di Francesco Vettori
06 Luglio 2004
Derrick De Kerckhove ha accettato un incontro presso la sede di Indire a Firenze che ha offerto l'occasione per una sua intervista condotta dal Professor Luca Toschi dell'Università di Firenze. Per scelta di entrambi è stata condotta in italiano e seguendo uno stile del tutto informale.
Di seguito riportiamo il solo passaggio* sul rapporto inedito che si è venuto stabilendo, secondo l'artista, fra Arti, Tecnologie e Forme di Comunicazione. 
Quanto ha contato e quanto conta la competenza che Tu hai dell'Arte, delle Arti e dei Linguaggi Artistici?
Infatti questo è fondamentale, mi viene dalla mia famiglia perché i mei genitori erano molto interessati all'arte - questo è vero - ma mi viene anche di natura perché ho lavorato con Lui (McLuhan) per dieci anni e mi diceva sempre: " è vero che nel mondo naturale la sola persona che vive nel presente è l’artista, tutto il resto vive nel passato "; l’artista vive nel presente - deve sopravvivere - per conoscerlo bene, per il suo lavoro di essere … della realtà, di provare la realtà, di trovare gli strumenti che cambiano la realtà.
Io ho sempre trovato molto più l'intuizione (fonte) di conoscenza nell’arte, anche di verificazione delle cose che penso, ed anche la fisica mi interessa molto; l’arte fondamentalmente è la dimensione metaforica della nostra vita, è quella che interpreta gli impatti della tecnologia, che interpreta di fatto la cognizione della nostra realtà, però oggi dobbiamo estendere molto di più le dimensioni artistiche, molto di più di quello che abbiamo ricevuto dai nostri genitori e altri.
L'arte oggi deve contenere anche la musica popolare, anche la creazione spontanea, tutta la rete contiene forme artistiche spettacolari: il blog è una forma artistica, … è una forma artistica, c’è anche l’arte dell’intelligenza; l’arte di strumenti di produzione di questa connetività che viene con il mondo digitale. Noi vediamo estendere il mondo dell’arte molto più avanti di quello che abbiamo conosciuto e che è stato consacrato a Firenze per esempio, per i beni culturali.
Ma Firenze ha fatto molto bene questo passaggio verso una concezione allargata dell’arte e anche la tradizione di Firenze è enorme, sul piano della responsabilità è enorme, la quantità è enorme, la qualtà è enorme, tutto qui a Firenze è enorme: sul piano artistico questo vuol dire sempre una valutazione sul nostro valore umano, sulla nostra conoscenza, questo ritratto è fondamentale qui. Io sono stato a Firenze su problematiche artistiche, sempre, sono venuto a Firenze almeno una ventina di volte, e sempre sulla dimensione artistica, o per il passaggio dal passato al presente o al futuro, o per parlare come oggi dell’arte e della tecnologia, o per parlare del museo.
C'è davvero una dimensione, per me un’ossessione, artistica a Firenze e a me piace senz’altro.
Le nuove tecnologie sembrano poter rendere tutti più artisti, e questo viene visto con diffidenza, forse il problema è …
Penso che la problematica sia questa ma non viene solo dal calcolatore. Questo (microfono) è il più grande aiuto che esista, perché cambia la voce che non ha interesse in una voce che ha interesse per la musica, per la discussione pubblica, per il talk-show; l’amplificazione della voce che viene dal microfono dà una professionalità anche alle voci.
Per esempio ci sono voci come Elvis, Lucio Dalla o Adriano Celentano; e invece ci sono voci che sono terribili, mostruose ma sono perfette in quel momento. La voce di Madonna è meno bella per me ma è molto aiutata dall’estensione e dal microfono, la voce viene così fuori con un’estensione tecnica e con una professionalità che non è necessariamente presente dentro la qualità dell’artista.
La stessa cosa è per il mondo digitale, nel senso che c’è dentro un programma di creazione digitale: generalmente una professionalità inerente. La macchina fa bene un disegno, un calcolo, una proporzionalità, ci sono tante cose che la macchina sa fare meglio di te.
Sul piano puramente professionale vuol dire che ognuno di noi, quando facciamo la nostra prima web-page, non abbiamo nessun merito poiché la macchina ha fatto tutto, la macchina ci dà un’apparenza di professionalità e di competenza propria che va più avanti della tua competenza organica.
Però che succede? All’inizio della rivoluzione del calcolatore, prima della rete, io ricordo che (l'espressione artistica) coincideva con il movimento punk, era un’arte dell’imprecisione, era una reazione alla facilità della macchina che diceva: “Io posso fare tutto”, dalla quale derivava la moda punk, della cosa rotta, della cosa non finita, e c’era un momento che è durato due o tre anni, di grande interesse per questo rifiuto della tecnicità dello strumento artistico. Vogliamo dire che siamo tutti artisti? Chi lo sa!
Ci sono tante strategie di produzione che ti danno l'impressione di essere artista, ma in effetti l’artista ci vuole ma non c’è.
Io una volta, mi ricordo, che ero scontento del fatto che penso sempre ad un’opera artistica, per esempio per me il villaggio globale è un’opera artistica. MI sono trovato un giorno alla scuola di Belle Arti di Montpellier con molti studenti che si interessano molto ai problemi dell’artista, e dicevo: a me dispiace molto essere professore, preferirei essere un artista, e un ragazzo: bravo! Ti faccio un diploma immediatamente; quando ero al ristorante scriveva: da adesso il professore De Kerckhove, da adesso, è un artista! Io adesso sono artista.
Se tu ti senti artista, va bene, sei artista; però se tu vivi per l’arte, è un’altra cosa.
Quanto conta oggi l’importanza della cultura dell’errore, la cultura di vivere l’errore come una risorsa?
Questa è un’altra idea che ho sull’uso dell’ignoranza: dentro un gruppo di lavoro infatti è importante avere, dentro ciascun gruppo di lavoro, una persona che non conosce le cose. Penso che, si dice, anche nel pensiero industriale e economico produttivo americano che è meglio sbagliarsi una decina di volte per capire la propria strada, perché può esserci la possibilità di trovare un cambiamento totale alla strategia del progetto.
Io non ho paura di sbagliare nel mio italiano, io parlo sempre l’italiano sbagliando; mi diceva una persona molto gentile che io parlo un italiano sbagliato però un italiano di qualità sbagliato; più raffinato con gli sbagli, che un italiano corretto ma non raffinato; io non ho paura dell’errore, l’errore è contenuto dentro la strada giusta: è una felix culpa!
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