di Roberto Maragliano
09 Marzo 2010
L’impegno delle Università all’interno dell’iniziativa “Cl@ssi 2.0” prevede il coinvolgimento di una sede per ciascuna delle regioni interessate cui è affidato il compito di sostenere le attività delle classi di scuole secondarie di I grado, in misura di sei o dodici a seconda dell’ampiezza e della densità di popolazione scolastica della regione di riferimento.
Più specificamente la struttura universitaria è invitata a:
- offrire alle classi il supporto scientifico nell’attività di progettazione,
- garantire assistenza durante la fase di attuazione del progetto,
- partecipare al gruppo di lavoro regionale e prende parte alle discussioni nell’ambiente online,
- curare la descrizione dei progetti inseriti dalle scuole nell’archivio nazionale.
Com’è risaputo, e come viene ribadito dal Protocollo d’Intesa tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, la Fondazione Giovanni Agnelli e la Fondazione per la San Paolo in relazione all’incarico, affidato a queste ultime, di collaborare ad un'azione di valutazione indipendente del progetto, le scuole coinvolte provvedono alla progettazione e alla messa in atto di un modello ad un tempo didattico, tecnologico e organizzativo il cui scopo dichiarato è di configurare un “ambiente nuovo” per l’apprendimento, che dunque non si limiti a garantire un uso costante a diffuso delle tecnologie digitali e telematiche ma che abbia in sé la capacità di misurarsi con i problemi posti dalla trasformazione in atto dei linguaggi della comunicazione e della diffusione dei saperi. Di conseguenza, il supporto scientifico che l’Università è impegnata a garantire alle classi tocca diversi aspetti delle questioni in gioco. Alla luce dell’esperienza fin qui maturata a contatto diretto e telematico con le scuole, ma anche in considerazione dello stato ancora di avvio di un progetto che prevede un’articolazione triennale e che, avendo a che fare con una realtà dinamica e imprevedibile come quella dei media digitali, non può preventivamente darsi una programmazione rigida degli interventi, ritengo utile mettere in evidenza due temi dei quali sarebbe arduo sottovalutare la dimensione aperta e reticolare.
Il primo si collega al fatto che i due interventi complementari del Piano di diffusione delle LIM e dell’iniziativa Cl@ssi 2.0 (facenti capo al medesimo Piano per l’Innovazione Digitale nella Scuola) ufficializzano, per così dire, l’ingresso delle tecnologie digitali all’interno dello spazio della classe, con ciò riqualificando la funzione di tali strumentazioni da risorse specialistiche, tipiche di un’attività “da laboratorio”, a risorse generali, aperte ad una molteplicità di usi, di tutti e per tutti. Occorre riconoscere adeguata evidenza, io credo, a questo passaggio, e a ciò che esso comporta, in una visione reticolare, per la vita quotidiana di docenti, studenti e famiglie e per le trasformazioni che interessano il ruolo e l’immagine attribuiti a tali strumentazioni. Su questo terreno, che è anche quello del confronto delle idee e degli orientamenti ideologici, è opportuno che l’azione delle Università sia orientata a far giustizia di pregiudizi tuttora molto diffusi in ambito pedagogico, e in particolare a mettere in forse l’ancora ricorrente abitudine a chiamare in causa presunte “diavolerie tecnologiche” e usarle come alibi per giustificare difficoltà nelle pratiche di insegnamento e apprendimento. Sul questo versante, che è quello dell’immagine pubblica delle tecnologie digitali e del loro rapporto (di sostegno? di disturbo?) rispetto all’apprendimento, occorre tenere costantemente desta l’attenzione su quanto (anche in maniera non del tutto disinteressata) viene costantemente dibattuto all’interno dei mass media, mettendo in evidenza quando possibile la differenziazione dei pareri e delle posizioni, e non da ultimo la loro provenienza (tra l’altro, potrebbe essere una buona occasione per aiutare la popolazione scolastica ad orientarsi dentro la geografia dei media). Per fare un esempio attuale a questo proposito, è certamente significativo che dalla stessa tribuna di stampa vengano, nel medesimo periodo, accenti così diversi come quelli concentrati in due titoli ad effetto come”L'era dell'homo zappiens. I ragazzi ‘nati digitali’ sviluppano abilità intellettuali (e biologiche) diverse. Così le tecnologie ‘ricablano’ il nostro cervello e disegnano un'altra specie” e “Ho un video prof: le lezioni sono via web”: l’accostamento di due flash così dissonanti è significativo non solo di un confronto pubblico aperto, che comunque va al di là della disputa fra chi nelle macchine vede il male e chi ci trova il bene, ma dice molto anche a proposito delle diverse disposizioni “d’ascolto” che sono in gioco, e invita a non sottovalutare il fatto che il secondo titolo, decisamente più propositivo, viene dalle pagine di un supplemento femminile del quotidiano in questione, e quindi riflette una maggiore attenzione al rapporto fra ambiente scolastico, ambiente domestico e ambiente urbano (per un approfondimento di questa non banale questione rimando qui).
