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La danza educativa si afferma sempre di più come uno strumento di grande valore pedagogico, in grado di favorire il benessere psicofisico e la crescita personale degli studenti. Ne è un esempio il progetto “Quello che ci muove”, recentemente concluso presso l’Istituto Comprensivo “Severi” di Arezzo, che ha portato il linguaggio del corpo e la magia del movimento tra i banchi di scuola, grazie al sostegno del bando «Per Chi Crea», promosso da SIAE e MiC.
Il progetto, coordinato da Ilaria Gradassi e Marcella Manco, insegnanti della secondaria Severi, in collaborazione con l’Associazione Sosta Palmizi, ha coinvolto oltre 125 studenti in laboratori pratici e più di 600 ragazzi come spettatori degli spettacoli della rassegna Sosta presso il Teatro Mecenate. Grazie a una rete di collaborazioni con il Comune di Arezzo, la Fondazione Guido d’Arezzo e altre realtà artistiche locali, i partecipanti hanno esplorato il valore della danza come strumento di espressione personale e collettiva.
Riportiamo qua l’intervista alle docenti.
Potete raccontarci come è nato il progetto, la collaborazione con Sosta Palmizi e come è stato strutturato tutto il percorso di “Quello che ci muove”?
ILARIA «In realtà la proposta è arrivata dall’Associazione Sosta Palmizi, una realtà che si occupa di promozione della danza contemporanea a livello nazione e attiva ad Arezzo come residenza artistica».
MARCELLA «Sì, e in passato avevamo risposto al Bando Siae lavorando sulla linea cinema, perché nella nostra scuola secondaria c’è un indirizzo musicale multimediale, nel quale lavoriamo entrambe, creando numerose opportunità di approfondimento per i ragazzi che hanno incontrato registi, produttori, truccatori, esperti di effetti speciali e doppiaggio e si sono anche cimentati più volte, in prima persona, guidati da professionisti, nella produzione di cortometraggi. Supportate dalla nostra Dirigente Scolastica, che ci ha dato grande fiducia, abbiamo riflettuto a lungo, per capire se fosse la scelta giusta per la nostra scuola, visto che non abbiamo un indirizzo coreutico, e la sfida ci è sembrata non solo interessante, ma totalmente significativa. In primo luogo, proprio dentro la scuola, abbiamo la fortuna di avere il teatro Mecenate, che favorisce l’incontro dei bambini e dei ragazzi con le produzioni teatrali, la musica e la danza ed è proprio lì che ogni anno la rassegna di Sosta Palmizi, che frequentiamo e amiamo da sempre, si apre alle scuole con le matinée offrendo una ricca offerta culturale anche alle scuole».
ILARIA «Ci sembravano già ottimi motivi, ma c’era di più. Abbiamo pensato, infatti, che bambini e ragazzi stavano pagando gli effetti della pandemia da SARS-CoV-2, mostrando grandi difficoltà sulla capacità naturale di entrare in contatto fisico ed emotivo all’interno di gruppi di pari. La danza, abbiamo pensato, forse poteva essere un linguaggio che avrebbe permesso loro di riappropriarsi della capacità di ascoltare il proprio corpo, esplorarne le potenzialità e mettersi in relazione con lo spazio e con i corpi degli altri. Quello che abbiamo fatto con Silvia Taborelli (referente per Sosta Palmizi) e Marcella è stato intrecciare e mettere in dialogo storie e competenze diverse».
MARCELLA «Pur venendo da mondi e esperienze diverse, infatti, eravamo d’accordo sul voler creare un ventaglio di proposte per gli studenti del nostro istituto ricco sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: dalla visione gratuita di spettacoli di danza di altissimo livello alla partecipazione a workshop e percorsi di movimento, fino anche all’esplorazione dei molti modi di raccontare il corpo, il movimento e la danza con le immagini e con le parole, quindi sia dal punto di vista grafico-pittorico che narrativo, mettendo in campo capacità, competenze ed esperienze personali di ciascuna di noi. Questo è stato importante in fase progettuale, ma anche in corso d’opera: la squadra di professionisti coinvolti ha dato sfumature e contributi importantissimi».
Come hanno reagito i bambini e i ragazzi al loro primo approccio con la danza educativa? Ci sono stati cambiamenti evidenti nel loro comportamento o nel loro modo di esprimersi?
I. «Tutte le proposte hanno avuto successo. Ci sono state sempre partecipazione attiva, entusiasmo, nonché stupore sia da parte degli iscritti che delle famiglie. La danza, ci siamo rese conto, è ancora troppo pensata e immaginata in maniera tradizionale e stereotipata e molti studenti – di varie età e di entrambi i sessi – ci hanno raccontato che non sapevano bene cosa aspettarsi dai laboratori e che sono rimasti positivamente sorpresi dai contenuti. “Non sapevo che si potesse ballare in così tanti modi”. “Non volevo che finisse”. “Faremo altri laboratori così?” “Ho trovato nuovi amici”.
