Approfondimento

Spiegare a scuola le atrocità del terrorismo

“Maestra, come fai tu a non avere paura?”
“Ma quello che è accaduto ricomincerà? Questa è la guerra?”
Sono alcune delle domande che arrivano dalle scuole francesi e di molti altri Paesi europei.
Tra di voi, chi ha visto le immagini dell’attacco alla televisione?” (25 alunni di 6 anni, 23 mani alzate); emerge così la voce unanime e orgogliosa degli insegnanti: “Oggi ho amato il mio lavoro ancora più degli altri giorni”.
Gli attentati di Parigi dello scorso 13 novembre hanno minato sicurezze e abitudini di parte della società occidentale e si tratta di un fenomeno che dovrà essere affrontato per diverso tempo, ma sono soprattutto i più giovani a trovarsi confusi davanti a gesti così violenti e alle implicazioni che sono in gioco.
Diversi quotidiani hanno riportato come il lunedì successivo agli attentati, i docenti sono stati travolti dalle domande dei ragazzi che a tutti i costi volevano provare a capire non solo cosa era successo, ma anche come sarebbe cambiato il loro modo di vivere.
È  quindi la scuola, in questi casi d’emergenza, che può provare a raccogliere il compito di far chiarezza, stimolando la riflessione proprio nei momenti in cui l’emotività rende faticoso il “pensare critico”.
In Francia il Ministero dell’Istruzione ha invitato genitori e insegnanti a parlare tra loro, per adottare le giuste strategie di comunicazione.
La rivista per bambini Astrapi ha proposto un opuscolo di due pagine scaricabile in formato pdf. La speciale edizione è adatta anche a una lettura autonoma a partire dai 7 anni. Un’attenzione particolare è dedicata alle parole difficili, come terrorista, Stato islamico e jihadista, e alle domande che potrebbero fare, come “è la terza guerra mondiale?” o “i terroristi di venerdì sono degli amici di quelli di Charlie Hebdo?”.
Ascoltando il parere di esperti, il Time ha stilato una lista di consigli ripresa dalla rivista Internazionale.
L’approccio da seguire dipende dall’età dei ragazzi, ma la prima regola, è trovare il tempo per rispondere alle domande con calma e chiarezza.
Se per i bambini in età prescolare, che spesso possono confondere i fatti con le paure, si può evitare di parlare di certe notizie e di aggiungere dettagli solo in risposta a domande dirette, per gli altri, la protezione dalla realtà indebolisce. Al tempo di internet e del mondo digitale, infatti, l’atto censorio si rivela velleitario oltre che dannoso perché rende i ragazzi incapaci di decodificare i messaggi a cui sono esposti; conoscere la realtà, per quanto complessa e a volte atroce sia, facilita il cammino individuale nel mondo.

  • Bambini tra i sei e i dieci anni. Secondo Harold Koplewicz, presidente del Child Mind Institute, “a questa età conoscere i fatti può aiutare ad alleviare l’ansia”. Ma è meglio evitare l’eccesso di dettagli, come il numero dei morti, e l’uso di parole che possono spaventare. Secondo la psicoanalista francese Claude Halmosè importante far capire ai bambini che sono al sicuro”.
  • Bambini tra i dieci e i quattordici anni. Anche a quest’età, troppi dettagli possono confondere. È importante chiedere loro come si sentono. I bambini potrebbero mostrarsi indifferenti o voler passare del tempo da soli, ma può essere utile incoraggiarli a esprimere le loro paure ed eventualmente parlare di come comportarsi in caso di emergenza.
  • Adolescenti tra i 14 e i 18 anni. Il lavoro più importante per gli educatori che gestiscono questa fascia d’età è quello di insegnar loro l’importanza delle fonti. È molto probabile che gli adolescenti si informino sui social network e che quindi siano incapaci di distinguere le congetture personali o bufale dalle notizie attendibili. Gli adolescenti spesso rifiutano questo tipo di confronto, quindi è consigliabile trattare l’argomento mentre si fa qualcos’altro insieme a loro. Bisogna invitarli a considerare le probabilità e decidere insieme cosa fare in caso di emergenza, cosa dovrebbero fare nel caso in cui non fossero in grado di tornare a casa o contattare i genitori. Infine, è importante parlare con gli adolescenti dell’uso della violenza, dei suoi effetti e delle alternative.

