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EDUCAZIONE DEGLI ADULTI

Le ricerche e le politiche EdA in Italia

Estratti dal rapporto dell'Incontro Nazionale di Lavoro svoltosi a Napoli lo scorso Dicembre

di Francesco Vettori
01 Marzo 2004

Il rapporto dell'incontro nazionale su "Le ricerche e le politiche EdA in Italia", curato da Bruno Schettini, titolare degli Insegnamenti di Pedagogia generale e sociale e di Educazione degli adulti alla Seconda Università di Napoli e da Filippo Toriello, docente di Teoria pedagogica e di Storia delle istituzioni educative alla Scuola Interuniversitaria Campana di Specializzazione all'Insegnamento


I potenziali utenti: un bisogno emergente a macchia di leopardo

Dalle ricerche emerge chiaramente che il diritto all’apprendimento permanente non segue una logica territoriale o una suddivisione politico-isitituzionale. Piuttosto, questo bisogno di formazione, riferibile a persone reali, appare dislocato in “aree socio-economiche molto differenziate e caratterizzate da percorsi formativi eterogenei, oltre che, ovviamente, da bisogni personali e quindi da vincoli oggettivi e soggettivi di varia natura” (Cfr, ISFOL, L’offerta di formazione permanente in Italia. Primo rapporto nazionale.Volume I. Risultati dell’indagine, Roma, settembre 2003, p. 154). 
Dalla ricerca ISFOL sulla domanda sociale e i percorsi di formazione permanente emergono dati interessanti che fanno riflettere sulla situazione dell’Educazione degli Adulti in Italia. La ricerca punta, per esempio, i riflettori sui titoli di studio. Il 30% degli intervistati possiede la licenza elementare; il 29/30% la licenza media; il 30% il diploma di scuola secondaria superiore; solo il 9/% possiede la laurea .
Questi dati diventano ancora  più significativi se si considera un altro elemento emerso: il 33% del campione di età compresa tra i 45 e i 54 anni possiede solo la licenza elementare (Cfr, ISFOL, La domanda sociale e i percorsi di formazione permanente. Primo rapporto nazionale. Volume I e II).

Ma cosa accade a chi decide di rientrare nel sistema di istruzione?
Il 17/% è rientrato, ma solo il 6% ha conseguito il titolo di studio per il quale ha deciso di tornare a studiare. In effetti, il livello di abbandono è molto alto. Un intervistato su tre possiede competenze di lingua straniera e a livelli diversi. Il 17% ha partecipato ad attività formative per un interesse personale, senza nessuna causa necessitante. Le aree di interesse vanno da quella estetico-musicale allo sport, da quella culinaria all’informatica.
Un dato importantissimo: i più giovani sono quelli più scolarizzati (fino a 44 anni): questo dato rivela l’importanza della formazione iniziale. In effetti, più si è adulti più si ha difficoltà; più si approfondisce più si vuole approfondire.
Circa l’83% della popolazione intervistata è fuori dal circuito formale e non formale. Il 43% è molto interessato. L’interesse scende con l’aumentare dell’età. Gli interessi rispecchiano il percorso formativo frequentato.
“Dai dati dell’ultimo monitoraggio sulle attività dei CTP si osserva, infatti, una netta preponderanza dei corsi ‘brevi’ di alfabetizzazione funzionale, a cui partecipa una quota consistente di diplomati, pari al 50% degli utenti complessivi; a questa si deve aggiungere una quota pari a circa il 10% di utenti con elevato titolo di studio. Quanto di più lontano, dunque, dalla tradizione dell’EdA italiana, che trent’anni fa dedicava le proprie attività al recupero dell’alfabetizzazione primaria per gli esclusi dai processi formativi” (Cfr, ISFOL, L’offerta di formazione permanente in Italia. Primo rapporto nazionale.Volume I. Risultati dell’indagine, Roma, settembre 2003, p. 156).

Stessi risultati emergevano dall’analisi dei dati settoriali riguardanti i CTP, gli istituti scolastici, le associazioni di volontariato sociale, le università popolari della terza età, del tempo libero, le biblioteche comunali ... Dati che fanno riflettere molto sul ruolo e sulla funzione dell’EdA e sul ruolo e sulla funzione dei decisori politici e sulla necessità di un ripensamento dell'EdA stessa, intesa sia come disciplina che come prassi. I bisogni di EdA, in effetti, nel loro aspetto di domanda sociale, culturale e politica “spingono” a  un ripensamento del rapporto tra politica ed educazione.
In che termini questo rapporto interrotto può costituire, grazie all’EdA, un modo per riformulare obiettivi, modalità, strumenti condivisibili per il teorico della politica e quello dell’educazione, per l’amministratore locale e per l’educatore-formatore che agisce sul campo? Qui la discussione si fa serrata.