Ecco, il sostegno scientifico delle Università è bene che sia attento anche a tali questioni di fondo: per progettare e costruire un ambiente didattico sereno, capace di accogliere e valorizzare serenamente le tecnologie digitali e le sensibilità ad esse connesse, occorre che sia portato un contributo di serenità e chiarezza sul fronte della circolazione generale delle idee e che questa azione contribuisca attivamente a rasserenare la condizione professionale dei docenti e dei dirigenti disposti ad accettare la sfida di far convivere, nell’azione didattica quotidiana, le “nuove” con le “vecchie” e sempre vitali tecnologie. Ciò va ribadito anche in relazione ad un altro problema, che è quello di disporsi a ripensare, alla luce di un uso continuativo delle risorse digitali, il rapporto tra tempo di lavoro scolastico e tempo di lavoro domestico (del docente come dello studente, ovviamente!). Nell’esperienza fin qui maturata nella regione Lazio da chi scrive e dal suo gruppo di riferimento il tema appena toccato, vale a dire l’ingresso del digitale nello spazio di classe, ha avuto riscontri differenti, ma sempre fecondi, sia in relazione alle attività talora promosse in ordine ad un fattivo coinvolgimento delle famiglie nello spirito e nell’articolazione operative delle iniziative, sia in relazione alle iniziative assunte da qualche dirigente per far condividere alle altre classi della scuola parte delle risorse e delle attività promosse nell’ambito dell’iniziativa della classe.
Il secondo tema che affronto qui è quello al quale la documentazione di riferimento riconosce maggiore rilievo pedagogico, cioè la questione dell’ambiente nuovo da costruire nelle cl@ssi. E’ un nodo di rilievo che intreccia, com’è evidente, la componente fisica e materiale (quali strumentazioni acquisire, dove e come disporle per un uso continuativo, quale struttura garantire alle attività di gruppo) con la componente culturale (che cosa fare e far fare con tali strumentazioni, e che rapporto stabilire fra le diverse forme e i diversi contesti materiali dell’apprendimento, come valorizzare le esperienze dell’apprendimento collettivo in ordine alla promozione dell’apprendimento individuale); per non dire della componente psicologica (che spazio di libertà e autonomia concedere a chi, pur essendo studente, ha spesso maggiore familiarità con gli ambienti digitali di quella del docente) e di quella epistemologica (come innescare su una base di familiarità elementi di consapevolezza non solo riguardo all’uso ma anche alla funzione sociale dei media della comunicazione, di tutti davvero: stampa, a cominciare dal libro e soprattutto dal libro di testo, ma poi anche tv, pc e rete, e, ovviamente, anche cinema, teatro, stadio, piazza, in una prospettiva di educazione piena alle diverse espressioni della cittadinanza, reale e virtuale). In una logica di sistema, quale è quella favorita dalla consuetudine con le pratiche di rete, questi diversi aspetti non possono essere trattati separatamente e se questo avviene, anche per ragioni dovute alle economie e alle competenze differenziate in fatto di analisi e di decisioni, occorre prevedere le conseguenze che anche il più semplice e apparentemente “normale” intervento produce sull’ ambiente nel suo complesso: per intenderci, anche la più banale delle decisioni sulla collocazione fisica della LIM (in quale parete e rispetto a quale usi), se affrontata in questo quadro di “complessità”, smette di essere un fatto marginale per rivestirsi di significati impegnativi sul versante della correttezza e dell’agibilità pedagogica del progetto.
