Il colore è utilizzato come elemento plastico, capace di rivitalizzare gli angusti corridoi facendo emergere un movimento generato dalla sequenza cromatica.
Le campiture triangolari – delimitate sulle pareti da listelli in gesso bianco - si stendono in continuità anche sui pavimenti in resina colorata.
‘Il disegno srotolato di partenza per la suddivisione dei campi è costituito da una sequenza regolare di triangoli, a salire ed a scendere, i cui vertici hanno passo modulare di tre metri.’
Mentre l’interno delle camere è monocromatico, negli spazi di raccordo il colore – ben lontano dall’essere considerato un elemento puramente decorativo o di importanza secondaria – è usato secondo un linguaggio inconsueto, che rivela la sua forza rivitalizzante nel confronto con un tema così impegnativo come è quello della ristrutturazione di un edificio angusto e monotono.
Colore sui muri curvati della cucina
Studio per la facciata
Una soluzione che invita a riflettere sul diffuso timore all’uso del cromatismoin architettura.
“La cromofobia si manifesta nei tanti e vari tentativi di purgare il colore dalla cultura, di svalutare il colore, di diminuirne la rilevanza, di negarne la complessità. Più specificamente: questa espunzione del colore è di solito realizzata in una o due maniere. Nella prima, il colore viene considerato come proprietà di un qualche corpo “estraneo”: di solito il femminile, l’orientale, il primitivo, l’infantile, il volgare, il bizzarro o il patologico. Nella seconda, il colore viene relegato al regno del superficiale, del supplementare, dell’inessenziale o del cosmetico. Nell’una, il colore è guardato come alieno e perciò pericoloso; nell’altra, è percepito soltanto come una qualità secondaria dell’esperienza, e quindi non meritevole di seria considerazione. Il colore è pericoloso, è banale, o l’una e l’altra cosa insieme. (…) In entrambi i casi, comunque, il colore è di solito escluso dalle più elevate occupazioni della Mente.”
Da David Batchelor, Cromofobia. Storia della paura del colore, Bruno Mondadori, Milano, 2001, p.19.