di Rudi Bartolini
02 Marzo 2007
Se osservassimo un ragazzo, o una ragazza, delle scuole medie fare i compiti, quasi sicuramente lo vedremmo leggere il libro di testo, guardare la televisione mentre ascolta musica con l’i-pod e durante tutto questo inviare mail, ricevere telefonate e sms sul cellulare, inviare istant message e chattare con gli amici o i compagni di scuola. Un brodo multimediale in cui le giovani generazioni sono immerse in tutta la loro quotidianità e non solo nelle attività legate alle scuola.
Il Washington Post in un recente articolo parla, a proposito, di multitasking, cioè la capacità dei ragazzi di svolgere più attività contemporaneamente, in un ambiente con molti media e usando diversi linguaggi. Un’indagine della Kaiser Family Fondation rivela che durante lo studio il 65% dei ragazzi fa ‘altre cose’ utilizzando più media e sottolinea come le camere dei ragazzi siano oggi diventata dei veri e propri media-center.
E’ dunque più che legittimo domandarsi quanto questa frammentazione dell’attenzione influenzi lo sviluppo dei giovani, le loro analytics skills e il loro senso critico.
Pensando alla metafora di Marshall Mcluhan, che vedeva i media come estensioni del nostro corpo e nervi, potremmo chiederci se tutto ciò porterà ad un potenziamento delle capacità cognitive dei ragazzi, quindi ad un’estensione positiva oppure se gli stimoli eccessivi porteranno a difficoltà nell’apprendimento, una sorta di estensione degenerativa dei nostri sensi, o infine ad un vero e proprio mutamento cognitivo, se non addirittura genetico, tutto da indagare, caso in cui ci troveremmo di fronte ad un’estensione definibile come “generativa”.
Queste riflessioni sono state sviluppate in un articolo di Alessandra Retico, uscito sul quotidiano Repubblica, dal titolo “Arriva la generazione web troppi stimoli, e il cervello cambia”, che cita importanti ricerche internazionali sulle problematiche in questione.
Secondo gli studi dello statunitense Jordan Grafman, neuroscienziato cognitivo al National Institute of Neurological Disorders and Stroke, col multitasking è assai difficile apprendere le cose in maniera approfondita e ci si accontenta di un livello superficiale di investigazione e conoscenza.
Una ricerca condotta dalla Ucla (University of California, Los Angeles) ha mostrato che nel procedimento sequenziale di apprendimento e in quello multitasking lavorano due parti distinte del cervello. Nella prima modalità è impegnato l’ippocampo, che immagazzina e gestisce i ‘dati’ richiamandoli all’occorrenza in diversi contesti; la seconda, invece, si appoggia sullo striato, l’area addetta alle azioni ripetitive e abituali, molto meno flessibile. Ne consegue che i multitasker avranno più difficoltà a utilizzare quanto appreso in situazioni nuove e fuori contesto.
David Meyer, direttore del Brain, Cognition and Action Laboratory all’University of Michigan, sottolinea il pericolo di una conoscenza poco approfondita, aggiungendo che i ragazzi cresciuti facendo multitasking probabilmente si troveranno a loro agio in un contesto che richieda di fare molte cose insieme ma ciò non significa che le loro performance sarebbero peggiori se procedessero facendo una cosa alla volta.
I ragazzi considerano tale comportamento connaturato al loro ambiente “naturale”, spesso mostrando una notevole consapevolezza; ad esempio Gwen, 14 anni, dell’West Potomac High School sostiene di studiare da sola col libro per preparare gli esami, ma di fare multitasking per i compiti più semplici.
Forse cerchiamo ancora di interpretare fenomeni nuovi utilizzando vecchi schemi. Le nuove tecnologie ci pongono di fronte a cambiamenti profondi che coinvolgono i comportamenti, i modi di comunicare e apprendere, i linguaggi dei giovani e probabilmente le loro stesse strutture cognitive. Occorre allora smettere di chiedersi se questo “ambiente ibrido”, che mixa realtà e realtà digitale, fa bene o male ai ragazzi e invece cercare risposte e soluzioni nuove per affrontare gli scenari futuri.
Su questa strada ci spinge anche un’importante sperimentazione della British Columbia University, citata recentemente da Newsweek, che mostra come il cervello di studenti sottoposti a "disturbi ambientali" lavori in maniera migliore. Secondo i ricercatori la mente umana lavora meglio non se opera linearmente ma quando procede in maniera disordinata (o apparentemente tale). Dunque le attività multiple dei cosiddetti digital native, i loro pensieri e gesti contemporanei, sono non solo portatori di disordine ma anche di potenzialità creative e forza “generatrice”.
Il dibattito sull’apprendimento futuro dei New Millennium Learners resta pertanto aperto e ricco di suggestioni e interrogativi alla ricerca di risposte che, per essere trovate, necessitano del coraggio di una nuova visione.
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BIBLIOGRAFIA
Ghassemi Jeffrey, I Said, 'Not While You Study!', The Washington Post, 5 settembre 2006
Graham R., Kingsley SW., Media multi-tasking changing the amount and nature of young people’s media use: Bedrooms have become multi-media centers, Kaiser Family Fondation, 2005
McLuhan Marshall, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967
Mithers Carol, The Multitasking Mess, UCLA Magazine, 2007
Retico Alessandra, Arriva la generazione web troppi stimoli e il cervello cambia, Repubblica Tecnologia&Scienze, 27 febbraio 2007
Rubinstein, J. S., Meyer, D. E., Evans, J. E., Executive Control of Cognitive Processes in Task Switching, in Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance, Vol. 27, No. 4, August 2001
Wolpert Stuart, Don’t Talk to a Friend While Reading This; Multi-Tasking Adversely Affects the Brain’s Learning Systems, UCLA Scientists Report (UCLA Newsroom), 2006
The Perils of Order, Newsweek, Marzo 2007
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