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26 Settembre 2022

Live coding musicale, il racconto di due esperienze realizzate nella secondaria di primo grado

La sperimentazione di due classi prime

di Redazione

A partire dall’anno scolastico 2021 – 2022, INDIRE ha avviato un progetto di ricerca in cinque istituti comprensivi per sperimentare il live coding musicale.

L’iniziativa, in collaborazione con l’associazione Tempo Reale  – nella figura di Giovanni Mori, autore del libro Live coding? What does it means?, pubblicato da Aracne nel 2020 – ha previsto una formazione tecnica tenuta da un Francesco Corvi, musicista e live coder, selezionato tramite bando pubblico, e la sperimentazione in classe di unità didattiche in cui ogni docente è stato libero di applicare quanto appreso in base alle attitudini personali e al contesto della classe.

Ma cos’è il live coding? Si tratta di una pratica artistica in cui il programmatore realizza una performance (non necessariamente musicale, ma nel nostro caso sì) programmando il computer in tempo reale.

L’idea di fondo del progetto di sperimentazione, che durerà tre anni, è quella di verificarne la fattibilità all’interno del curricolo di musica, con l’obiettivo di comprendere quanto sia possibile utilizzare il coding come strumento di lavoro trasversale alle discipline, in un’ottica laboratoriale e pratica.

Per far questo è stato scelto il software Sonic Pi, gratuito e opensource, progettato proprio per essere utilizzato anche in ambito pedagogico. Il software utilizza un linguaggio di programmazione semplice, ma basato su Supercollider, un motore sonoro utilizzato in ambito professionale. Questo garantisce, a livello espressivo, un risultato sonoro paragonabile a quello dei professionisti.

Di seguito proponiamo due video che documentano il lavoro fatto dagli studenti alla fine del primo anno di lavoro. I video mostrano il codice utilizzato. A seguire, le considerazioni dei professori che hanno svolto le sperimentazioni in classe, con le quali si contestualizza il lavoro.

 

 

Questo primo video riguarda l’esperienza del docente Roberto Agostini, che ha sviluppato un percorso didattico sul live coding con la classe 1A della scuola secondaria di primo grado “Guercino” di Bologna (I.C. 9).

L’attività è stata realizzata durante il secondo quadrimestre, in una delle due ore curricolari settimanali, con l’obiettivo di porre le basi sulle quali andare a implementare, durante il secondo anno, vere e proprie esperienze performative strutturate. Gli allievi e le allieve hanno appreso i comandi principali, spingendosi in alcuni casi anche alla sperimentazione della pseudo-casualità, creando brevi bozzetti – potremmo quasi chiamarli Étude – frutto della loro fantasia.

Il lavoro si è svolto prevalentemente in modo individuale: questo non tanto per scelta metodologica, quanto perché durante l’inverno-primavera 2022 erano ancora attive le restrizioni dovute all’emergenza pandemica. Il video raccoglie i risultati della “verifica” finale: una breve composizione creata usando liberamente i comandi appresi.

Per meglio comprendere il senso del lavoro mostrato nel video, è importante contestualizzarlo tenendo conto di due punti fondamentali.

Anzitutto, la prova ha rispecchiato lo spirito del percorso didattico, dove si sono concepiti la programmazione musicale e il computer come mezzi per fare musica o, più specificatamente, per comporre musica. L’idea è stata quella di creare brani originali con un gesto di autentica espressione artistica dove l’identità dell’autore potesse riconoscersi. In un certo senso, quindi, si è trattato di un compito autentico, tra l’altro preso molto seriamente, come mostrano il “nome d’arte” adottato da molti allievi e i titoli date alle composizioni, che a volte stupiscono per la loro coerenza con il relativo sonoro. Si noti anche come alcuni di questi pseudonimi e titoli rimandino all’immaginario giovanile, a testimonianza di come alcuni ragazzi abbiano davvero portato in classe loro stessi, la loro identità, per mezzo di un atto di creatività artistica. Perfino nella stesura dei codici i ragazzi hanno a volte usato parole che rimandano all’universo espressivo della composizione.

In secondo luogo, vanno spese due parole per l’inclusività: se, quando si assegna una verifica, c’è sempre qualcuno che consegna in bianco o che non termina il lavoro in modo soddisfacente, in questo caso tutta la classe ha, invece, consegnato una composizione finita, centrando in pieno l’obiettivo didattico. Va precisato che alcuni alunni con bisogni educativi speciali sono stati aiutati da compagni-tutor più esperti che avevano terminato la loro opera, ma l’intervento dell’insegnante in fase di correzione e valutazione è stato quasi inesistente (solo in due progetti l’insegnante si è limitato a correggere un paio di note digitate in modo errato).

