di Massimo Faggioli
18 Luglio 2005
La tematica relativa ai Learning Object (LO) è al centro di un’ampia discussione. Dopo una prima fase di avvio su piccola scala delle sperimentazioni di e-learning, ci si è resi conto che le piattaforme di formazione che nascono per soddisfare le esigenze di singoli progetti hanno un forte tendenza centrifuga, tendono cioè a modellarsi sul contesto per cui sono state progettate.
Il fatto può rappresentare un forte ostacolo per la riusabilità dei contenuti e dei materiali formativi e compromettere uno dei più allettanti vantaggi commerciali dell’adozione di sistemi di formazione online: l’economia di scala, la possibilità di usare i componenti in formato digitale riassemblandoli in nuovi contesti. L’idea vincente sembra essere allora quella di separare la piattaforma di formazione, con la sua struttura, l’organizzazione gerarchica dei moduli, dai contenuti finali, dagli oggetti di insegnamento/apprendimento. Ecco quindi comparire questa nuova entità, il LO, definito come un oggetto:
· in formato digitale · destinato in modo esplicito all’apprendimento, · autoconsistente, · modulare · riusabile.
Proprio perché il LO nasce come un oggetto la cui caratteristica fondante è la riusabilità, l’analisi si è orientata in primo luogo sulla definizione di un linguaggio condiviso per l’indicizzazione che ne permettesse la recuperabilità in un sistema di database online, e, in secondo luogo, sulla definizione di uno standard per la descrizione della struttura interna. Sia nel primo caso (metadata) che nel secondo (SCORM e altri standard) si tratta di sistemi capaci di adattarsi a oggetti che nascono in contesti diversi e con intenzioni educative anche molto distanti.
Ma il limite più grande di questi sistemi sta forse nel fatto che essi sono pensati per favorire un sistema globale di distribuzione, quindi più mirati sugli aspetti esterni del LO, come la modularità o l’autoconsistenza, mentre tralasciano del tutto gli aspetti interni. Del resto, all’idea di LO si accompagna il disegno (o l’utopia?) di un sistema di repository interconnessi su Internet, contenenti LO che possono essere ricercati (magari via XML), scaricati e riassemblati per comporre nuovi corsi. Si arriva così a parlare di un sistema di “mattoncini di lego”, oggetti educativi che offrono gli incastri naturali per una ricomposizione infinita di entità più complesse.
E’ naturale associare un sistema di questo tipo alle intuizioni di Ted Nelson, che a metà degli anni sessanta prefigurava un sistema ipertestuale di interconnessione tra nodi di conoscenza, che riassumesse e rendesse disponibile tutto il sapere. Xanadu, l’ipertesto globale di Nelson, non è stato mai realizzato, ma ha rappresentato una tappa fondamentale nello sviluppo dell’idea di ipertesto e di rappresentazione reticolare della conoscenza. Non a caso si è tornati a parlarne ancora quando, 30 anni dopo, si è verificato il vertiginoso sviluppo della rete Internet con il World Wide Web. Anche in questo caso si è verificato un fenomeno capace di prefigurare la realizzazione dell’ipertesto globale, con conseguenti facili entusiasmi per la presenza di una rete capace di rendere potenzialmente disponibile per tutti la conoscenza a costo zero.
Ma è evidente che anche l’overflow di informazione offerto dalla rete pone nuovi problemi all’utente che ricerca informazioni e materiali e che cerca di riorganizzarli nell’ambito di propri obiettivi di conoscenza. Sono i problemi che derivano dal rapporto informazione/rumore (quante, tra le informazioni che trovo, sono quelle che mi servono veramente?), i problemi dell’ attendibilità delle fonti (quanto sono certo che l’informazione che trovo sia corretta?), i problemi di significatività degli oggetti (quale “consistenza”, quale qualità ha l’informazione che ho trovato?). Non a caso stiamo assistendo a continui tentativi per creare strumenti di ricerca sempre più raffinati, che operino in modo intelligente, dalle strategie del web semantico ai motori basati sui modelli dell’intelligenza artificiale.
Quando si passa da un sistema globale altamente eterodiretto come la rete Internet a uno fortemente indirizzato al mondo dell’educazione e della formazione come quello che dovrebbe sostenere la distribuzione dei LO, il problema è ancora più complicato. La rete Internet, scandagliata in modo mirato, può rappresentare un repository diffuso e potenzialmente infinito di tasselli di conoscenza utili per costruire LO.
Tuttavia i L.O. non sono costituiti da semplici somme o combinazioni di informazioni, sono invece materiali che nascono con esplicite intenzioni formative, messe in gioco da coloro che li progettano e li realizzano; queste intenzioni si imprimono all’interno del LO e ne modellano la struttura e il senso. E poiché è indubbio che non esista una forma univoca di “intenzione formativa”, ma che al contrario è proprio su questo punto che si sostanzia la differenza tra le varie teorie pedagogiche di sfondo, è altrettanto indiscutibile che chi progetta e modella LO vi imprima la propria strategia educativa, che il prodotto porterà con sé.
Sarebbe molto utile allora, non limitare l’analisi dei LO ai loro caratteri esterni (sono autoconsistenti? Sono modulari? Quale è il livello di granularità che li qualifica?...) ma portare la discussione anche su quelli interni (quale strategia formativa portano con sé? Quali modelli di apprendimento propongono? Come interagiscono con il contesto? Sono indirizzati all’autoformazione individuale o al lavoro di una comunità di apprendimento?).