Informazione: la maggior parte degli adulti “non sa” 

Dalle ricerche emerge chiaramente la difficoltà di un’informazione corretta e capillare. Gli adulti, parafrasando il Libro Bianco.pdf (24960)della Cresson , “non sanno”, non conoscono le opportunità di offerte formative e/o i luoghi deputati alla formazione degli adulti. Dalla ricerca ISFOL, La domanda sociale [...] emerge che il 56% non sa indicare organizzazioni pubbliche o private che possano fornire informazioni o orientare l’utenza verso percorsi formativi per adulti. Inoltre, un dato, che sembrerebbe secondario ma non lo è, mostra che poco più della metà non conosce il dispositivo del congedo per la formazione. Quella che è una grande conquista dell’educazione permanente, diventata poi politica dell’educazione, viene vanificata dalla scarsa informazione e comunicazione. Sicuramente, qui emerge un problema  più generale, legato alla messa in opera di processi di orientamento che accompagnino l’adulto nel corso della sua vita. Il problema di fondo non è solamente individuabile nella semplicistica osservazione-richiamo alla necessità di maggiore comunicazione. Il problema riguarda un aspetto più profondo del “modo di fare-offrire formazione” degli e per gli adulti [...].

Dalla ricerca ISFOL sulla domanda sociale “si evince che una quota consistente del campione intervistato non è conoscenza di quali siano i luoghi deputati alla formazione per l’età adulta e quali siano le strutture di orientamento a disposizione dei potenziali utenti per ottenere informazioni e suggerimenti sulla possibile costruzione di un iter formativo da seguire” (Cfr, ISFOL, L’offerta di formazione permanente in Italia. Primo rapporto nazionale.Volume I. Risultati dell’indagine, Roma, settembre 2003,p.157).


Potenziare il ruolo delle dimensione locale

E’ qui che si gioca la funzione del 'livello locale' dell’EdA; la dimensione locale dovrebbe preoccuparsi, in maniera particolare, di far circolare l’informazione riguardo alla diversa tipologia di offerte formative. L’informazione dovrebbe, inoltre, riguardare non solo i corsi attivabili, ma i possibili percorsi verso i quali gli adulti, attraverso un processo di auto-orientamento, potrebbero avviare il proprio itinerario formativo.
Solo così ha senso il principio pedagogico della centralità del soggetto adulto (e non) che apprende, un'idea a cui molti studiosi di EdA e di educazione permanente si rifanno, cercando di sgomitolare il concetto di apprendimento permanente. Sotto questo aspetto il livello locale ha responsabilità precise e cruciali per qualsivoglia percorso di EDA. Spesso, a livello locale – si è osservato unanimemente – si nota una sovrapposizione di offerte formative per cui si hanno situazioni del tipo: tutti gli erogatori di offerte formative propongono corsi di informatica o di lingua straniera, ecc. In ciò lo scollamento domanda-offerta è ben visibile. Esso si accentua, in maniera preoccupante, se si pensa che si verifica, nella maggior parte dei casi, un rapporto positivo tra domanda ed offerta solo quando la domanda è medio-alta. La domanda più debole resta, quasi automaticamente, inevasa. Ciò significa che rimangono fuori dal processo di offerta formativa proprio quei bisogni, quelle domande, peraltro legate a soggetti concreti e individuabili (coloro che hanno avuto insuccessi scolastici, i soggetti più anziani, gli emarginati di sempre) che hanno bisogno di un lavoro profondo di investigazione e di riflessione attenta.
Ancora una volta la dimensione locale su questo aspetto della formazione degli adulti può essere decisiva, specialmente se “per la domanda debole l’EdA si lega all’azione sociale”: solo se questo legame ridiventa fattivo e costruttivo (in particolare con la realizzazione di “accordi, convenzioni locali”) sarà possibile raggiungere e, possibilmente, soddisfare i bisogni inespressi di soggetti come i carcerati o i droup-out. Se si pensa che “circa 35 mila persone escono ogni anno dalla scuola, senza licenza media” si capisce perché il compito del livello locale è un compito che non può essere svolto da livelli diversi e di per sé incapaci di “arrivare alle persone concrete del territorio” [NdC: le parole tra virgolette di questo paragrafo sono di Fiorella Farinelli, rappresentante dell’A.N.C.I. nazionale all’Incontro di lavoro].

