di Rudi Bartolini
19 Gennaio 2012
Viviamo in una società profondamente interconnessa, dove i fenomeni sociali e le sfide, presenti e future, travalicano gli ambiti nazionali. L’Unione europea è una realtà e mai come adesso ci accorgiamo della centralità del suo ruolo nell’affrontare le questioni internazionali e locali. Anche il dibattito su quella che viene chiamata la “Dimensione europea dell’educazione” è più che mai attuale. Ed importante. Gli aspetti sono molti: il rapporto fra politiche europee e nazionali, i saperi e le competenze su cui necessario puntare, il trasformarsi degli apprendimenti, un sistema di valutazione condiviso dei risultati raggiunti dai vari Stati membri in ambito educativo, le forme di cooperazione. Come si pone di fronte tutto ciò la nostra Scuola e come può svilupparsi un’autentica cittadinanza europea? Ne parliamo con Antonio Giunta La Spada che, in collaborazione con Francesca Brotto, è autore della recente pubblicazione 2020: i sentieri dell’Europa dell’Istruzione. La scuola nella cooperazione europea.
Formazione ed educazione nella storia dell’Unione europea sono sempre state appannaggio delle politiche nazionali, ma oggi si parla sempre più di “dimensione europea dell’educazione”, cosa si intende?
Parlare di “dimensione europea dell’educazione” oggi, in un momento di crisi economica, è abbastanza difficoltoso. Però, se occorre recuperare le radici profonde che stanno alla base dell’Unione europea, è bene discutere di questo concetto anche se è difficile individuarne i contenuti. Dobbiamo richiamarci a una risoluzione dell’88 dei ministri dell’istruzione che parlarono di valori, di motivazioni, di conoscenze; la “dimensione europea dell’educazione” deve essere parte integrante delle politiche nazionali, ma soprattutto deve coinvolgere i processi motivazionali e partecipativi delle nuove generazioni e deve anche sviluppare la ricerca di contenuti disciplinari nuovi. Per quello che riguarda i valori, ovviamente, si fa richiamo al riconoscimento del pluralismo, al rispetto dell’identità degli altri, della libertà e dei diritti fondamentali, ma anche all’educazione alla pace, alla tolleranza, alla solidarietà. Per quello che riguarda invece lo sviluppo e la ricerca di contenuti disciplinari nuovi, è evidente che nel 2011 non è più possibile pensare a una letteratura, a una lingua, a una storia, a una geografia, alle scienze esatte, a un’economia, alle matematiche, che non vivano di una dimensione internazionale integrata alla nazionale. Questi aspetti che riguardano il quadro valoriale, le motivazioni, i contenuti, sono l’insieme degli elementi che determinano lo sviluppo di una dimensione educativa europea.
Quali sono i saperi e le competenze su cui l’Europa punta per il futuro?
Possiamo dire che l’Europa intende soprattutto sviluppare quelle competenze che ogni cittadino europeo dovrebbe possedere per la propria realizzazione personale, anche in termini occupazionali, e per la coesione sociale dell’Europa stessa. Quindi si vuole coniugare insieme occupabilità, integrazione dei mercati, ma anche cittadinanza e sviluppo personale. Se ci richiamiamo a una raccomandazione del 2006, l’Europa rinvia a uno sviluppo di conoscenze di base nella matematica, nelle scienze, nelle ecologie, oltreché nella madrelingua e nelle lingue straniere. Sono queste le competenze base che riguardano le discipline. Ma abbiamo anche il richiamo a delle competenze trasversali e non solo formali: occorre imparare ad apprendere, occorrono competenze sociali e civiche, occorre uno spirito di iniziativa e imprenditorialità. Queste sono competenze trasversali che dovrebbero aiutare ogni giovane cittadino europeo a padroneggiare i fattori dell’ “evoluzione” e quindi a stare meglio con se stessi e meglio nella società. L’attuale crisi economica pone da una parte un problema di scarsità di risorse da investire nei vari settori (economici e sociali), dall’altra l’esigenza di una politica europea comune più coesa e decisa.