Un’indagine di questo genere porterebbe sicuramente a concludere che i “mattoncini di lego” non si incastrano poi così bene come crede chi pensa di aprire un mercato del LO distribuito per via telematica, con l’accesso a oggetti che sono potenzialmente i frammenti di un’enciclopedia planetaria. Questa è infatti una visione che dà per scontato un azzeramento delle problematiche che forzosamente e giustamente gli educatori/i formatori si pongono, accingendosi a introdurre nuove tecnologie della comunicazione nel proprio contesto professionale.
Se queste problematiche sono al centro dell’attenzione nel mercato dell’e-learning, che proprio per questo stenta a decollare nel nostro paese, a maggior ragione lo sono nel mondo della scuola. Qui infatti il modello pedagogico è sempre al centro della ricerca e dell’innovazione e le infatuazioni tecnologiche in quanto tali sono destinate a vita breve. LO destinati alla scuola, sia per la formazioni dei docenti e in genere del personale scolastico sia per il sostegno al lavoro degli studenti, devono nascere in modo coerente con le linee di sviluppo di un ambiente abituato a crescere e a evolversi con la ricerca pedagogica.
Sarebbe dunque un avvilimento dell’idea stessa di e-learning il ridurne il ruolo a strumento che assembla corsi costituiti da dispense elettroniche di informazioni, magari utilissime di per sé, ma che non interagiscono con il contesto della formazione. Sarebbe un ritorno all’idea dei sistemi di e-learning basati sul paradigma dell’economia, per cui la formazione a distanza sarebbe essenzialmente un modo per raggiungere in modo economico ed efficiente un gran numero di soggetti in formazione geograficamente lontani.
Questo aspetto, che pure non va sottovalutato, rappresenta oggi un punto di partenza da cui avviare la progettazione. I passi successivi sono l’individuazione delle modalità con le quali dare attuazione all’idea del learning by doing, la creazione di modelli di integrazione delle attività del gruppo in aula e della comunità virtuale in un processo di blended learning, lo sviluppo di comunità di pratiche in cui la conoscenza che entra dall’esterno viene messa in rapporto con quella che deriva dall’esperienza professionale dei soggetti in formazione ed elaborata in nuovi processi di sintesi.
“Aprire” i LO, andare a vedere come affrontano questi aspetti o il loro modello pedagogico di riferimento può portare a ridurre molto le superfici di “incastro”. E’ tuttavia questo un passaggio ineliminabile se si vuole suscitare un interesse reale da parte del mondo della scuola verso un contesto come quello dell’e-learning che viene accolto in modo ancora tiepido da chi si occupa di educazione.
L’esperienza condotta da Indire, con lo sviluppo dell’ambiente PuntEdu, è partita con l’uso di una piattaforma erogativa su software commerciale, che tuttavia conteneva già ambienti e suggestioni per attività di tipo laboratoriale. Il primo impatto con l’utenza scolastica ha rafforzato questo approccio, fornendo gli stimoli per sviluppare una ricerca di soluzioni innovative, sempre più vicine alle esigenze del mondo della scuola. La riflessione e la ricerca sul modello di formazione ci ha portati a definire l’ambiente di apprendimento come un sistema a legami deboli, un luogo in cui l’individuo e il gruppo di cui fa parte non vengono messi di fronte a un percorso obbligato, ma sono invitati a svolgere un ruolo attivo nella personalizzazione del percorso formativo e nell’elaborazione della conoscenza.
Di nuovo c’è la ricerca di un modello formativo coerente con il modo di operare del docente nel proprio contesto professionale: un processo di costruzione della conoscenza che si muove in modo circolare, che si alimenta con le migliori esperienze professionali, le rielabora in un contesto attivo e le mette in relazione con gli sviluppi della ricerca teorica elaborando sintesi condivise.
Tutto ruota quindi intorno alla riflessione sui modelli operativi: primo fra tutti il concetto di “learning by doing”, come garanzia che il nuovo sapere possa effettivamente tradursi in nuovi comportamenti professionali. Ecco dunque che fin dalle prime esperienze di e-learning, sempre in modalità blended, nell’ambiente PuntoEdu è stata introdotta una distinzione tra “laboratori”, i LO veri e propri, oggetti che propongono al soggetto in formazione attività da svolgere, e i “materiali di studio”, contenenti informazioni e contributi teorici utili allo sviluppo delle conoscenze. Tra le due categorie è stato creato un rapporto di dipendenza ben preciso: al centro dell’ambiente sono state collocate le proposte di attività, i materiali di studio sono collegati ai percorsi di laboratorio per essere consultati dal corsista nel momento in cui ne rileva la necessità, quando sente l’esigenza di un supporto teorico per lo svolgimento del compito.
E’ una scelta di campo molto forte che approfondisce il concetto di LO legandolo alla dimensione dell’attività. La ricerca condotta da Indire ha dunque come esito la proposta di un definizione di LO che identifica questa entità non solo per il fatto di essere un oggetto formativo autoconsistente, modulare e riusabile, ma anche e soprattutto perché propone una strategia operativa, un percorso di learning by doing.
E’ un passaggio che ci porta a ridurre in modo significativo la compatibilità tra gli oggetti, e quindi la riusabilità, la possiblità di creare gli “incastri dei mattoncini”. Questi incastri funzionano infatti solo se gli oggetti condividono, accanto ai caratteri esterni (la descrizione, i termini usati per l’indicizzazione) linee guida interne, il modello operativo, l’idea di formazione. E’ un prezzo da pagare per riportare il tema dell’interoperabilità e dello scambio di LO in una dimensione realistica e praticabile.
di Massimo Faggioli [m.faggioli@indire.it]
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