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innovazione
12/30/2015

5 domande al Ministro Giannini sulla riforma “La Buona Scuola”


Il 2015 è stato l’anno della riforma de “La Buona Scuola”. Un progetto a lungo termine per riformare in maniera radicale il sistema d’istruzione italiano. Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini fa un bilancio sull’anno che si appresta a terminare e traccia le prospettive future.

Quando potremmo vedere i risultati promessi da questa Riforma?
«Un triennio per mandare a regime tutti i processi più complessi della riforma, come il piano assunzionale, la diminuzione delle supplenze, il processo di formazione strutturale e permanente. Per quanto concerne i risultati che più ci interessano, ovvero come usciranno i nostri ragazzi da questa scuola, dovremo attendere il completamento di un ciclo scolastico».

Oltre ai processi di riforma parlamentare, non pensa che la scuola nel suo complesso abbia un disperato bisogno di aprirsi, di evolversi in una società che corre veloce?
«Esatto. Ritengo che il merito del Governo, delle forze di maggioranza che hanno approvato la Buona Scuola, sia stato proprio quello di donare alla scuola un nuovo modus operandi e una nuova mentalità, aperta e innovativa. Sappiamo che con questa legge apriamo le porte della scuola, facendo entrare una serie di elementi nuovi, che all’inizio il cambiamento sarà forte e radicale».

Ad esempio?
«Il rapporto con il mondo del lavoro. Noi siamo figli di un modello in cui prima si apprende e poi si fa, in cui imparare è il contrario di fare. Con questa legge introduciamo in modo strutturale uno schema che abbina la teoria alla pratica, non solo negli istituti tecnici o industriali. Ad esempio oggi la direttrice del Macro è sommersa da richieste di scuole che vogliono attivare l’alternanza scuola-lavoro, questa culturalmente è la dimostrazione più ampia di questo nuovo principio innovativo che permetterà ai nostri ragazzi di avere un indirizzo ancora più chiaro quando sceglieranno la propria strada universitaria e lavorativa».

Un tassello che entrerà subito a regime sarà la formazione strutturale e permanente per gli insegnanti. Quanto ha investito il Governo in questo?
«Fino all’approvazione di questa legge la parola “formazione” era relegata all’iniziativa del singolo, oppure affidata a quella miriade di corsi che anche a detta del corpo docente non portavano da nessuna parte. Su questo capitolo siamo passati da zero euro a quaranta milioni all’anno e faremo partire specifici bandi che saranno orientati su filoni prioritari tra cui le lingue straniere e il cambiamento del modello didattico attraverso l’uso del digitale. Questa è formazione per gli insegnanti, ma anche per gli studenti che non possono più restare indietro nelle lingue o nel digitale. Con il Piano Scuola Digitale abbiamo inserito il diritto ad Internet come diritto fondamentale, perché vogliamo mandare in soffitta un modo vetusto di vivere la didattica».

Dato il delicato momento storico e culturale che viviamo, dopo gli attentati di quest’anno, la scuola è sempre di più terreno di prevenzione di fenomeni di esclusione sociale che determinano sacche di integralismo e terrorismo. Come può il nostro sistema educativo vincere questa battaglia?
«Integrazione non significa contrapposizione di modelli, ma non significa nemmeno multiculturalismo all’anglosassone, cioè mettere insieme in un puzzle relativistico tutto quello c’è. Alla scuola occorre assegnare il valore fondamentale che deve avere, il valore di essere il principale strumento di conoscenza delle proprie radici e della cultura del rispetto, della tolleranza, che non significa nascondo la mia identità non facendo più il presepe per paura di offendere chi è diverso da me. Occorre essere alfabetizzati alla propria storia così da confrontarsi e aprirsi ad altri valori respingendo la cultura della morte. L’Italia può essere un esempio per i paesi europei, può diventare un modello».

Fonte intervista: unità.tv