Approfondimento

“Percezione del rischio e del pericolo”: intervista al ricercatore Indire Francesco Vettori

La percezione del rischio e del pericolo. Come la scuola interviene nella formazione dei ragazzi.

 1) Qual è la percezione del pericolo nei più giovani e come si trasforma crescendo?
Le reazioni al rischio e al pericolo scattano, prima di tutto, grazie a un meccanismo istintivo che nell’individuo si manifesta in maniera immediata, anche senza rendersene conto. Pensiamo per esempio al panico, anche nelle sue forme collettive. Questi aspetti sono imprescindibili proprio perché irriflessi e servono a conservare la specie, acquisiti come sono nel corso di millenni. Quando invece parliamo di percezione del rischio e del pericolo ci muoviamo su un diverso piano, quello dei processi culturali più differenziati, che variano nel tempo e nello spazio, quindi da società a società e anche al suo interno, da classe sociale a classe sociale. L’argomento è molto interessante poiché riguarda intimamente l’individuo, legatissimo alla specie, se consideriamo i meccanismi istintivi di protezione, e il gruppo cui appartiene, all’interno del quale qualcosa è percepito, secondo abitudini di tipo chiaramente culturale, in gradi diversi come pericoloso. Stesso discorso può farsi quando si guarda alla sviluppo biologico e cerebrale del bambino, che modifica anche la percezione del pericolo, e constatando molto banalmente che non vive mai completamente isolato, la sua sicurezza dipende da tutto ciò che lo circonda. La scuola dell’obbligo, così come si è evoluta dall’unità d’Italia ad oggi, quindi come la concepiamo noi, ha sicuramente una marcata funzione parificatoria fra i valori, anzi i diritti, che dovrebbe contribuire a conservare: uno dei primi è la sicurezza. Inoltre, proporne un’idea più intelligente e comprensiva, grazie alla quale la sicurezza diventa uno stile di vita, alla base della salute e del benessere. Considerando la parte normativa in materia, che ha nel protocollo da seguire la sua più estesa applicazione, si tratta senza dubbio di istruire prima che di educare. Quando una situazione di rischio è stata riconosciuta, essa va per legge normata. La scuola istruisce, per parte sua e per quanto può, aiuta ad affrontarla e, meglio ancora, a prevenirla. Ciò è fuori discussione. Però si pongono, oltre al resto, almeno due ordini di problemi:  primo, tutte le norme non riescono a prevedere tutte le situazioni di rischio o di pericolo. In sostanza c’è una parte di imprevedibilità che la norma non copre, allora, si passa a una situazione ulteriore, quella della gestione dell’emergenza. In questo caso, oltre ai protocolli, interviene una conoscenza di tipo esperienziale, in cui le parti emotive, relazioni empatiche emergono a fronte delle cognitive. In ambito scolastico, pensiamo a quanto importanti siano le testimonianze dirette delle vittime di incidenti stradali.

2) Può l’educazione modificare la tendenza all’imitazione, così sviluppata fra i giovani?
Quello dell’imitazione è un tema fondamentale. Spesso i nostri comportamenti si originano da meccanismi irriflessi che coinvolgono la parte non razionale di cui parlavamo prima. Uno dei tratti distintivi degli incidenti è la velocità con cui accadono, tanto che non si ha il tempo di rendersene conto. L’imprevedibilità richiede, per essere fronteggiata, un’esecuzione rigorosa, attenersi a delle prescrizioni che prevengono la rapidità e velocità dell’imprevisto. Il senso del protocollo, nato dall’esperienza, è questo. Stabilito che le situazioni di rischio e pericolo vanno prevenute grazie ad uno stile di vita che ci accompagna sempre, faremo il passo ulteriore e cioè imparare a distinguere fra pericolo e rischio. È importante ribadire, però, che la componente di imprevedibilità non deve essere assolutamente rimossa, men che meno a scuola, e per questo avere familiarità con le proprie reazioni istintive è un compito difficile ma da riportare in primo piano, anche a scuola. Peraltro quando sono state riconosciute delle situazioni di pericolo, esse vanno assolutamente normate per legge.

3) Istruzione ed educazione intervengono a mediare fra parte cognitiva e quella istintiva: un compito condivisibile per una scuola futura?
La realtà è stratificata anche in termini di percezione della salute e della sicurezza, e lo stesso fatto che si parli di percezione lo conferma. Nondimeno la sicurezza costituisce una parte essenziale della nostra vita e perciò qui deve intervenire anche la scuola. Va sottolineato che i concetti di salute e sicurezza non sono fissi nel tempo e nello spazio ma si trasformano considerevolmente, tanto più perché coinvolgono la vita di tutti i giorni. Semplificando molto, se la parte istintiva vale per tutti, la percezione del rischio e del pericolo sono atti eminentemente culturali, connotati socialmente. La nostra scuola, per ragioni anche condivisibili, privilegia la parte cognitiva lasciando spesso in secondo piano quella emozionale e istintiva: quando ci troviamo in situazioni di rischio e pericolo, queste parti riemergono. Direi che la scuola, in questo senso, fa parte di un sistema culturale da cui è fortemente influenzata, basti pensare alla fine che hanno fatto discipline come la musica, la danza, l’esercizio fisico, insomma tutte quelle che comportano un forte coinvolgimento fisico e un senso collettivo di appartenenza.

4) Individuare i pericoli ed essere abituati a farlo può essere un fattore determinante per la sicurezza propria e di chi ci sta accanto ?
Fra pericolo e rischio le differenze concettuali sono marcate. Il pericolo è una prova a cui volontariamente ci si espone e che  il soggetto affronta consapevolmente, quindi un “far esperienza della difficoltà”. Il rischio invece è indipendente da noi, ci mette in una situazione tale che non siamo capaci di  affrontarlo, perché appunto impreparati. In più, la sfera pubblica oggi perde sempre più valore e questo comporta una diminuzione nella considerazione, se non nel rispetto, dell’altro. L’assunzione di comportamenti rischiosi, tanto per il singolo quanto per tutti quelli che non rientrano nella sua sfera privata, passa certamente per una sottovalutazione dell’importanza del pubblico. Quello della sicurezza è un tema fondamentale, che costringe a confrontarsi con la realtà: se ti insegnano una cosa e poi, al di fuori di quel contesto, valgono regole opposte a quelle imparate, chi o cosa seguire? Educare alla sicurezza, istruire al rischio e al pericolo significa anche sostenere che, per ottenere risultati, occorre cambiare mentalità: il rispetto delle regole, perché ne derivano benefici, per me e per tutti, e quindi il senso di appartenenza sono fondamentali. È un altro aspetto della credibilità, quella per esempio, di chi ha vissuto in prima persona e ha sperimentato situazioni di rischio.

5) Quanto è importante sviluppare a scuola una cultura della sicurezza, senza dare nulla per scontato?
Se si parla ai ragazzi bisogna farlo con le loro parole e confrontare continuamente la realtà ideale a quella effettuale. Ripeto il tema della sicurezza è un tema essenziale, fondativo, vitale. Va affrontato tutti i giorni, in termini di stile di vita, spiegando, e non soltanto con protocolli e prescrizioni, che sta alla base della salute e del benessere fisico e psichico di ciascuno di noi.

Francesco Vettori