Anche in Italia, ci si è posti il problema sul confronto con i ragazzi.
Il garante per l’Infanzia Vincenzo Spadafora ha presentato sul sito dell’Authority quattro diversi esempi a seconda dell’età degli interlocutori:

  • Ai bambini che hanno meno di 5 anni bisogna far sentire la nostra presenza fisica. È fondamentale farli parlare, ascoltarli attentamente. Un consiglio? Invitarli a disegnare la loro paura. Ma che sia un disegno a quattro mani. Se il bambino disegna cose cupe, noi aggiungiamo cose belle sul foglio, ad esempio fiori che nascono dalla paura, oppure strette di mano. Usare molto, insomma, l’aspetto visivo, come cura alla paura.
  • Ai bambini che vanno alla scuola elementare (dai 6 agli 11 anni), bisogna dire innanzitutto che non è in corso una guerra, bensì sono pochissimi uomini che, spinti dall’odio, agiscono contro gli altri, e che questo è un movente per cui tutti i buoni del mondo si stanno unendo tra di loro per combatterli, e prima o poi li metteranno a tacere. Considerato che a scuola possono avere compagni islamici, bisogna ricordare che i bambini devono restare tutti amici tra di loro, e coinvolgerli, tramite gli insegnanti, in qualche cerimonia per celebrare l’amicizia, ad esempio uno scambio di merendine. L’importante, per combattere la paura, è parlare.
  • Agli studenti delle scuole medie bisogna dare spiegazioni. È molto importante usare la carta geografica per far vedere ai ragazzini come questi gruppi partano da lontano, in questa Siria occupata, e spiegare che poche persone malintenzionate possono giungere da noi e la polizia sta facendo molto per difenderci. Se i ragazzini chiedono come è possibile che certe persone, nate e cresciute qua, diventino terroriste, bisogna spiegare che sì, sono tra di noi, ma che si sentono estranee, provano un disagio profondo, e che l’unico modo per superarlo è stabilire scambi di conoscenza: solo conoscendosi bene, non ci si sente più nemici.
  • Infine gli adulti, l’importante è non chiudersi in casa, andare fuori, dare testimonianza di fiducia e di speranza: non dimentichiamo che i bambini e i ragazzi sono in sintonia con le nostre emozioni. Lavorando su noi stessi, tranquillizzandoci, aiutiamo indirettamente anche loro

Bene hanno fatto quegli insegnanti a non nascondere la notizia”, prosegue il Garante, “perché parlare, confrontarsi, ascoltare i ragazzi è indispensabile soprattutto quando accade un episodio traumatico, scioccante. Senza contare che le nostre scuole sono sempre più multietniche, e i fatti di Parigi mettono a dura prova la volontà di integrazione, inutile negarlo. Quindi bisogna lavorare di più in tal senso, e dare l’esempio, che è il miglior discorso possibile”.