Ecco, nuovi amici e nuovi modi di stare insieme: ciò che ci aveva motivati, cioè il bisogno di riappropriarsi dei corpi e della capacità di metterli in relazione con lo spazio e con gli altri, ha dato esiti positivi. Già durante le varie attività ci è sembrato di notare un’espansione della capacità di ascoltare i propri corpi, ad avvicinarsi a quelli degli altri; ad essere “presenti”, ascoltarsi, ripensarsi: questo sia nei gruppi-classe che in quelli misti, in continuità verticale. Il nuovo anno scolastico, in particolare, ha reso tangibili alcuni effetti positivi: non soltanto sono famiglie e studenti ci hanno chiesto se il progetto sarebbe proseguito, ma abbiamo soprattutto osservato i bambini delle classi quinte della scuola primaria che avevano partecipato al progetto entrare nelle nostre classi a settembre in prima media: erano visibilmente pronti, abbastanza sereni e piuttosto sicuri nel muoversi negli spazi che avevano già frequentato con i compagni più grandi – l’atrio, il teatro, la biblioteca, i bagni. E il primo giorno di scuola, qualcuno, già aveva qualche amico più grande da salutare nei corridoi».
Che ruolo hanno avuto le famiglie nel sostenere e partecipare al progetto? Avete ricevuto feedback da loro?
M. «Le famiglie hanno compreso l’alto valore della proposta e ci hanno sostenuto moltissimo. Le proposte laboratoriali si sono svolte in alcuni casi al mattino, ma quando sono state più corpose sono state programmate di pomeriggio, in orario extrascolastico. Questo per noi è importante, perché favorisce l’incontro e lo scambio tra bambini e ragazzi di età e classi diverse, l’iscrizione ragionata, con interesse e motivazione forte, e si sposa con una visione di scuola “abitabile”, aperta anche al pomeriggio, che propone esperienze culturali e di socializzazione. D’altro canto, però, questo richiede la flessibilità delle famiglie, che devono riorganizzarsi internamente, accompagnarli, venire a prenderli in orari e, a volte, luoghi diversi».
Quali difficoltà avete incontrato nell’integrare la danza educativa all’interno del percorso scolastico e come le avete superate?
I. «Forse le maggiori difficoltà sono state quelle di tipo organizzativo: un progetto così grande comporta un impiego enorme di tempo ed energie da parte di chi coordina e mette in piedi le attività. Noi, non va dimenticato, siamo insegnanti e abbiamo impegni e orari quotidiani mattutini e pomeridiani da rispettare. Ogni proposta di percorsi come questo, però, va presentata a studenti, famiglie e colleghi, spiegata bene, promossa e seguita in ogni sua parte, se se ne vogliono raccogliere i frutti».
M. «Spesso ci siamo ritrovate a lavorare al progetto per interi weekend, durante le vacanze o dopocena ma tanto era l’entusiasmo che alla fine l’abbiamo fatto volentieri».
La danza educativa ha un forte aspetto inclusivo. Come si è concretizzato nel vostro progetto?
I. «Oltre ad essere insegnante di sostegno, personalmente mi occupo di progettazione e realizzazione di laboratori legati alle immagini e alla parola da venticinque anni e ho fiducia totale nel loro potere in qualità di spazi di ricerca e crescita. Nel laboratorio tutti i partecipanti partono dallo stesso livello: non ci sono prerequisiti, non occorre avere voti alti in una disciplina o in un’altra. Ciò che conta è mettersi in gioco e essere curiosi. A scuola, insieme a Marcella abbiamo proposto e realizzato con successo percorsi pomeridiani per realizzare murales, libri in copia unica fatti a mano, cortometraggi e persino una scacchiera gigante per scacchi-umani. Non si offrono ricette per diventare artisti – ballerini, attori, scrittori, illustratori o grandi registi – ma opportunità per sperimentare. Ed è così che spesso emergono doti inaspettate e talenti nascosti. Nella danza, ma in tutte le arti».
M.«Naturalmente questo percorso era aperto a tutti e infatti hanno partecipato anche alunni con disabilità e di culture diverse. Tutti si sono messi alla prova, hanno superato incertezze e punti di debolezza e si sono lasciati andare alle emozioni».
Qual è stato il momento più sorprendente o inaspettato che avete vissuto durante il progetto?
M. «Come referente dell’indirizzo multimediale, confesso che per me è stato particolarmente emozionante il racconto audiovisivo del progetto, frutto di un laboratorio per gli studenti e le studentesse del nostro corso condotto dagli esperti dell’associazione Macma, che hanno saputo cogliere e mostrare la bellezza e il valore di questa iniziativa. Per me è stato un crescere, un divenire e ho iniziato in “punta di piedi” perché per me era un salto nel buio. Non mi ero infatti mai occupata di danza se non come spettatrice ma poi, via via, vedendo i risultati dei laboratori mi sono resa conto che le scelte che avevamo fatto erano quelle giuste».
I. «Io invece da piccola, oltre che scrivere e leggere, volevo ballare e diventare una ballerina… La sorpresa, per me, è stata quella di poter far rientrare la danza nella mia vita in altre forme, proprio grazie ai libri e grazie ad alleanze e percorsi in cui piccoli corpi e piccoli piedi segnano sentieri nuovi e lasciano tracce luminose».
Se doveste ripetere o ampliare il progetto, quali nuovi elementi o attività aggiungereste e perché?
«Siamo soddisfatte di quello che è accaduto. Non si tratta, forse, di aggiungere, ma di proseguire, rendendo questo tipo di esperienza stabile nella nostra scuola, in nuove forme, con vecchi e nuovi partecipanti e nuovi professionisti. Per crescere insieme».