Può questa situazione critica far emergere, nei decisori e nei cittadini, la consapevolezza di dividere un destino comune e rappresentare quindi anche un’opportunità per impegnarsi con più determinazione nello sviluppo di un’identità comune, di una “vera” cittadinanza europea? E come iniziare se non consolidando proprio la “dimensione europea dell’educazione”?
Ovviamente in una fase economica di fortissima recessione, in cui parlare di Europa significa parlare di indicatori economici, di banche e di sacrifici da fare per poter restare dentro l’Unione, è più difficile capire quali siano i vantaggi e i benefici derivanti dal nostro stare in Europa. In questo senso, penso che l’educazione possa giocare un ruolo fondamentale nel far germogliare elementi costruttori di identità e dare contenuti a un concetto di cittadinanza europea che si sostanzi in una pluralità di appartenenze. Essere cittadino europeo non significa stare dentro una fortezza, ma avere una pluralità di appartenenze in cui si giocano diverse identità assieme. E proprio tra l’adesione a principi e valori universali e condivisi e la valorizzazione delle realtà nazionali e regionali sta la questione dell’identità europea. Ovviamente questo processo, questo discorso, va sviluppato e va sostenuto.
E come? Quali, secondo Lei, le azioni da intraprendere nell’immediato per sviluppare questo percorso di crescita comune nel settore della formazione e dell’educazione?
Soprattutto facendo sì che la dimensione europea dell’educazione continui il suo cammino di sviluppo attraverso:
- progetti di partenariato in cui partecipino scuole italiane assieme ad altre scuole straniere. Facendo sì che questi progetti entrino nella programmazione ordinaria delle scuole stesse per valorizzane l’offerta formativa. In tal modo si crea un patrimonio per le scuole che viene anche offerto alle famiglie, le quali avranno maggiori e migliori possibilità di scelta; - un sostegno alla mobilità degli studenti, dei docenti, dei ricercatori. Una mobilità che sia soprattutto riconosciuta e garantita da indicatori di qualità;
- la promozione di processi di partenariato con il territorio, dove è fondamentale il rapporto con la dimensione territoriale e la sinergia con soggetti diversi, e il sostegno alle scuole e alle reti di scuole operanti autonomamente.
Tutto questo deve essere anche un obiettivo delle politiche nazionali (sappiamo che è un discorso difficoltoso, perché, in tutti i paesi, l’educazione è un parametro dell’identità nazionale e l’istruzione non è politica comune). Ritengo infatti che in queste azioni ci siano elementi in grado di costituire un volano forte per lo sviluppo della dimensione europea dell’educazione. Anche perché l’esperienza dimostra che le migliaia di progetti di cooperazione realizzati da scuole, università, centri di formazione e di ricerca hanno costituito un formidabile tessuto connettivo, un primo nucleo della cittadinanza europea a cui si richiama l’Unione stessa.
Di fronte a queste sfide, come si pone la Scuola italiana?
La scuola italiana può dare delle risposte molto positive e già le sta dando. C’è una grande voglia di Europa da parte delle nostre scuole, lo dimostra il loro elevato livello di partecipazione, sia quantitativo che qualitativo, nei processi richiamati sopra. Le nostre scuole hanno dato prova di grandi capacità e professionalità e l’Italia è in testa nelle graduatorie europee come numero di progetti presentati e numero di progetti autorizzati. Tuttavia occorre impegnarsi ancora di più nella valorizzazione di queste esperienze, facendo emergere il capitale sommerso e invisibile di questi progetti, attraverso una documentazione strutturata che aiuti a valutare la fruibilità in contesti diversi da quelli di origine delle esperienze e dei modelli realizzati. L’esperienza finora è molto positiva, occorre che queste iniziative vadano a sistema e che questo processo sia sostenuto e migliorato da parte delle politiche nazionali e regionali.
Si ascolti l'intervista in formato audio mp3.
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