Su tale versante occorre, io credo, mettere più in evidenza di quanto non si è riusciti a fare fin qui la centralità del problema della piattaforma. Provo a motivare questa affermazione. E parto dalla considerazione, incontestabile, dell’ancora limitata partecipazione al confronto dentro la piattaforma predisposta dall’Agenzia Scuola per l’iniziativa Cl@ssi 2.0. E’ un problema di quantità ma anche di qualità: se per un verso gli interventi nelle diverse sezioni in cui si articolano gli spazi della piattaforma risultano di numero relativamente limitato, soprattutto tenendo conto che si è in presenza di una comunità nazionale costituita da circa millecinquecento soggetti, per un altro verso non può essere trascurato il fatto che tale resistenza a prendere la parola denuncia una cultura, tuttora molto radicata, che nutre scarsa fiducia se non sospetto nei confronti di esternazioni pubbliche di problemi, quando invece è nella logica della rete (e dello stare dentro uno stesso ambiente di comunicazione) condividere analisi, questioni e soluzioni. Su questo fronte, che chiamerei della sensibilizzazione di docenti e dirigenti scolastici a forme di comunicazione meno ufficiali e burocratiche di quelle consuete, dunque più orientate alle logiche dell’interazione tra pari (il mio è anche il tuo problema, la mia potrebbe essere anche la tua soluzione, e viceversa), il compito di sostegno culturale da parte delle Università si presenta molto impegnativo (anche perché, questo va detto, nemmeno in sede accademica, almeno nel nostro paese, un tale principio si è pienamente affermato). Ma potrebbe essere un impegno destinato a dare risultati altamente positivi, almeno in prospettiva, contribuendo alla crescita di un modo di intendere l’autonomia non già come autosufficienza né come copertura verbale di un rapporto di dipendenza ma come occasione reale per un dialogo costruttivo tra soggetti diversi che individuano e praticano liberamente spazi di reale collaborazione. Prima di approdare alla logica conclusione di questo ragionamento sulla questione “piattaforma”, e coinvolgere dunque lo spazio della didattica e delle sue delimitazioni, voglio toccare se pur brevemente una questione di fondo, che è politica, certamente, ma forse anche più che politica: la etichetterei, se nessuno si offende, come “antropologica”. Riguarda la soggettività dell’insegnante, il quale insegnante non può acquisire esperienza e confidenza nei confronti delle tecnologie digitali se parallelamente alla sua identità professionale non riesce a mettere in gioco la sua identità di cittadino maturo e consapevole dell’universo mediale. Non smetterò mai di sostenere che, oggi, chiunque di noi riesce a capire le molte possibilità dei nuovi mezzi digitali (e fare giustizia delle relative insidie, distinguendo quelle reali da quelle fittizie) se tali mezzi li usa in modo “normale”, dunque se li fa normalmente entrare nei suoi spazi di vita quotidiana, e soprattutto se vi fa ricorso per i suoi personali interessi, prima che per le esigenze del servizio professionale del quale deve dar conto. La molla che più efficacemente spinge un adulto all’uso delle tecnologie comunicative è la curiosità: curiosità non solo per i mezzi stessi, ma anche e soprattutto per le prospettive e le nuove angolazioni con cui può guardare ai temi che gli sono cari e che lo appassionano. Solo se uno è curioso, curioso sulle “cose sue”, solo se è sospinto da questa molla, azzarda, prova, si confronta gioca e si mette in gioco anche con i nuovi media. Tra i possibili esiti in positivo dell’iniziativa Cl@ssi 2.0 non escluderei questo aspetto, aspettandomi (e comunque lavorando per ottenere) un incremento della consapevolezza dell’inestricabile intreccio