Il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, in una nota del Miur, ha invitato i docenti alla riflessione per “almeno un’ora e una risposta educativa e culturale. I nostri ragazzi hanno il diritto di sapere, di conoscere la storia, di capire da dove nasce ciò che stiamo vivendo in queste ore”.
La scuola con il suo ruolo educativo non si è limitata al minuto di silenzio. Si sono aperti vari scenari di discussione e uno, in particolare, ha rappresentato il punto di convergenza da parte di molti.
Il popolo siriano è allo stremo e loro come le nostre comunità sono vittime di queste tragedie. I bambini, in particolare, sono costretti a lasciare le proprie abitazioni, subendo violenze e assistendo alla morte atroce dei propri familiari.
È un’opinione condivisa ormai da molti analisti ed esperti: la disperazione nella quale versano milioni di bambini siriani è il bacino ideale per reclutare giovani, potenziali terroristi.
Trudy Rubin, editorialista del Philadelphia Inquirer scrive: “Finora c’è stata scarsissima attenzione da parte dei governi occidentali verso questa generazione perduta di minori siriani. Un’omissione che ha implicazioni anche strategiche, oltre che morali. Se non si fa qualcosa per aiutarli, questi bambini andranno infatti a ingrossare le fila delle prossime generazioni di jihadisti, che minacciano il mondo arabo e non solo”.
Aggiunge Farah Atassi, della National Syrian Women’s Association (l’Associazione Nazionale delle donne siriane). “Cosa vi aspettate? È un terreno fertile per il terrorismo. E la situazione, invece di migliorare, peggiora giorno dopo giorno: proseguono gli attacchi indiscriminati a scuole, ospedali e panifici; cresce il numero di sfollati e aumenta la miseria; si espande la pratica del reclutamento e addestramento di minori, specie da parte dei gruppi estremisti, come il famigerato Stato Islamico”.
Anche gli attentatori di origini mediorientali, ma di nazionalità francese e belga, erano residenti nelle periferie più disagiate.
In che misura allora il tessuto sociale, la mancanza d’istruzione e la disuguaglianza contribuiscono alla diffusione di estremismi?
In gioco ci sono tanti fattori, il terrore di essere colti all’improvviso nella propria quotidianità, le immagini sanguinolente viste alla tv e la percezione, da parte dell’opinione pubblica, di trovarsi sempre più al centro di uno scontro di civiltà. Un’impressione che condiziona ulteriormente i giudizi sui flussi migratori, le classi multiculturali (oltre 300mila alunni in Italia sono musulmani) e, più in generale, il tema dell’integrazione.
L’equazione violenza/terrorismo/religione è la lettura più facile, ma si deve andare oltre. Le nostre scuole, le nostre università, i nostri centri di ricerca sono il primo luogo dove l’orrore può essere sconfitto[…]. Importante anche aiutare i nostri studenti a rifiutare, oggi più che mai, qualsiasi tentazione xenofoba o razzista” dichiara il ministro Giannini intervenendo in collegamento telefonico con Radio Kennedy.
Secondo i dati di Tuttoscuola, oltre 100mila alunni vengono dal Marocco. Seguono Tunisia, Egitto ed Algeria. Un migliaio i siriani. Gli alunni musulmani rappresentano il 3,3% della popolazione scolastica e sono soprattutto al nord, con punte in Lombardia del 5,2%.
Si rischia così di veder nascere proprio nelle classi la fucina razzista più pericolosa.
Uno degli istituti comprensivi più multiculturali d’Italia, il “Luigi Cadorna” di Milano, ha espresso la necessità di contribuire in modo determinante alla formazione di una società civile, come dichiara il dirigente scolastico Massimo Nunzio Barrella in un post di facebook: “Chi opera nella scuola, ora più che mai, deve avvertire con drammatica urgenza la necessità di contribuire a un’educazione che sia all’altezza di un’umanità vera e desiderabile, che si spende per il bene, per il bello, per il giusto, per il rispetto della persona, per la costruzione di ponti e per assicurare uno spazio di incontro reale con chi ha culture, fedi e tradizioni diverse”.
Una storia ripresa da più testate è quella dell’Istituto Comprensivo Regio Parco di Torino che racconta come uno strumento per combattere gli estremismi sia proprio il coinvolgimento del mondo islamico nelle proprie attività. Questa è la convinzione della dirigente scolastica Concetta Mascali, confermata da un episodio verificatosi a scuola. L’istituto aveva lanciato un progetto musicale, “Crescere in orchestra” che aveva come obiettivo l’integrazione degli alunni stranieri attraverso la musica. Ma lo zio di una bimba marocchina si era opposto perché la musica era inopportuna rispetto alle prescrizioni del Corano. La dirigente si è rivolta così agli imam della zona e insieme a loro è riuscita a portare avanti il progetto. “Abbiamo messo un mattone in più nella costruzione della conoscenza reciproca”, ha detto, fissando al 2 dicembre il concerto dei bambini.
Una miscela che gli insegnanti devono cercare di trasformare in opportunità di crescita e integrazione. Ci vuole certamente molto tempo, non ci sono scorciatoie, ma questa composizione mista può generare qualcosa di fortemente creativo”, ha detto il sociologo Zygmunt Bauman al convegno Erickson “La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale”.
Si tratta, dunque, di guidare i bambini e i ragazzi nell’esercizio del pensiero, affinché imparino a valutare i rischi senza cedere a giudizi avventati, scegliendo piuttosto una visione eclettica delle cose che vada oltre le facili contrapposizioni dicotomiche, un atteggiamento cioè che dinanzi a un bivio individui sempre una terza via possibile, che sappia, in sostanza, affrontare con senso critico e responsabile il quotidiano.
Il presidente Mattarella, nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università dell’Aquila, indica questa strada “Sono giorni di allarme, di apprensione, di reazione, e tra gli strumenti di questa reazione è fondamentale quello della cultura, che è sempre stato il farmaco contro l’oscurantismo e l’intolleranza”.

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