Questa situazione problematica ne richiama, immediatamente, un’altra, quella riguardante la certificazione delle competenze. Riconoscere ad un adulto i crediti acquisiti nei diversi ambiti (formale, informale e non formale) significa pensare alla codificazione di indicatori capaci di legittimare tutto il processo di valutazione della certificabilità delle competenze, specialmente per quelle “guadagnate” personalmente .
Cosa fare affinché “tutti conoscano”, per evitare così nuove divisioni ed esclusioni sociali?
Inoltre, dovremmo considerare un problema di fondo: c’è scarsità di informazione non solo a causa di eventuali inadeguatezze dei sistemi di comunicazione, ma anche a causa del basso livello di istruzione-formazione degli adulti. Quest'ultimo assunto sembra valido se si riflette sul fatto che in Italia – avendo come dato 22 milioni e mezzo di adulti che versano nell’analfabetismo, nel semianalfabetismo o che possiedono la sola licenza elementare – noi “non abbiamo alfabetizzato gli adulti, abbiamo solo aspettato che morissero". Infatti, se in 10 anni abbiamo guadagnato solo un 6% (dal 46% al 40% di riduzione dell’analfabetismo) non c’è da stare allegri. Sono dati certamente incontrovertibili in quanto provenienti da quelli ISTAT sulle forze lavoro nel 2000. Pur con le indicazioni strategiche dell’Unione Europea, che vorrebbe entro il 2010, per l’80%, il raggiungimento di un titolo secondario superiore, ci si ritrova, comunque, di fronte ad una reale e accertabile tendenza: “una quota ancora troppo consistente di giovani lascia il sistema formativo senza aver ottenuto il diploma o la qualifica. Tale quota andrà ad ingrossare le fila di quella popolazione adulta provata dall’insuccesso formativo” (Cfr, ISFOL, L’offerta [...] pag. 152).


Conclusione. Al di là dei dati …

Riflettere sulle prassi, sulle politiche di EdA è un’operazione di pensiero non certo facile. A parte l’indubbia difficoltà nell’interpretare e offrire proposte per il futuro, il problema riguarda il lavoro di riflessione che lo studioso dell’educazione deve offrire per rilanciare ipotesi interpretative.
Fondamentalmente, come afferma il prof. Bruno Schettini nelle conclusioni dell’incontro, c'è da chiedersi a che cosa l’educazione debba legarsi. Essa si lega, in definitiva, alla domanda di senso dell’uomo, di tutti i luoghi e di tutti i tempi della storia. Ecco, allora, che gli stessi termini-concetti quali educazione, istruzione e formazione, avendo contesti e significati diversi, lasciano il campo aperto alla ricerca che non è da considerarsi mai conclusa una volta e per tutte, così come ci ricorda l’epistemologia contemporanea.
In una società complessa, definita con un paradigma ormai di moda, quale quello di "società della conoscenza", è opportuno chiedersi quale rapporto vi sia e quale quello più adeguato, in termini educativo-formativi, tra formazione di base e formazione specialistica. Esse non sono alternative, non si escludono a vicenda. La formazione include la domanda di senso, di trasformazione delle persone e vi contribuisce in vari modi. Ecco, allora che, nella prospettiva della domanda di senso, va deciso quale economia privilegiare per l’uomo: un’economia di produzione o un’economia di sfruttamento?
E’ in base a questa scelta che ogni educatore, ogni pedagogista può diventare un “nuovo maestro del sospetto” dei nostri tempi, un narratore di “verità” che abbiano forza emancipativa. Ecco, dunque, tre nuclei tematici su cui riflettere:

• la formazione umanistica si configura come formazione alla criticità, formazione ad una coscienza terrena, terrestre, mondiale;
• la formazione è formazione alla responsabilità come capacità di porsi la domanda/e di senso. Questo significa lottare, nelle forme democratiche e civili, per riscattarsi da ogni forma di schiavitù;
• la formazione è azione che produce  reddito, lavoro. Per questo non c’è opposizione - e non vi può essere - tra formazione umanistica, formazione scientifica e formazione tecnologica.

Qual è, allora, il senso dell’Educazione degli Adulti oggi? Educare gli adulti oggi significa responsabilizzarli, fare in modo che ognuno possa dare il massimo delle sue potenzialità senza, per questo, perdere la propria dignità di uomo.
La formazione  diventa, secondo Schettini, un vero e proprio cammino autobiografico individuale, esistenziale, antropologico, culturale, ma anche professionale e lavorativo nel senso più generale e specifico del termine.

Scarica l'intero Rapporto Incontro Nazionale 51203.doc (94208) 

 

Editing a cura di Francesco Vettori, redazione di webzine [f.vettori@indire.it]


 

 
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