fra “pubblico” e “privato” che è proprio dell’abitare (e non soltanto utilizzare) le tecnologie di rete. Come ho anticipato, concludo con qualche osservazione sulla piattaforma didattica. Da parte delle classi contattate c’è molto interesse per singoli elementi o oggetti destinati ad arredare il nuovo ambiente, talora c’è anche un impegno a far sì che taluni elementi o oggetti siano condivisi e dunque “lavorati” dai diversi docenti del consiglio di classe, ciascuno per la parte di sua competenza disciplinare e tecnica, ma altrettanto impegno e altrettanta consapevolezza va sollecitata (di nuovo, è richiesto un impegno esplicito delle Università) nei confronti del tema della delimitazione/strutturazione dell’ambiente di virtualizzazione della cl@sse. In altri termini, benissimo che ci si doti di LIM (se già non sono disponibili), o di netbook per gli usi individuali degli studenti o di notebook per le attività di gruppo, e pure di lettori/registratori multimediali d’ogni tipo, pure includendo quelli incorporati nelle “aborrite” consolle di gioco o negli “aborriti” telefonini, ma è bene che le comunità in via di formazione siano aiutate a comprendere che c’è una soluzione con cui affrontare per tempo i problemi legati all’esigenza di tesaurizzare quanto docenti e allievi fanno giorno per giorno con queste risorse e per tenere sotto controllo la gran quantità di azioni e interazioni che comporta il praticare lo spazio della classe come nuovo ambiente mediale (non escludendo l’esigenza di tenere distinte le prerogative e le responsabilità di scuola e di famiglia riguardo ai comportamenti di rete del ragazzo). Questa sta nella scelta da parte della cl@sse di dotarsi di una piattaforma per la didattica, dentro la quale sia possibile svolgere e integrare le attività di insegnamento e apprendimento che interessano le componenti digitali e telematiche del progetto, e, in una prospettiva che sia sensibile allo sviluppo delle logiche di rete, si possa prevedere di allestire spazi differenziati per le comunicazioni/collaborazioni tra docenti interessati allo stesso progetto (della stessa cl@sse, o anche di altre), per le interazioni/condivisioni di esperienze tra allievi appartenenti a cl@ssi diverse del progetto nazionale, per le comunicazioni tra scuola, famiglie e territorio.
Roberto Maragliano è Professore ordinario di Tecnologie dell'Istruzione presso l'Università di Roma 3
Partecipano al progetto le seguenti Università per ogni Regione:
Piemonte, Politecnico Torino, Prof. Mario Ricciardi Lombardia, Cattolica Milano, Prof. Piercesare Rivoltella Lombardia, Bicocca Milano Prof. Paolo Ferri Veneto, Scienze della Formazione Padova, Prof. Luciano Galliani Liguria, Scienze della Formazione Genova, Prof.ssa Renza Cerri Emilia-Romagna, Scienze dell’educazione Bologna, Prof. Luigi Guerra Toscana, Scienze della Formazione Firenze, Prof. Luca Toschi Lazio, Scienze della Formazione Roma 3, Prof. Roberto Maragliano Umbria, Scienze della Formazione Perugia, Prof.ssa Floriana Falcinelli Marche, Scienze della Formazione Macerata, Prof. Pier Giuseppe Rossi Abruzzo, Scienze della Formazione Chieti, Prof. Gaetano Bonetta Molise, Scienze della Formazione Campobasso, Prof. Guido Gili Campania, Sociologia Napoli, Prof. Gianfranco Pecchinenda Puglia, Scienze della Formazione Foggia, Prof. Pierpaolo Limone Basilicata, Scienze della Formazione Matera, Prof. Giuseppe Spadafora Calabria, Scienze dell'Educazione Reggio Calabria, Prof.ssa Giovannella Greco Sicilia, Scienze della Formazione Palermo, Prof.ssa alessandra La Marca Sardegna, Architettura Sassari, Prof. Tagliagambe Friuli Venezia Giulia, Scienze della Formazione Udine, Prof. Lucio Cottini
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