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25 Agosto 2021

Aspettando Glasgow. Agire sul cambiamento climatico a partire dal sesto rapporto dell’IPCC

di Isabel de Maurissens

L’IPCC – The Intergovernmental Panel on Climate Change e l’IPBES – Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services sono due organi intergovernativi indipendenti dell’ONU che seguono rispettivamente i cambiamenti climatici, la biodiversità e gli ecosistemi. Entrambi sono composti da esperti e scienziati che si impegnano a sistematizzare la conoscenza scientifica prodotta a livello mondiale sugli ambiti di interesse dei due panel.

I due organismi, benché indipendenti l’uno dall’altro, in realtà dialogano perché “le attività produttive guidate dalle attività umane hanno unito e minacciano sempre più la natura, le vite umane, i mezzi di sussistenza e benessere in tutto il mondo. La perdita di biodiversità e il cambiamento climatico sono entrambi guidati da attività economiche umane e si raff
orzano a vicenda. Né sarà risolto con successo a meno che entrambi non vengano affrontati insieme” (Ipbes, 2021).

Lo scorso 9 agosto è stato presentato dall’IPCC il sesto rapporto di valutazione sul cambiamento climatico. Il report, frutto del primo gruppo di lavoro composto dal 74% di uomini e dal 28% di donne, si occupa del clima dal punto di vista della fisica. Questo sesto report sistematizza la conoscenza acquisita finora (14mila articoli scientifici valutati, 234 autori di 64 Paesi).

Mentre nel primo report del 1990 non si era giunti a dimostrare che le attività umane potessero influenzare il cambiamento climatico, il report IPCC del 2021 mette invece in luce senza mezzi termini la centralità delle attività umane e come esse abbiano un’influenza decisiva, a questo punto difficilmente reversibile, sul cambiamento climatico, rendendo gli eventi estremi più frequenti e gravi. I mezzi attuali di osservazione, come ad esempio i satelliti, e lo sviluppo delle conoscenze hanno considerevolmente migliorato i dati paleoclimatici e i parametri biogeochimici, permettendo di fare delle simulazioni ad alta precisione.

Certamente questo report sarà la base scientifica più significativa per il Cop26, la Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, così come lo fu il primo rapporto del IPCC per la Conferenza sul clima di Rio del 1992. La Conferenza, di cui l’Italia è co-organizzatrice insieme all’Inghilterra, avrà luogo a Glasgow (Scozia) dal 1 al 12 novembre 2021. Interessante il focal point per l’Italia, che riassume per punti le evidenze scientifiche del cambiamento climatico nel nostro Paese.

Uno dei punti forti del report è costituito dallo sguardo sulle realtà regionali attraverso l’Atlas interattivo , che fornisce dati regionali sul cambiamento climatico. In breve, il report è diventato molto più di un campanello d’allarme basato su dati scientifici, e l’auspicio della comunità internazionale è che tali dati indirizzino le scelte dei decisori politici che si incontreranno a Glasgow.

I cambiamenti climatici sono una delle maggiori minacce non solo ambientali, ma anche sociali ed economiche, e le azioni di contrasto al fenomeno sono le cosiddette azioni di adattamento (ossia “la capacità dei sistemi, delle istituzioni, degli esseri umani e degli altri organismi di adattarsi a potenziali danni, per sfruttare le opportunità o per rispondere alle conseguenze”, IPCC 2014) e di mitigazione (“limitando o prevenendo le emissioni di gas serra e potenziando le attività che rimuovono questi gas dall’atmosfera”, IPCC 2018).

Anche se in molti Paesi, tra cui l’Italia, queste misure vengono messe in atto, la reazione è troppo lenta e inappropriata rispetto al fenomeno. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres’, ha definito questo sesto report il “codice rosso dell’Umanità”. Lo è sicuramente per i bambini: secondo un rapporto dell’Unicef, la crisi climatica mette a rischio circa un miliardo di bambini (cioè un bambino su due) e per questo l’Unicef ha creato un indice, il Children’s Climate Risk Index (CCRI). L’Italia, ad esempio, ha un rischio medio di 4.1. rispetto al 7.4 dell’India.

Parafrasando Godot, alla conoscenza seguirà l’azione? Glasgow sarà il meeting point tra le nazioni mondiali a favore del clima? Noi lo speriamo.

 

Cosa possono fare le scuole?

Un’azione concreta che studenti o insegnanti possono fare è diventare Ambasciatori del Patto europeo per il clima unendosi alla Community degli ambasciatori Euclipa. È necessario che molti cittadini lo diventino, per monitorare cosa viene realmente fatto a livello nazionale. Tutti possiamo diventare ambasciatori europei e la community conta già circa una settantina di membri anche nel nostro Paese.

Un’altra azione è considerare questa tematica come punto centrale nell’ambito dell’educazione civica, secondo le linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica. Molte attività didattiche interdisciplinari possono essere progettate: ad esempio, partendo dal calcolo della propria impronta ecologica a livello scolastico, si possono analizzare gli ambiti in cui è possibile intervenire per ridurre il proprio impatto. La classe o la scuola possono anche impegnarsi nell’organizzazione di un evento all’interno del festival dello sviluppo sostenibile organizzato dall’ASviS che quest’anno avrà luogo dal 28 settembre al 14 novembre.

A livello internazionale, le scuole possono aderire alla Global Goals Week Action Plan (World Largest Lesson, Unesco, Unicef) che propone a tutti gli studenti cinque azioni da intraprendere nelle prossime settimane a favore dei goal dell’Agenda 2030. La prima delle azioni proposte è proprio la “Climate change makers”. L’azione invita gli studenti a scrivere 100 parole per spiegare perché è importante per loro che le tematiche del clima e dell’ambiente siano insegnate a scuola. Si tratta quindi di una spinta dal basso per i decisori politici sulla necessità di introdurre la tematica del clima nei curricoli scolastici.

Ci sembra utile proporre nuove metodologie per affrontare questi temi complessi, come ad esempio l’attivismo didattico visuale, basato su un metodo in tre fasi (Photo elicitation, Native imagine making, Attivismo didattico visuale) e utile a sviluppare uno “sguardo euristico” su questo fenomeno, tale da generare una conoscenza che porta all’azione. Molti siti o pubblicazioni propongono immagini per lavorare sul Goal 13 dell’Agenda 2030. Le immagini di satelliti del Global visual change della Nasa, ad esempio, possono essere utili per confrontare immagini dello stesso territorio a distanza di tempo. Il bel volume Un mondo sostenibile in 100 foto (E.Giovanni, D. Speroni, coll. M. Fugenzi, Laterza, 2019) è scaricabile gratuitamente dalle scuole e può essere utilizzato come photo elicitation. Esiste poi Climate Visuals, una ricerca-azione che permette di scaricare immagini su Climate cause, climate impacts, climate solution.

Una ricerca Unesco del 2019 ha messo in luce come i sistemi educativi affrontino i problemi del cambiamento climatico e come spesso lo facciano da un punto di vista prevalentemente cognitivo, tralasciando gli aspetti empatici e, soprattutto, l’azione concreta. Tra le raccomandazioni della ricerca dell’IPCC , l’enfasi posta dagli scienziati è appunto proprio sull’urgenza di agire.

La scuola può iniziare un percorso di conoscenza, ma soprattutto di consapevolezza, che sicuramente porterà l’opinione pubblica a mobilitarsi per prepararsi attivamente all’importante appuntamento di Glasgow.

 

Foto di Andrea Schettino da Pexels