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28 Marzo 2023

Inclusione del contesto: matematica e autismo

Il racconto di un lavoro che fonde gli obiettivi didattici con un efficace processo di sviluppo di competenze relazionali e di crescita della classe

di Redazione

Enrico Mansueti, insegnante specializzato per le attività di sostegno e tutor TFA, è docente di chimica all’Istituto di Istruzione Superiore di Ceccano, in provincia di Frosinone. In questo suo contributo, il docente ci racconta del lavoro didattico svolto con Dino, un ragazzo con disturbo dello spettro autistico, per sostenerlo non solo nel miglioramento delle competenze matematiche, ma anche – e soprattutto – nel raggiungimento di una maggiore autonomia sociale. Il tutto con l’aiuto dei compagni di classe e, in particolare, di due giovanissime e preziose collaboratrici.

Con questo progetto di inclusione, l’IIS Ceccano partecipa alla IV edizione del concorso “STEM: Femminile Plurale”, un’iniziativa promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito per favorire occasioni di approfondimento sui temi dell’uguaglianza di genere e delle pari opportunità.

 

 

Cosa spinge a mobilitarsi in favore di un compagno di classe con deficit cognitivi e difficoltà relazionali, mutando anche sé stessi nel modo di stare a scuola? Solo sensibilità e altruismo, empatia verso l’insegnante specializzato? Oppure anche la curiosità di sperimentare approcci diversi che, con le STEM, possono apparire da subito più interessanti?

La matematica è, in generale, una delle discipline più ostiche del curricolo; nell’autismo a basso Q.I., difficoltà ulteriori frenano il processo di apprendimento.

Dino (nome di fantasia) ha 17 anni e frequenta la classe seconda della scuola secondaria superiore; è certificato con disturbo dello spettro autistico con sviluppo cognitivo inferiore alla norma, con ritardo mentale di media gravità.

A settembre 2022 era isolato nel suo banco e non comunicava neanche con i compagni di classe, conosciuti l’anno prima. Da subito, il mio obiettivo è stato quello di sviluppare la comunicazione e l’autonomia sociale, parallelamente al lavoro didattico – del quale si temeva molto proprio la parte matematica – in un’ottica di condivisione e motivazione con il ragazzo e con la classe.

Motivazioni ed emozioni sono due funzioni complesse e strettamente connesse, che si influenzano reciprocamente (Russ): proprio seguendo questa teoria, abbiamo cercato il più possibile di coniugare, nel gioco, affetti, passione, cognizione.

Dino però neanche parlava: l’azione didattica è stata tarata sulla creatività, il principale (o quantomeno evidente) punto di forza dell’alunno, amante del disegno, e sul gioco (Piaget). Abbiamo dunque fabbricato insieme un mazzo di carte illustrate con numero, parola e oggetti: prima per esercizi su solitario e partite a scopa, poi per operazioni di addizione. A metà del lavoro, contro le premesse riportate nel fascicolo personale dell’alunno, abbiamo dovuto ricominciare costruendo da zero il prerequisito fondamentale, ovvero il concetto di quantità, e introdurre l’operazione di conteggio.

Destrutturando il processo di insegnamento-apprendimento con nuove carte da gioco (stavolta in mazzi separati: numeri in simboli; quantità-oggetti; numeri in parole) e con l’introduzione del conteggio degli esercizi svolti con i manubri della palestra, Dino ha cominciato a contare, a parlare e poi a sorridere: quel che faceva gli piaceva. 

È ipotizzabile che attività simili, se iniziate anni prima e ripetute con l’aiuto della famiglia e magari dell’assistenza specialistica, almeno sui nodi fondamentali, avrebbero prodotto un’autonomia che al momento forse è solo rimandata.

A causa di deficit nella memoria a lungo termine, il lavoro è stato intensificato e ricalibrato in occasione di vacanze e fine settimana anche grazie all’aiuto di Marica Sciacchitano, specializzanda dell’Università degli Studi di Cassino. «Fin dall’inizio del mio tirocinio, Dino è sempre stato molto pacato, timido e disponibile al lavoro, talvolta con qualche momento di distrazione espresso con sbadigli o sguardi fissi su qualcosa, raramente oppositivo se richiamato all’attenzione. Non parlava se non ripetendo termini appena sentiti o dicendo parole incomprensibili. Il lavoro con Dino non si è limitato al miglioramento delle abilità matematiche o ad attività unicamente centrate su di lui, ma ha puntato a includere l’intero contesto della classe e in particolare i compagni, che a poco a poco, affacciandosi nel mondo di Dino, hanno scoperto una nuova motivazione per fare meglio anche per loro stessi, per il loro percorso formativo. Durante questi mesi abbiamo potuto constatare non solo che Dino è migliorato nelle relazioni con i suoi pari, riuscendo a parlare con loro guardandoli in faccia senza più distogliere lo sguardo e accogliendo le loro richieste senza timidezza, ma che a loro volta i compagni di classe sono oggi più consapevoli di Dino, della sua persona, attenti e premurosi, e collaborano con lui senza pregiudizi».

Spesso li coinvolgiamo poco, ma i compagni di classe sono proprio la chiave di volta del processo di inclusione (Ianes; Canevaro). Fra tutti, in questo progetto, il ruolo più attivo lo hanno avuto due alunne, Ilaria e Marta, prima tutees e poi tutors.

Le ragazze fanno parte di una classe in gran parte poco scolarizzata, che si impegna generalmente poco nel lavoro. Sono due alunne molto diverse, accomunate però da sentimenti di altruismo e solidarietà: una timida, con profondissimo attaccamento alla scuola e un forte senso del dovere; l’altra esuberante e poco amante delle regole.

Il loro lavoro colora di senso il processo di inclusione e sviluppa le competenze del contesto: dà infatti vita a un ambiente sempre più piacevole e stimolante per Dino, coinvolge nelle attività i docenti curricolari e i compagni, trasforma l’insegnante di sostegno nell’insegnante dell’intera classe e non solo del singolo alunno.

Per la madre il ragazzo quest’anno è sbocciato, e anche a scuola tutti sono stupiti dei suoi cambiamenti. Però, a eccezione della docente di matematica, del DSGA e della dirigente scolastica, professoressa Alessandra Nardoni, pochi sono realmente consapevoli del processo e degli attori in gioco:

  1. Inclusione attraverso la matematica per il ragazzo e per la classe, cioè sul contesto.
    I compagni hanno capito che differenza non vuol dire diversità: se prima erano accoglienti verso un “ospite”, ora interagiscono con un interlocutore;
  2. Matematica attraverso l’inclusione per Dino e per la classe.
    Nelle ultime settimane praticamente tutti hanno chiesto supporto personalizzato, su disequazioni e sistemi. Si sono impegnati e qualcuno ha raggiunto buoni risultati con la “bestia nera”: la materia inizia a piacere anche a loro!

 

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di Enrico Mansueti, insegnante specializzato e docente di chimica
all’Istituto di Istruzione Superiore di Ceccano (FR)