Certo, alcuni bozzetti sono molto più semplici di altri, ma l’inclusione è proprio questo: una classe dove tutti (ma proprio tutti) lavorano alla stessa attività e con gli stessi mezzi a diversi livelli di complessità, trovando il giusto equilibrio e provando soddisfazione per il risultato raggiunto. Il clima inclusivo è risultato tangibile soprattutto nel momento di condivisione, quando il video è stato visto (e naturalmente ascoltato) in classe in un’atmosfera ricca di emozioni, e caratterizzata da grande attenzione e rispetto per il lavoro dei compagni. E comunque la semplicità può essere molto efficace: il concorso finale per stabilire qual era la composizione preferita dalla classe è stato vinto da un brano molto semplice.

Non è questa la sede per raccontare il percorso didattico che ha seguito la classe. In ogni caso, per come è stato progettato e sviluppato, il progetto ha cercato ispirazione e punti di riferimento in tre ambiti, peraltro ben intrecciati, della pedagogia e della metodologia della didattica centrata sulla creatività: la tradizione di educazione musicale che parte da metà del secolo scorso e che si trova oggi ben rappresentata nel progetto “Laboratorio di Pedagogia dell’Invenzione Musicale (LaPIM)” del Centro Studi Musicali Di Benedetto di Lecco, il lavoro sul pensiero computazionale di autori quali Seymour Papert e Mitchel Resnick e infine il pensiero intramontabile di un autore i cui scritti rimangono un punto fermo e imprescindibile per chiunque si voglia occupare di fantasia e invenzione a scuola: Bruno Munari.

 

 

Analogamente al percorso condotto da Roberto Agostini, anche Leo Izzo ha introdotto il coding musicale utilizzando Sonic Pi nell’attività curricolare di educazione musicale. Anche in questo caso l’esperienza è stata condotta in una classe prima della scuola secondaria di primo grado (1a E dell’I.C. di Zola Predosa).

Il docente ha introdotto lo studio del linguaggio di programmazione parallelamente alla trattazione degli argomenti basilari di teoria musicale (notazione, altezze, durate, concetto di scala, caratteristiche del suono) e all’attività di musica d’insieme su strumenti tradizionali.

Sonic Pi è stato il tramite per introdurre gli studenti e le studentesse a due esperienze totalmente nuove e altrettanto motivanti: utilizzare la programmazione e il pensiero computazionale per ottenere un risultato, da una parte, e esprimersi con i suoni, realizzando una creazione musicale in modo completamente autonomo, dall’altra.

Le attività che comprendevano l’utilizzo di Sonic Pi si sono sempre svolte in tre fasi:

  • Prima fase – In classe il docente affronta, con metodo euristico, alcuni aspetti specifici legati all’utilizzo del programma, facendo riferimento agli elementi di teoria musicale da poco introdotti.
  • Seconda fase – In laboratorio informatico, il docente fornisce una consegna per realizzare un breve codice. Ogni studente, dotato di computer individuale, utilizza i concetti appresi in modo creativo, creando un semplice brano musicale. I risultati sono condivisi con il docente e con i compagni distribuendo il codice attraverso un messaggio nella piattaforma educativa digitale o tramite un documento condiviso. Ogni studente può riutilizzare un frammento di codice di un compagno. In questo modo si favorisce il “remix” di un’opera preesistente, superando i pregiudizi negativi sull’atto del “copiare” e introducendo invece i concetti di “circolazione del sapere”, di formazione tra pari e di “attribuzione” dell’autorialità. Agli studenti è chiesto infatti di indicare la paternità di idee musicali “prese in prestito” dai compagni, inserendo appositi commenti nel codice.
  • Terza fase – In classe si eseguono tutti i codici realizzati. In una discussione collettiva, gli studenti propongono soluzioni per il debug, ovvero la risoluzione di errori interni al codice, evidenziano eventuali criticità e punti di forza di ogni brano, esprimono pareri e propongono varianti al brano.

Alcuni studenti si sono concentrati più sugli aspetti di logica computazionale, cercando di sviluppare appieno le possibilità offerte dal linguaggio di programmazione, mentre altri hanno seguito maggiormente gli stimoli timbrici offerti dal catalogo di samples integrato nel software.

Attraverso gli ascolti dei brani composti dai compagni, gli studenti hanno compreso che per utilizzare appieno Sonic Pi come strumento di creazione musicale è necessario curare entrambi gli aspetti: la padronanza nell’utilizzo del linguaggio di programmazione e il gusto, puramente musicale, per l’abbinamento tra i suoni.

Al termine dell’anno gli studenti hanno creato brani individuali o a coppie utilizzando liberamente le tecniche apprese. Attualmente il gruppo di docenti sta avviando i lavori per procedere con al secondo anno di sperimentazione.

 

[Articolo a cura di Roberto Agostini, Leo Izzo e Giovanni Nulli]