officina 2020 mi ha stimolato a pensare ai futuri della scuola con un orizzonte al 2050, anche se né io né nessuno dei presenti alla discussione ha potuto fare a meno di fare riferimento all’attualissima esperienza dirompente che stiamo vivendo. Nella condizione di emergenza dovuta alla pandemia da nuovo coronavirus, dalla quale ancora non siamo fuori, le scuole si sono oramai configurate per gestire – coi propri chiaroscuri – la didattica a distanza.

Come è giusto che sia, questa esperienza sarà certamente oggetto di studio e di un’analisi plurale da parte del mondo della ricerca educativa. Tuttavia, come molti adesso, mi preoccupo della “ripartenza” e penso che sia su questa fase che si possa fare leva per realizzare una “Grande Transizione”, ma che allo stesso tempo siano presenti in essa i più grandi rischi di involuzione.

Sappiamo anche che gli scenari della ripartenza nel mondo della scuola sono oggi al centro di un dibattito istituzionale e politico e, indipendentemente dalla cornice di riferimento che questo dibattito produrrà, sicuramente le scuole non stanno perdendo tempo per ipotizzare i loro futuri possibili. 

Aggiungo a questi ragionamenti, uno spunto. 

In analogia a quanto prospettato nella tassonomia del futuro di Raskins, mi immagino che nella fase di ripartenza si aprano davanti a noi tre grandi vie: 

  1. Quella della conservazione, in cui si fa tesoro di quanto acquisito nell’emergenza sia perché la fase di ripartenza lo impone (ad esempio perché le condizioni sanitarie richiedono un perdurare dei livelli di attenzione), sia perché si è avuto modo di fermarsi a mettere a fuoco cosa ha funzionato e cosa no, e si è disposti a portare oltre l’emergenza quanto di buono si è sperimentato;  
  2. Quella della regressione, la via in cui si cronicizzano le disuguaglianze messe in evidenza dall’emergenza (nella quale ad esempio prevale una didattica della tecnologia su una didattica della relazione) o – peggio ancora – quella in cui di fatto si mette in essere una nuova emergenza senza adeguata preparazione (ad esempio perché si richiedono nuovi assetti di didattica mista presenza-distanza); 
  3. Quella dell’evoluzione, in cui ci si affeziona all’idea di scuola trasformata che tanto – e tanto bene – è discussa e immaginata in questi giorni, e si mettono in atto trasformazioni coraggiose per perseguire quell’idea di scuola. 

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Ritengo che questi tre scenari della ripartenza possano essere un formidabile trampolino, ma anche un temibile ostacolo verso un’idea di scuola che – a regime – realizzi la visione del Goal 4 (Istruzione di Qualità) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: Assicurare un’istruzione di qualità, equa e inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti. 

Penso che occorra un sostegno forte da parte delle istituzioni e del mondo della ricerca perché le scuole siano accompagnate a percorrere un cammino di riflessione e ripianificazione del proprio operato, perché non scivolino nello scenario di futuro che, con un prestito di espressione da altro contesto, m’è venuto di chiamare SAU (School As Usual). 

Credo che nel mezzo degli estremi vi siano molte strade percorribili: alcune sono tracciate dai movimenti di innovazione delle scuole che attraversano il nostro Paese e che, col sostegno della ricerca istituzionale, modellano, esemplificano, trascinano verso idee di scuola che tendono sicuramente alla piena realizzazione degli obiettivi del Goal 4.

Sono ben consapevole che la riflessione cui sono giunta non concluda niente ed aggiunga, al più, uno spunto di riflessione. Ma per dirla con parole che potremmo facilmente ritrovare nel rapporto del 2018 del Club di Roma, se il futuro che vogliamo inizia adesso, sono sicura che se tutti gli stakeholder che ruotano intorno al mondo dell’educazione si alleassero per facilitare la strada verso lo scenario “evoluzione”, quello del “balzo in avanti”, allora avremmo certamente fatto un passo avanti nella direzione del futuro che vogliamo.   

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Credo che un contributo molto importante a livello nazionale verrà dall’evento “Orientare le scelte, disegnare il futuro” previsto il 21 maggio. Si tratta del primo di tre eventi preparatori in vista del Festival dello Sviluppo Sostenibile del prossimo ottobre, che ha proprio lo scopo di richiamare l’attenzione sull’importanza di pensare e progettare un futuro sostenibile, perché “per affrontare con successo shock sistemici, come la pandemia, occorrono politiche che guardino al medio-lungo termine, per proteggere, promuovere, prevenire, preparare e trasformare le diverse componenti del sistema socio-economico”. 

 

 

Articolo di Maria Chiara Pettenati, dirigente di ricerca Indire